Occorre affrontare il vasto tema “immigrazione” sgombrando il campo da ogni impressione o ragionamento superficiale, da ogni facile strumentalizzazione. E’ decisivo mettere da parte la tentazione di una società “senza” (se non “contro”) quei migranti che rappresentano ormai da decenni una parte cospicua della popolazione italiana a tutti gli effetti.
È necessario invece, prima di tutto, soccorrere chi rischia la propria vita in viaggi della disperazione nel mare Mediterraneo, sempre più lunghi e dolorosi, come dimostra la recente, tragica, morte di 81 profughi partiti dal Libano con i barconi e naufragati al largo della Siria. Tra loro, c’erano anche tanti bambini.
Occorre poi avere la capacità di accogliere e integrare.
I corridoi umanitari – che sono riusciti a portare in Europa oltre 7mila profughi – sono in questo senso un modello da seguire perché permettono di conoscere persone e famiglie testimoni di guerre e di violenze, aiutandole ad inserirsi come parte integrante della nostra società.

Per “costruire il futuro” con loro – tema ieri della 108esima Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato – occorrono alcuni interventi che facilitino l’ingresso di migranti per motivi di lavoro, di cui l’Italia, in piena crisi demografica, ha estremo bisogno: ampliamento delle quote annuali, introduzione della sponsorship (persona o associazione che può fare da garante per l’inserimento nel mondo del lavoro), facilitazione dei ricongiungimenti familiari e un più generoso ricollocamento dei profughi da parte dei paesi europei.

L’agenzia stampa Interris.it ha intervistato Marco Impagliazzo, Presidente della Comunità di Sant’Egidio, su questi temi. Abbiamo scelto per voi alcuni passaggi dell’intervista.

Cosa fa concretamente la Comunità di S.Egidio per queste persone?

“C’è un servizio per l’accoglienza e il sostegno di chi è giunto da poco in Italia o negli altri paesi europei dove è presente la Comunità. Ma c’è soprattutto un grande impegno per l’integrazione che è – per restare sul tema della Giornata – la chiave per costruire il futuro. Le scuole di lingua e cultura italiana della Comunità, presenti in numerose città del paese, a partire da Roma, rappresentano per molti immigrati la porta per capire, conoscere, condividere tanti aspetti della nostra società. In queste scuole, totalmente gratuite grazie all’impegno di molti volontari, sono passate migliaia di persone favorendo il loro inserimento a pieno titolo nel mondo del lavoro e più in generale nel tessuto sociale delle città in cui vivono. Alcune tra loro fanno oggi i mediatori culturali, altre si impegnano come volontari per aiutare i nuovi arrivati. Abbiamo attivato corsi di formazione professionale per mediatori interculturali, per i caregiver ed altro. La Comunità ha inoltre aperto da molti anni case di accoglienza per coloro che si trovano momentaneamente senza un luogo dove vivere in modo da accompagnarli in un percorso di autonomia”.

Quali sono le principali problematicità o criticità che vive un migrante o un rifugiato oggi in Italia?

“Le difficoltà nascono proprio quando viene meno la capacità di integrare. Le istituzioni dovrebbero fare di più a questo livello, dall’approccio più complessivo del fenomeno, che deve essere gestito e non subìto, fino alla semplificazione di certi percorsi burocratici che rendono la vita difficile anche a chi possiede da anni un permesso di soggiorno”.

Quest’anno l’incontro internazionale di Preghiera per la Pace delle Religioni Mondiali del prossimo ottobre ha come titolo: “Il grido della Pace”. Come migranti e rifugiati possono essere “costruttori di pace”?

“Abbiamo l’esempio dei corridoi umanitari, che Sant’Egidio ha attivato dal febbraio del 2016 con diversi alleati, dalle Chiese protestanti alla Cei, e in collaborazione con numerose associazioni presenti nei paesi di transito, come la Comunità Papa Giovanni XXIII e l’Operazione Colomba.
Gli oltre 7mila profughi giunti in Europa senza doversi sottoporre ai viaggi della disperazione nel Mediterraneo, testimoniano bene quanto i rifugiati da conflitti – come quelli ancora in corso in Siria o nel Corno d’Africa, a cui si è aggiunta la guerra in Ucraina – contribuiscono a costruire una cultura di pace: i loro racconti delle atrocità vissute, il dramma della fuga e la necessità, quindi, di essere accolti nel nostro continente, ci aiutano a capire il dolore di tanti conflitti che altrimenti rischiano di essere lontani, anche se in realtà molto vicini, per le conseguenze che si portano dietro. Ma anche la storia dei percorsi personali e familiari che li hanno portati ad integrarsi nella nostra società aiuta a realizzare, insieme, un futuro migliore. Il loro “grido di pace” risuonerà nell’incontro internazionale che vivremo a Roma dal 23 al 25 ottobre”.

Cosa chiede la Comunità al nuovo Governo sulle tematiche dell’accoglienza?

“Al nuovo come ai vecchi governi chiediamo di avere un approccio lungimirante nei confronti del fenomeno dell’immigrazione che ha diversi aspetti: quello dei profughi che fuggono dalle guerre, come quello di chi vorrebbe venire a lavorare nel nostro paese nei settori in cui c’è un urgente bisogno di lavoratori. Per quanto riguarda i terribili viaggi del mare l’imperativo è quello di soccorrere e salvare, evitando nuove morti – persino per fame per sete – causate anche da rotte sempre più lunghe e pericolose. Per costruire il futuro occorrono interventi che prevedano quote più ampie di ingresso regolare per motivi di lavoro, l’introduzione della sponsorship (persona o associazione che può fare da garante per l’inserimento nel mondo del lavoro), la facilitazione dei ricongiungimenti familiari, solo per fare alcuni esempi. Occorre lavorare di più sul tema dell’integrazione per facilitarne i percorsi. Si pensi al tema della cittadinanza per chi nasce e studia nel nostro paese. E’ dal 2004 che Sant’Egidio propone di concedere la cittadinanza ai minori che sono nati e studiano nel paese, che oggi si chiama ius scholae”.