Il dubbio ha ancora diritto di vivere oppure, nel XXI secolo, è un’eresia da bruciare viva? Interrogarsi sulle scelte di politica sanitaria elaborate di fronte alla pandemia, ad esempio, è d’obbligo per chi si ispira al pensiero di Ivan Illich, grande critico ante litteram della modernità tecnocratica. E’ la linea di pensiero e azione seguita da Gustavo Esteva e Aldo Zanchetta, i due curatori della raccolta di brevi saggi intitolata Transitare le pandemie con Ivan Illich (Mutus Liber Hermatena, 2021 Riola, pp. 192).

Nella contingenza pandemica è stata dominante «l’idea di “appiattire la curva” che riduce le persone ad atomi omogenei gestiti con algoritmi», invece di concentrarsi sulla gente come si è fatto altrove e con meno mezzi, «organizzando campagne centrate su una buona informazione alla popolazione, una cura efficace dei casi identificati e un effettivo sostegno medico».

Per David Kailey, gli strumenti di intervento anti-pandemico sono diventati feticci. Chi vuole fare domande viene definito complottista. Come se non fosse evidente che un progetto come la Quarta rivoluzione industriale basata sulle tecnologie digitali ha compiuto un balzo in avanti: la élite è bravissima a sfruttare le emergenze.

Davanti a tutto ciò, la mappa politica della sinistra si rivela davvero inadeguata. Ed è tremendo il ruolo dei mezzi di comunicazione di massa: un’informazione di guerra, uniforme, piena infatti di metafore violente. E chi «privilegia il percorso che Illich raccomandava – convivialità nel rispetto dei limiti – piuttosto che quello dal quale ci metteva in guardia – crescita sotto un controllo sempre più intenso», non vede

nell’oggi «un affievolirsi della passione per il dominio e il controllo che anima la nostra società».

Un controllo oltretutto che ha fallito: le persone sono state guidate dal panico anziché dalla prudenza; la scienza e la medicina sono state idolatrate come una religione e per altri versi ignorate; i benestanti si sono difesi, i non privilegiati (magari lavoratori essenziali) hanno subito; i media sono diventati ancora più conformisti; tantissimi hanno paura dell’altro. I toni perentori delle autorità che «prescrivono e proscrivono» poco si confanno all’incertezza relativa agli stessi numeri della pandemia, compresi i dati su mortalità e letalità – come ben spiega Sajay Samuel. Del resto, insieme al terrore e all’abitudine come fattori di obbedienza e di controllo (il digitale impera), Illich ne suggeriva un terzo: la «vita»… mai come stavolta il salmo «salvare vite» è dominante nei «frastuoni apocalittici» (Gustavo Esteva).

C’è un risveglio? In fondo «la pandemia è un portale». Ma, precisa Aldo Zanchetta, è opportuno attraversare questo tempo insieme a Illich che in Nemesi medica (1976) aveva descritto la «controproduttività» nel campo della salute, espropriata da parte della corporazione della medicina. Ricordando sempre Illich e le sue riflessioni sulle «epidemie moderne» (tumori, malattie cardiocircolatorie ma anche diffusissime patologie iatrogene), va sfatato il mito che i grandi passi nell’aumento della speranza di vita nel XX secolo debbano ringraziare soprattutto il ruolo egemone della tecnoscienza medica: in realtà sono stati frutto del cibo, dell’acqua corrente, delle pratiche igieniche e via dicendo.

Adottando uno sguardo illichiano, molto si imparerebbe della pandemia attuale studiando i «mondi altri», «regioni tecnologicamente meno evolute e finanziariamente meno dotate» che hanno registrato politiche meno arroganti e soluzioni dal basso. Evviva la saggia umiltà. Si pensi a certe comunità, soprattutto indigene e contadine, dove «in particolare nel campo della cura sono ancora vivi i saperi ancestrali, talora così ricchi da essere oggetto di biopirateria».

Interessante l’intervista al medico italiano Cippi Martinelli, dal 1996 in Chiapas dove è impensabile l’idea di «isolare, lasciar solo chi soffre», e dove nella contingenza pandemica, il fattore determinante è stato «il lavoro dei promotores de salud, la cura casa per casa», con la costruzione di un «protocollo scalzo» che integra piante medicinali e farmaci poco costosi.

Non che i poteri forti siano contenti di questo tipo di medicina. Illich ricordava che dopo il golpe in Cile (1973) furono assassinati molti fra i fautori di una medicina basata sull’azione comunitaria anziché sull’importazione e il consumo di prodotti farmaceutici.