Il direttore della Ong: “Il governo di al-Sisi sorveglia gli accademici all’estero”.

C’è Mustafa Ali Hassanien, regista e studente di 22 anni del College americano di Staten Island, arrestato il 22 maggio 2020 all’aeroporto del Cairo e da allora ancora in cella; poi Ahmed Samir Santawy, condannato a quattro anni di reclusione per diffusione di false notizie a causa della tesi di dottorato sulle violenze di genere e il diritto all’aborto in Egitto scritta durante gli studi alla Central European University di Vienna; Nadia invece – nome di fantasia – non ha più potuto fare ritorno alla facoltà di Farmacia in un ateneo del Sud-est asiatico dopo che le autorità egiziane le hanno ritirato il passaporto senza una ragione legale, mentre Karim, studente in un Paese del Nord Europa, è stato arrestato al suo rientro al Cairo nel 2015 e interrogato da agenti della Sicurezza nazionale, che hanno chiesto e ottenuto copia di tutti i suoi lavori e, ha detto, “non era la prima volta”; infine Walid Salem, dottorando presso l’Università di Washington, è dal 2017 che non può lasciare l’Egitto e riabbracciare la moglie e la figlia residenti negli Stati Uniti, dopo aver ricevuto un divieto di viaggio.

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Queste sono alcune delle storie di abusi e incarcerazioni subite da universitari e accademici raccolte da EgyptWide nel report ‘Criminalizzare le menti. Studenti e ricercatori egiziani nel mirino del regime’. Il rapporto è stato realizzato dall’organizzazione italo-egiziana alla vigilia dell’udienza del processo a carico di Patrick Zaki, lo studente dell’Università di Bologna cha ha trascorso 22 mesi in detenzione cautelare per diffusione di false notizie prima di essere liberato lo scorso 8 dicembre, anche se il processo nei suoi confronti va avanti. Una storia che ha suscitato una forte mobilitazione civile in Italia. L’udienza si è conclusa con un rinvio al prossimo 6 aprile, una data già scelta in passato due volte durante la vicenda giudiziaria.

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EgyptWide parte dall’assunto che i “casi Zaki” non sono un unicum, anzi rientrerebbero in una “strategia” portata avanti da tutti gli apparati dello Stato. Sebbene “l’Egitto di Al-Sisi stia lavorando alacremente per riabilitare la propria immagine all’estero e presentarsi come un Paese moderno, democratico e inclusivo”, come avverte lo studio, “il Paese rimane un’autocrazia dominata dalle forze armate e dagli apparati di sicurezza“. Questo avviene perché una serie di leggi adottate dal governo del presidente Abdel Fattah Al-Sisi garantiscono all’esecutivo e alle Forze armate di nominare i rettori e i docenti o di disporre licenziamenti, nonché di approvare i piani di studio e i programmi di scambio con gli atenei stranieri.

Tale influenza non risparmierebbe studenti, ricercatori e docenti all’estero che, anche attraverso il ruolo delle ambasciate egiziane nei singoli Paesi, “sono trattati come un’estensione del potere e dell’influenza dello Stato” e soggetti a “una rigida sorveglianza” che li sottopone alla “minaccia di perdere la borsa di studio”, di vedersi “ritirare il passaporto” obbligandoli ad “agire come promotori della nuova, rassicurante narrazione internazionale” sull’Egitto.

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È il caso di Taqadum Al-Khatib, assistente didattico presso l’Università egiziana di Damietta e dottorando all’Università di Berlino. “La sua ricerca – riferisce EgyptWide – era volta a dimostrare l’illegittimità della cessione delle isole egiziane di Tiran e Sanafir all’Arabia Saudita, avvenuta nel 2016”. Nel 2017 riferisce di aver ricevuto “una e-mail di minaccia da parte di Ahmed Farouk Hamed Ghoneim, un rappresentante presso l’ambasciata egiziana a Berlino” che chiedeva di “consegnare il passaporto all’ambasciata se non voleva perdere il lavoro” a Damietta. Su consiglio del suo supervisore in Germania, Al-Khatib ha inviato copia del passaporto e una dichiarazione in cui si garantiva il valore puramente scientifico della sua ricerca. Ciò non ha arginato le minacce, proseguite fino al punto di paventare il ritiro della borsa di studio. La vicenda, come si apprende dal report, si è conclusa così: “Nel febbraio 2021 le forze di sicurezza egiziane hanno fatto irruzione nella casa di famiglia di Taqadum in Egitto, confiscato oggetti e documenti appartenenti ai suoi genitori, e minacciato di arrestare i membri della famiglia se non avessero fornito informazioni su dove si trovasse il dottor Al-Khatib, e sul contenuto del suo lavoro accademico”.

L’obiettivo della politica del Cairo, sostiene EgyptWide, è quindi quella di “mobilitare gli studenti, conferendo loro un ruolo attivo nella strategia oppressiva del regime” contro chi diffonde un’immagine diversa del Paese, in linea con una “crescente pressione su giornalisti e professionisti dell’informazione“. A ulteriore conferma di tale tesi, l’uso ripetuto dello slogan “voi siete i nostri ambasciatori dell’Egitto all’estero” presente sia sul sito web del Centro per il dialogo presso il ministero dell’Emigrazione, nonché motto spesso pronunciato dalla Ministra dell’Emigrazione e degli Affari degli espatriati egiziani, Nabila Makram.

Stando alla testata Cairo24 citata dallo studio, la Ministra dell’Immigrazione Nabila Makram nel luglio scorso ha definito gli studenti “il segmento più pericoloso della diaspora egiziana”, mentre qualche giorno dopo, come riferisce il portale Alestiklal.net, durante una cerimonia con la comunità egiziana in Canada, la ministra Makram “è apparsa in un videoclip in cui ha dichiarato: ‘Cosa succede a chi all’estero parla male del nostro Paese? Sarà stroncato’ e ha mimato il gesto di tagliarsi la gola“.

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“Il nostro rapporto presenta una serie di resoconti e storie che hanno diversi elementi in comune, il che indica la presenza di uno schema” spiega all’agenzia Dire Sayed Nasr, direttore di EgyptWide. L’esperto solleva alcune criticità: “Contattare gli studiosi per analizzare le loro storie non è facile. La maggior parte di loro è sotto sorveglianza e parlare alle organizzazioni per i diritti umani può metterli a rischio. Inoltre ad oggi non esistono dati completi sul numero di studenti e accademici in stato di arresto in Egitto, e ciò rende molto difficile valutare l’entità del fenomeno”. Le autorità egiziane rispetto ai ricercatori oltreconfine “hanno dato prova di ambiguità: da un lato – continua Nasr – negli ultimi anni si è assistito al proliferare di forum pubblici e corsi di formazione rivolti ai giovani per insegnargli l’importanza di diventare ‘ambasciatori dell’Egitto all’estero’, dall’altra gli studenti sono soggetti a rigorosa sorveglianza e intimidazioni“.

In questo quadro “le università straniere possono svolgere un ruolo importante nel sostenere le libertà accademiche degli studenti egiziani” evidenzia Sayed Nasr, che cita “le attività di sensibilizzazione della Central European University sul caso Santawy e dell’Università di Bologna su quello Zaki. Il nostro appello – conclude il presidente di EgyptWide – va alle università, ai sindacati e ai comitati studenteschi per unire le forze a sostegno della lotta per la libertà accademica e la libertà di movimento degli egiziani”.

 

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