Ieri il SIULP ha tenuto una conferenza stampa confermando, di fatto, gli argomenti per cui i torinesi non vogliono più quell’obbrobrio

E’ perfettamente normale, sarebbe un’omissione il contrario, che un sindacato tuteli i propri lavoratori rappresentati, ma le dichiarazioni del Segretario provinciale del SIULP, che ha espressamente parlato di criticità del CPR, hanno investito un ambito più ampio.

Secondo il sindacato coloro che sono detenuti nel CPR sono tutti con precedenti penali “anche gravi“. Tuttavia 30 dei 50 provengono dalla libertà: ma se non sono stati arrestati vuol dire che non hanno commesso alcun reato dopo aver scontato la pena. Nel mondo “degli italiani” chi ha precedenti penali non viene detenuto perché il Questore lo decide e un mero Giudice di pace lo conferma in mediamente 300 secondi di udienza, cosa che avviene ad uno straniero privo di un titolo di soggiorno valido: lo decide un Giudice togato a seguito di un procedimento con precise garanzie.

Quindi, se questi delinquenti sono così pericolosi: perché sono in un CPR e non in carcere?

Eugenio Bravo, il Segretario provinciale del SIULP, inoltre dichiara: “A seguito di provvedimenti della magistratura, soprattutto che ha indagato per sequestro di persona i poliziotti che hanno trasferito all’unità abitativa (lo “ospedaletto”, n.d.r.) il trattenuto (Moussa Balde, n.d.r.), […] (i detenuti nel CPR, n.d.r.) hanno capito che simulare il suicidio poteva essere un’occasione per poter essere messi in libertà“.

Tra l’altro il Segretario ha dichiarato che l’ospedaletto fosse stato sequestrato dalla Procura e invece, come gli è stato fatto notare, non è così.

Qui intravvediamo il primo dei due punti a nostro parere nodali della conferenza stampa: ovvero una posizione di contrapposizione da parte del sindacato di Polizia nei confronti della Procura.

Quella dichiarazione sui provvedimenti della Magistratura è l’emblematica: tra le righe si può evincere che il Segretario ascriva alla Procura la responsabilità di aver innescato un pericoloso sistema di rilascio dei detenuti, che come sostiene, sono tutti “con precedenti penali anche gravi, anche attenzionati per radicalismo islamico“.

Tra le righe il Segretario del SIULP sembra voler mandare un messaggio politico alla Procura: logico dedurre, in questo caso, che possa essere il motivo fondante della convocazione della conferenza stampa.

Veniamo al secondo punto.

Che cos’è esattamente il CPR? Il CPR è una struttura di transito finalizzata al rimpatrio, non è e non dev’essere una struttura utilizzata per la detenzione tout court. Su questo punto si è pronunciato anche il Garante Nazionale delle persone private della libertà personale.

Durante la conferenza il Segretario ha snocciolato alcuni numeri: l’anno scorso sono state rilasciate per motivi sanitari 10 persone, 110 negli ultimi due mesi. Non staremo qui a disquisire sul “balletto dei numeri”  e per la verità non abbiamo neanche verificato.

Qualcuno certamente ricorderà il periodo in cui le casse delle gioiellerie di Cortina d’Ampezzo erano “piantonate” da una persona dello Stato che controllava se venissero fatti gli scontrini, quell’anno e gli incassi scontrinati dei gioiellieri si sono incrementati.

Il Direttore Sanitario del CPR (contrattualizzato da Gepsa s.a., l’Ente gestore privato della struttura), inquisito per sequestro di persona e omicidio colposo, sta semplicemente applicando la norma sulle condizioni psicofisiche ostative alla detenzione nel CPR. Sono stati letteralmente innumerevoli gli atti autolesionistici, in taluni casi pesantemente invalidanti a vita, che sono avvenuti negli anni scorsi nel CPR di Torino, ma non c’era nessuno a “piantonare la cassa” e le persone, in stato psicologico e psichico evidentemente (i numeri sono chiari) non approfonditamente valutato né in entrata e né nel corso della detenzione, hanno continuato ad essere detenute e spesso instupidite (ci risulta fino al 2020, vedremo l’esito delle indagini) di Rivotril fino al disastro: la morte di Moussa Balde.

