Il chiarissimo articolo di Giorgio Ferrari del 29 settembre non ha certo bisogno di ulteriori supporti, a meno che non arrivino smentite convincenti o prove contrarie inoppugnabili, che per ora non si vedono.

In Italia abbiamo una lunghissima esperienza di attentati o delitti di complessa e incerta attribuzione, per i quale spesso le indagini si sono indirizzate verso responsabili fittizi, ci sono stati depistaggi che a volte hanno ritardato per anni di arrivare alla verità, o in certi casi lo hanno realmente impedito. Queste vicende dovrebbero averci insegnato che di solito la prima domanda da porsi per la ricerca di un responsabile – o di un mandante – dovrebbe essere: cui prodest?

Ritengo che sia significativo questo articolo, di Olivier Milman, pubblicato da The Guardian quattro giorni prima dell’attentato: “How the gas industry capitalized on the Ukraine war to change Biden policy“. Questa questione, a dire il vero, risuona fino dall’inizio dell’attacco di Putin all’Ucraina, pure con prove dirette, anche se è stata occultata dai media mainstream. Vista l’immediata successione di questo articolo con l’attentato, e l’autorevolezza della fonte, credo valga la pena soffermarsi sulle considerazioni che venivano fatte. Mi sembra significativo riportare integralmente i passi salienti dell’articolo, di per sé eloquenti.

<<I carri armati e i veicoli corazzati russi avevano appena iniziato ad arrivare in Ucraina prima che l’industria dei combustibili fossili negli Stati Uniti entrasse in azione. Una lettera è stata prontamente inviata alla Casa Bianca, sollecitando un’immediata escalation della produzione di gas e delle esportazioni verso l’Europa prima della prevista crisi energetica.

La lettera, datata 25 febbraio, appena un giorno dopo che le forze di Vladimir Putin avevano lanciato il loro assalto all’Ucraina, segnalava la “congiuntura pericolosa” del momento prima di passare a un elenco di richieste: più trivellazioni sui terreni pubblici statunitensi; la rapida approvazione dei proposti terminali di esportazione del gas; e pressioni sulla Federal Energy Regulatory Commission, un’agenzia indipendente, per dare il via libera ai gasdotti in attesa. …

Sei mesi dopo la lettera, l’invasione russa si è fermata e in alcuni punti si è ritirata, ma l’industria del gas statunitense ha raggiunto quasi tutti i suoi obiettivi iniziali. In poche settimane, l’amministrazione di Joe Biden ha adottato le principali richieste dell’industria del gas come politica. Hanno aperto la strada a nuovi gasdotti e strutture di esportazione, hanno istituito una nuova task force per aumentare le esportazioni di gas in Europa e approvato un finanziamento di 300 milioni di dollari per aiutare a costruire infrastrutture del gas nel continente.>>

Da più parti è stato osservato che con l’inizio della guerra in Ucraina tutti i programmi, veri o fittizi, di transizione green sono saltati, e quelli di greenwashing sono stati rediretti: non solo l’addio al gas è stato rimandato per ora sine die, ma si registra addirittura un ripresa del carbone. Le pressioni statunitensi perché l’Europa rinunci al gas russo e perché inasprisca le sanzioni a Mosca si ritorcono sull’Unione Europea, sulla quale si sta abbattendo una pesantissima recessione, nonché una vera carneficina sociale, che si peserà soprattutto – come stupirsi? – sugli strati più poveri delle popolazioni.

L’articolo del Guardian conferma la coincidenza di questa retromarcia con la lettera inviata alla Casa Bianca il 25 febbraio:

<<La retorica dell’amministrazione Biden, che si definiva profondamente impegnata nell’affrontare la crisi climatica1, era “cambiata sostanzialmente” in appena una settimana… La creazione da parte di Biden della task force per l’esportazione del gas è stata una “risposta diretta alla proposta avanzata da LNG Allies” [nome operativo della US LNG Association], si vantava il gruppo a marzo.

Ma l’abbraccio del gas naturale liquefatto – o GNL, gas che è stato raffreddato a -260F (-160°C), trasformandolo in un liquido che può essere spedito all’estero – come atto di sfida a Putin ha sgomento gli attivisti per il clima che avvertono che lo farà bloccare decenni di emissioni di riscaldamento del pianeta e spingere il mondo più vicino alla catastrofe climatica.>>

<<“L’aggressione della Russia in Ucraina, l’aumento dei prezzi dell’energia e gli impatti devastanti dei cambiamenti climatici dovrebbero essere il più grande stimolo ancora per porre fine alla dipendenza del mondo dai combustibili fossili”, ha affermato Zorka Milin [consulente senior di Global Witness]. “Invece, un’industria già ricca sta cercando di cogliere l’attimo e costringere il mondo a raddoppiare gli stessi errori che ci hanno portato a questa situazione.“>>

