Lo studente della Central European University di Vienna è stato graziato insieme ad altre sei persone dal presidente al-Sisi: stava scontando una pena di tre anni per diffusione di false notizie, stessa accusa formulata contro Patrick Zaki.

Ahmed Samir Santawy, lo studente egiziano della Central European University di Vienna, ha ottenuto la grazia e dopo oltre un anno dietro le sbarre, ha lasciato il carcere. Lo conferma la testata indipendente egiziana Mada Masr, ricordando che Santawy stava scontando una condanna a tre anni di reclusione per diffusione di false notizie in Egitto e all’estero, destabilizzazione della sicurezza dello Stato e diffusione del panico, in merito al suo lavoro di ricercatore nell’ateneo austriaco, dove frequentava un master e approfondiva il tema dei diritti delle donne in Egitto. Ad accoglierlo dopo la scarcerazione anche Patrick Zaki, che ha postato su Twitter una foto con lo stesso Santawy.

Oltre a lui, il decreto presidenziale di grazia riguarda altre sei persone tra cui il giornalista Hisham Fouad, a sua volta incarcerato per diffusione di false notizie, e l’attore Tarek Al-Nahry, accusato per gli scontri tra polizia e manifestanti durante una protesta davanti al palazzo del governo nel 2012.

Tra questi, il caso di Ahmed Samir Santawy, arrestato nel febbraio del 2021, è quello che ha attirato maggior attenzione a livello internazionale, con ripetuti appelli da parte dell’Università europea di Vienna e dei suoi colleghi affinché venisse rilasciato, convinti che un’incriminazione sulla base del contenuto di una ricerca universitaria leda la libertà accademica e di espressione. Inoltre Amnesty International ha denunciato che dopo l’arresto Santawy “è stato picchiato e interrogato” dai funzionari egiziani per cinque giorni con accuse legate ad attività terroristiche. A dicembre scorso un giudice aveva annullato il primo processo che si era concluso con una condanna a quattro anni, ma il 4 luglio scorso il nuovo processo ha solo ridotto la pena a tre anni.

In Italia, la storia di Santawy ha ricordato quella di Patrick Zaki, il ricercatore dell’Alma Mater Studiorum di Bologna arrestato per la stessa ragione nel febbraio del 2020 e ancora in attesa di giudizio. Questi detenuti secondo le associazioni per i diritti umani rappresentano prigionieri di coscienza e secondo l’Arabic Network for Human Rights Information dal 2013 – anno in cui si è insediato con un colpo di stato il presidente Abdelfattah Al-Sisi – ce ne sarebbero almeno 65mila sui 120mila totali rinchiusi nelle carceri egiziane, di cui 26mila in detenzione cautelare in attesa del processo. Stando ad altre associazioni però, la cifra potrebbe sfiorare le centomila unità. Stime difficili da fare, in quanto come denunciano gli stessi organismi, le autorità non rendono pubblici i dati circa la popolazione carceraria nel Paese.

AMNESTY: “GRAZIA A SANTAWY PER DISTRARRE DA ALAA”

“La grazia ad Ahmed Samir Santawy, che ci riempie di gioia, va considerata comunque non un’improvvisa conversione del governo egiziano ai diritti umani ma come un gesto di facciata, una concessione che ogni tanto il governo egiziano deve fare per accontentare la comunità internazionale. È un segnale che si vuole dare su persone su cui c’è stata una certa pressione internazionale. Ma quando si tratta di Patrick Zaki o Alaa Abdel Fattah, allora non avviene, perché si tratta di nomi troppo scomodi“. Il portavoce di Amnesty International Riccardo Noury commenta così per l’agenzia Dire la notizia della grazia per decreto presidenziale ottenuta dal ricercatore trentenne della Central european university di Vienna.

A processarlo è stato un tribunale militare, dunque per la legge egiziana le sentenze non sono appellabili. Richiedere la grazia al presidente della Repubblica, come ricorda Noury, era l’unica strada per permettere al giovane di uscire.

Noury torna sul “tempismo” di questa notizia: “A mio avviso non è un caso che Santawy sia stato graziato ora, essendo un nome per cui molte associazioni e università di tutto il mondo si erano battute per chiederne il rilascio. In questi giorni, un altro detenuto ha suscitato molta attenzione infatti”. Si tratta di Alaa Abdel Fattah, volto noto in Egitto per l’impegno nel movimento democratico e tra gli animatori delle proteste che nel 2011 alimentarono quella mobilitazione popolare che portò il presidente Hosni Moubarak a dimettersi, dopo trent’anni ininterrotti al governo del Paese.

Abdel Fattah, arrestato nel 2019 e condannato quest’anno a cinque anni di reclusione, si proclama innocente e denuncia condizioni carcerarie ingiuste e degradanti e per questo 120 giorni fa ha avviato per protesta uno sciopero della fame. Un’azione che ha destato le preoccupazioni della famiglia, soprattutto di recente, quando dal carcere non è giunta più alcuna notizia dell’attivista, facendo temere per le sue condizioni di salute e la sua stessa incolumità.

La madre di Alaa da giorni va davanti al carcere per avere notizie del figlio e non gliene danno“, riferisce Noury, che continua: “Finalmente, secondo quanto hanno dichiarato, sembra che Alaa sia vivo dal momento che dei funzionari sono andati nella sua cella per ascoltarlo in merito a una denuncia per maltrattamenti che lui stesso ha presentato. Quando però Alaa ha richiesto l’assistenza del consolato britannico – dal momento che nei mesi scorsi il Regno Unito gli ha accordato la cittadinanza – il funzionario della Procura generale ha detto che a loro non risultava la doppia nazionalità, e il colloquio è stato interrotto”.

Noury ribadisce che Alaa Abdel Fattah, come altri nomi eminenti dell’opposizione all’attuale governo del generale Abdelfattah Al-Sisi, “sono nel mirino delle autorità, che quindi non li rilasciano. Questo perché hanno una visione politica precisa e largo seguito tra la popolazione. Se si candidassero, potrebbero arrivare al governo. Attivisti come Santawy sono invece figure minori, molto giovani e con meno seguito; ecco perché è più conveniente usare loro per convincere che l’Egitto rispetta i diritti umani”.

 

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