E’ peraltro confermata, purtroppo, la notizia di suicidio avvenuta al CPR di Gradisca d’Isonzo. Inaccettabili quindi le dichiarazioni che derubricano come “dimostrativi” e “emulatori” i numerosissimi tentativi di suicidio occorsi al CPR di Torino.

Il Segretario dice che le persone restano 90 giorni nel CPR in attesa di identificazione: se si è a conoscenza che hanno precedenti e sono pericolosi è perché li si è già identificati, quindi o rimpatrio o rilascio (per poi applicare le disposizioni di prevenzione del crimine ove necessarie), semplice. Semplice come la norma: l’art. 14 comma 1 del Testo Unico sull’immigrazione sancisce che la persona debba essere trattenuta nel CPR “per il tempo strettamente necessario” al rimpatrio, se il rimpatrio non può essere effettuato occorre rilasciare.

Lo scriviamo da tempo: il CPR appare evidentemente considerato una struttura detentiva per persone prive di un titolo di soggiorno valido, si evince  che la dichiarazione sul problema della commistione tra delinquenti e irregolari, fatta in conferenza stampa, ne sia un’ulteriore conferma.

Per le persone pericolose la legge ha tutti gli strumenti per agire, se non li avesse i delinquenti sarebbero davvero tutti a piede libero. Non è che se uno straniero commette reati non sia soggetto al sistema penale e giudiziario. Si potenzi la prevenzione del crimine (naturalmente nel perimetro normativo), lo si faccia! Così magari si riesce anche a salvare delle vite in più di donne uccise per lo più da un familiare “bianco” e italiano.

Il dichiarare (vivaddio) che le persone con precedenti penali e detenute dovrebbero essere identificate in carcere e da lì rimpatriate, significa di fatto destituire di fondamento i CPR che, quando nati, dovevano essere utilizzati a fini “straordinari”, ovvero la richiesta di rimpatrio immediato (che implica la detenzione nel CPR) non doveva rappresentare una catena di montaggio (peraltro efficientissima, al contrario degli uffici di regolarizzazione) dei respingimenti, ma un’eccezione applicata in casi opportuni.

Quindi il numero dei CPR, ove li si usi appropriatamente, deve diminuire, anzi – stante la proposta di Bravo sul rimpatrio direttamente dal carcere – a rigor di logica azzerarsi, non certo aumentare, tra l’altro a spese della collettività.

Usare politicamente il CPR come strumento di diffusione della paura dello straniero è cosa vecchia, non paga più e il CPR Brunelleschi ormai è “nell’occhio del ciclone”, soprattutto da parte dei torinesi.

Il sindacato di Polizia però, è questo è davvero un punto dirimente, ci sta dicendo che il CPR, una volta che la normativa venga effettivamente applicata, non funziona, che occorre pensare ad “un modo alternativo“, lo ha dichiarato anche il Garante Nazionale che ha chiesto in Parlamento un ripensamento complessivo del sistema della detenzione amministrativa (detenzione a fini di rimpatrio nei CPR), intenzione espressa proprio in occasione della visita ispettiva (avvenuta a giugno dopo la morte di Moussa Balde) al CPR di Torino, a seguito della quale si è recato in Procura. Tutti d’accordo quindi, i torinesi per primi.

Non resta che chiudere quella struttura e farne qualcosa di finalmente utile per i torinesi, magari un bel museo per i bambini, un museo sulle migrazioni, oppure lasciarlo così, magari con un’opera di Banksy a ricordo di Moussa Balde, un luogo ad imperitura memoria, come altri luoghi di oppressione nella storia, ce n’è uno famoso nella “patria” di Orban, molto visitato. Un utilizzo culturale potrebbe con tutta probabilità rappresentare un vantaggio economico per il turismo torinese.

Naturalmente non conosciamo le carte. Nello specifico siamo certi che gli agenti inquisiti, qualora siano innocenti, verranno scagionati.

In foto di copertina: “l’unità abitativa, l’alloggetto, l’alloggio, accatastato come unità immobiliare”.