Nel 1838 la Georgetown University vendette 272 schiavi a proprietari di piantagioni in Louisiana. I profitti di questa vendita permisero all’ateneo gesuita di rimanere a galla finanziariamente. La Georgetown University, una delle migliori università americane, ha riconosciuto i suoi legami con la schiavitù e ha promesso poco tempo fa di raccogliere 100 milioni di dollari da amministrare con discendenti di schiavi per cercare di espiare il suo passato poco ammirevole. Anche la Harvard University, forse la più nota e prestigiosa università americana, sta seguendo la stessa strada. In un recente rapporto pubblicato dall’ateneo di Boston si legge che “uomini e donne in schiavitù servirono rettori e professori…” e che “l’università e i suoi donatori hanno avuto notevoli rapporti finanziari con la schiavitù”.

Il rapporto di 134 pagine mette a nudo i legami con la schiavitù esistenti fin dagli inizi di Harvard nel lontano 1636. Nel 2019 l’ateneo aveva messo in moto le ricerche contenute nel rapporto per capire a fondo in che modo avesse tratto benefici dalla schiavitù. Lo stimolo è emerso da attività di studenti e docenti negli Stati Uniti, da mostre allestite in alcuni musei e biblioteche e da corsi sul razzismo tenuti da anni a Harvard e in altre università. Secondo lo storico Craig Steven Wilder del MIT (Massachusetts Institute of Technology)  Harvard ha cercato per decenni di cancellare queste notizie tutt’altro che ammirevoli.

Sappiamo dunque che parecchi rettori di Harvard furono proprietari di schiavi. In un caso estremo nel 1860 uno schiavo di diciassette anni, non potendo resistere alla sua tragica situazione, si impiccò. Poi il suo cadavere fu usato per esperimenti che miravano almeno in parte a cercare di dimostrare l’inferiorità dei neri. Alcuni resti del suo corpo rimangono ancora in un museo dell’ateneo. Il rapporto non menziona però il fatto che l’università continui a trarre profitti economici dalla riproduzione fotografica di due schiavi costretti a posare con un professore nel 1850, per cui i discendenti hanno recentemente sporto denuncia.

Harvard ha tratto benefici dalla schiavitù anche mediante i guadagni delle aziende che hanno donato fondi per istituire le facoltà di giurisprudenza, medicina, economia e commercio. L’industria tessile di Boston, con i suoi stretti legami con le piantagioni del sud, ha fornito ingenti fondi. L’università sapeva da dove venivano, ma non li ha rifiutati, così come Yale e la Columbia University, altri due prestigiosissimi atenei. Lo stessa MIT fondò la famosa facoltà di ingegneria grazie ai contributi di aziende che traevano profitti dall’industria del cotone. Secondo alcuni calcoli durante la prima metà dell’Ottocento un terzo dei fondi promessi o forniti a Harvard proveniva da individui o gruppi che avevano accumulato i loro patrimoni grazie alla schiavitù.

Oltre a Georgetown e Harvard, anche Brown University, Yale e MIT hanno riconosciuto il loro passato poco edificante riguardo alla schiavitù. Tutte queste università sono private e continuano a dipendere da contributi per mantenersi a galla. Riconoscere il loro passato e le connessioni con la schiavitù non farà piacere alle grosse aziende, che spesso finanziano l’istituzione di cattedre universitarie o le borse di studio per studenti bisognosi. Mettere in luce aspetti poco eroici dell’America però riguarda sia le università pubbliche che quelle private. Ambedue dipendono da fattori politici per la loro sopravvivenza, poiché i loro bilanci vengono condizionati dall’ideologia politica. Quindi adottare linee di studio che non combaciano ideologicamente con le corporation, spesso conservatrici, e i governi statali repubblicani, mette in pericolo le finanze degli atenei.

Va poi citata l’accusa fasulla secondo cui le università cercano di indottrinare i loro studenti con idee di sinistra, basandosi sugli studi riguardo alla storia abominevole della schiavitù, che non solo ricordano le ingiustizie passate, ma le collegano a quelle presenti. La destra ovviamente vede come il fumo negli occhi queste tendenze, come dimostra lo slogan dell’ex presidente “Make America Great Again” che vorrebbe ignorare non solo le ingiustizie sociali presenti, ma anche quelle del passato.

Harvard e le altre università che continuano a fare ricerche sul proprio passato e su quello di tutta l’America però indicano la strada da percorrere per non ripetere simili errori e mostrano un certo coraggio ammettendo la loro complicità nelle ingiustizie storiche. I 100 milioni di dollari promessi da Harvard nel suo “Endowed Legacy Slavery Fund” per continuare le ricerche e sponsorizzare una base per riparazioni sembrano pochi, considerando il suo patrimonio di 53 miliardi di dollari, ma rappresentano la giusta strada che anche il resto del Paese dovrebbe imboccare.