È ufficiale la notizia della richiesta di adesione, da parte del Kosovo, al Consiglio d’Europa. Si tratta di uno degli obiettivi della dirigenza albanese kosovara, impegnata nel consolidamento della posizione del Kosovo anche attraverso l’adesione e la partecipazione a organizzazioni e format internazionali, che trova conferma appena pochi giorni dopo le prese di posizione, da parte di esponenti dell’establishment tedesco, a sostegno della candidatura kosovara. Gli organi di informazione hanno riportato infatti la dichiarazione del deputato tedesco Knut Abraham, che ha confermato di aver contattato il governo tedesco e aver ricevuto una risposta positiva in relazione alla questione dell’adesione kosovara. «La risposta del governo federale alla mia domanda circa l’adesione del Kosovo è incoraggiante. La Germania dovrebbe sostenere in modo proattivo la candidatura del Kosovo al Consiglio d’Europa. Politici europei di diverse parti politiche lo supportano». In un suo intervento su Twitter, il deputato ha fatto riferimento ad una lettera di Andreas Michaelis, segretario di Stato del Ministero degli Esteri, in cui si richiama lo «stretto coordinamento con i nostri partner UE».

Ulteriori conferme sono giunte da parte di figure della dirigenza albanese kosovara. Il completamento della domanda di adesione è stato confermato da Sharr Jakupi, capo di gabinetto della Ministra degli Esteri del Kosovo, Donika Gërvalla, ribadendo che «il governo della Repubblica del Kosovo ha ufficialmente richiesto la piena adesione al Consiglio d’Europa». Una mossa che, per taluni aspetti, trascende il merito propriamente istituzionale, per inserirsi all’interno della sfida geopolitica tra gli Stati Uniti e i loro alleati occidentali, da un lato, e la Federazione Russa, dall’altro, una sfida portata sulla soglia dello scontro militare nel contesto di conflitto tra NATO e Russia in Ucraina ed a cui fa riferimento anche una dichiarazione dell’ex ambasciatrice del Kosovo negli Stati Uniti, Vlora Çitaku, che su Twitter ha messo in evidenza che «ora, con la Russia espulsa dall’organizzazione, il nostro percorso dovrebbe essere aperto». Il 25 febbraio, infatti, la Russia ha subìto la sospensione della sua rappresentanza nel Consiglio d’Europa in conseguenza della guerra in Ucraina.

Non è un caso che un riferimento a questa partita geopolitica sia stato richiamato anche nella dichiarazione del presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, secondo cui «è chiaro che i principali Paesi occidentali stanno conducendo questo gioco, siamo un piccolo Paese che difende la sua sovranità, cercheremo di opporci in modo pacifico e diplomatico». «Con ciò, tutti coloro che ci parlano del rispetto del diritto internazionale dimostrano di non rispettare alcun valore e alcun principio», aggiungendo, secondo quanto riferito dalla stampa, che l’ipotizzata adesione del Kosovo al Consiglio d’Europa non potrà che comportare ulteriore tensione e ulteriori problemi nella regione e che, in ogni caso, la Serbia non riconoscerà l’indipendenza dell’autoproclamata repubblica kosovara. In una dichiarazione riportata dalla Tanjug, infatti, Vučić ha ribadito che «non riconosceremo l’indipendenza del Kosovo; la nostra risposta sarà ponderata e saggia, per preservare la pace e la stabilità, ferma nel proteggere i nostri interessi, nel desiderio di raggiungere una soluzione attraverso il compromesso e di vedere rispettato quanto sin qui pattuito».

Si tratta di un’allusione meno che velata all’implementazione degli Accordi di Bruxelles (2013), firmati da entrambe le parti, tanto da Belgrado quanto da Prishtina, e tuttora lettera morta, soprattutto a causa della indisponibilità della dirigenza albanese kosovara a darvi seguito. Gli accordi prevedono, infatti, che i Comuni a maggioranza serba del Kosovo, a partire da quelli del Nord (Kosovska Mitrovica, Leposavić, Zvečan e Zubin Potok), conseguano maggiore autonomia nell’organizzazione della giustizia, della polizia e dei servizi, in particolare quelli più vicini ai bisogni dei cittadini, come sanità, istruzione e cultura, aspetti da cui dipendono sia la sicurezza delle comunità, sia, ad esempio, la tutela del patrimonio storico-culturale; per la polizia kosovara del Kosovo del Nord prevede la nomina di un comandante regionale serbo kosovaro; per la giustizia prevede la costituzione di una Corte d’Appello a Mitrovica, la maggiore città del Kosovo del Nord. Gli Accordi istituiscono, inoltre, la Comunità dei Comuni serbi del Kosovo, con un’ampia autonomia nell’ambito dello sviluppo economico, dell’istruzione, della sanità, della pianificazione urbana e della pianificazione rurale.

Il tutto su uno sfondo, peraltro, di incertezza rispetto alle prospettive del Kosovo e della regione. Non va dimenticato che il Kosovo non è riconosciuto come Stato dalla comunità internazionale nel suo complesso e non ha un seggio in Assemblea Generale delle Nazioni Unite; a tutt’oggi, è riconosciuto solo da 98 Stati membri (su 193) delle Nazioni Unite: essenzialmente Paesi NATO e UE (con l’eccezione di Spagna, Romania, Slovacchia, Grecia e Cipro) e diversi Paesi islamici, come mostrano le “proporzioni”, essendo riconosciuto da poco più del 50% dei membri delle Nazioni Unite, ma da più dell’80% dei Paesi UE e da oltre l’86% dei Paesi NATO. In base al suo Statuto (1949), il Consiglio d’Europa «ha lo scopo di attuare un’unione più stretta fra i Membri per tutelare e promuovere gli ideali e i principi che sono loro patrimonio comune e per favorire il loro progresso economico e sociale. […] Ogni Stato europeo … può essere invitato dal Comitato dei Ministri a divenire Membro del Consiglio d’Europa. Ogni Stato, in tal modo invitato, acquista la qualità di Membro […]».