Indubbiamente gli attentati ai gasdotti sono un fatto nuovo, ma mi sembra difficile pensare che la Russia avesse qualche interesse a danneggiarli. Vero è che tante accuse ritorte verso la Russia in questi mesi sono suonate come inverosimili autolesionismi, come per i bombardamenti alla centrale nucleare di Zaporizhzhia per i quali la Russia si sarebbe paradossalmente … “sparata addosso” (rinvio a Giorgio Ferrari, 09.08.2022: https://www.pressenza.com/it/2022/08/la-guerra-sporca-che-si-combatte-intorno-a-zaporizhzhia/). Ma, appunto, una guida abbastanza solida per cercare il responsabile di un’azione rimane chiedersi in primo luogo cui prodest.

Qualche dato sul danno ambientale

Forse molti lettori non hanno le idee chiare sull’impatto ambientale: riporto alcune notizie reperite provvisoriamente in internet.

Intanto deve essere chiaro che dai gasdotti incidentati esce metano, un gas che contribuisce circa 20 volte più dell’anidride carbonica all’effetto serra.

Greenpeace valuta: “Secondo nostri calcoli preliminari, il potenziale impatto climatico della fuoriuscita di metano da #Nordstream 1+2 potrebbe essere di 30 milioni di t di CO2eq equivalnti in un periodo di 20 anni (GWP20). Pari alle emissioni annuali di 20 milioni di automobili nell’UE”

Secondo Giorgia Pantanida, su QualEnergia (“Dai gasdotti Nord Stream una delle peggiori perdite di metano di sempre“): “I due gasdotti Nord Stream coinvolti nell’esplosione non erano operativi, ma entrambi contenevano gas naturale pressurizzato, principalmente metano, un potente gas serra e una delle principali cause di riscaldamento globale. Secondo le prime stime approssimative degli studiosi che si sono espressi in queste ore, riportate da varie testate internazionali, come il Guardian, e basate sul volume di gas contenuto in uno dei gasdotti, a seguito dei rilasci potrebbero entrare in atmosfera dalle 100.000 alle 350.000 tonnellate di metano.”

Dal Fatto Quotidano di oggi (30 settembre): “Nelle due condutture si stima ci fossero 778 milioni di m3 di metano, circa 400.000 tonnellate: un gasdotto, anche fermo, deve comunque essere pieno e in pressione. Le quattro falle dovrebbero svuotare completamente le condutture entro domenica. A quel punto, a poche miglia marine dalla Danimarca, in cinque giorni sarà uscito tanto gas serra quanto il 32% delle emissioni annuali di tutto il Paese.”

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Ma credo sia opportuna anche qualche riflessione generale sul Gas Naturale Liquefatto (GNL). Ovviamente si sprecano i panegirici di siti non privi di interessi sulle meraviglie del GNL: ma sentiamo qualche fonte indipendente.

Scriveva Fedinando Cotugno su Valori: “Gas naturale liquefatto dagli Stati Uniti: come non fare la transizione ecologica. Il gas naturale liquefatto in arrivo dagli Stati Uniti ci affrancherà da quello russo, ma renderà irraggiungibili gli obiettivi climatici”. “Il Gnl ha un impatto ambientale e climatico peggiore di quello russo. Secondo il centro studi francese Carbone 4, comporta emissioni equivalenti di CO2 pari a due volte e mezzo quello che arriva via gasdotto. Per il gas liquefatto il processo che va dal giacimento alla centrale è d’altra parte estremamente lungo e articolato. E ad ogni passaggio vengono aggiunti gas ad effetto serra nell’atmosfera.

Scrivevano Christina Swanson e Amanda Levin in un rapporto del dicembre 2020 del Natural Resources Defense Council (“Sailing to Nowhere: Liquefied Natural Gas is not an Effectice Climate Strategy“,), sintetizzando dalle conclusioni: “L’esportazione all’estero di gas prodotto negli Stati Uniti non è una strategia efficace a lungo termine per combattere il cambiamento climatico, né per gli Stati Uniti, né per i Paesi importatori, né per il pianeta. … Il GNL prodotto negli Stati Uniti semplicemente non ha benefici per il clima. … Per l’Europa e il Giappone, le emissioni di gas serra prodotte dalla combustione di gas per l’elettricità sono dal 41% al 151% superiori agli obiettivi di emissione per la generazione di elettricità nel 2030, necessari per raggiungere gli obiettivi internazionali di sviluppo sostenibile e limitare il riscaldamento globale. … Le perdite di metano e i rilasci intenzionali riducono – e possono addirittura eliminare – i benefici climatici derivanti dall’uso del GNL esportato in sostituzione del carbone”.

Bene, questo è il gentile omaggio che gli USA hanno fatto all’Europa (e ovviamente alle compagnie del gas): e gli attentai ai gasdotto potrebbero essere un contentino.