In Slovacchia una legge che voleva limitare il diritto di aborto è stata bocciata per un voto, ma non c’è da stare tranquilli…

Il parlamento slovacco ha bocciato, con un solo voto di scarto, la proposta di legge che avrebbe reso più difficile ricorrere all’aborto. Una misura – riporta il sito Kafkadesk – voluta dal partito conservatore al governo, OLaNO, guidato dal primo ministro Eduard Heger e dall’ex premier Igor Matovič.

È la seconda volta in due anni che il governo prova a far passare una legge restrittiva sull’aborto, ed è la seconda volta che fallisce nel tentativo ma sempre con uno scarto risicatissimo. Un segno di come anche in Slovacchia ci sia spazio per una visione limitativa dei diritti della donna. La Polonia, d’altronde, è a due passi e l’esecutivo conservatore è allo stesso modo impegnato a difendere quella che chiama “la famiglia tradizionale” dalle minacce portate da una cultura giudicata eccessivamente liberale. La retorica governativa ha dipinto questa legge come un “sostegno alla salute delle donne”. Non si capisce quale sarebbe il sostegno nel rendere più complicato l’accesso a una pratica, quella abortiva, che certo non è un gioco per nessuna delle donne che vi fanno ricorso e che, con questa legge, si sarebbero trovate a dover giustificare per iscritto le ragioni della loro scelta, come imputate davanti a una giuria.

La legge, secondo i suoi estensori, voleva poi combattere la “pubblicità” dell’aborto, ovvero la diffusione di informazioni in merito alle strutture cui rivolgersi in caso di necessità, o quali medici contattare, così da rendere più difficile la scelta. Niente a confronto della legge polacca, così restrittiva da aver già causato la morte di una donna incinta cui, per timore di conseguenze legali, i medici si sono rifiutati di praticare un aborto prima della morte del feto, ma si tratta comunque di un passo nella direzione, già tracciata e molto marcata in Europa centro-orientale, di limitare l’aborto, criminalizzando e stigmatizzando le donne che vi fanno ricorso.

La recente visita pastorale di Papa Francesco in Slovacchia ha sicuramente influenzato il dibattito intorno alla questione. Nel corso del viaggio, infatti, il pontefice ha paragonato l’aborto all’omicidio scatenando il dibattito sul tema. All’indomani della visita, i movimenti pro-vita hanno dato luogo a manifestazioni di cordoglio pubblico “per i bambini non nati” e molti prelati si sono dichiarati contrari al diritto di aborto. Tuttavia la forza del clero slovacco non è paragonabile a quella della chiesa polacca e l’influenza del mondo religioso sulla società è meno decisiva.

Il fatto che la legge sia stata bocciata dal parlamento non significa che la situazione in Slovacchia sia rosea. Uno studio riporta come un terzo dei medici slovacchi sia obiettore di coscienza, ovvero possa rifiutarsi di praticare l’aborto sulla base dei propri principi etici. La conseguenza è la difficoltà di accedere al diritto d’aborto che, pur garantito sulla carta, diventa poco praticabile nel concreto. Un problema che la Slovacchia condivide con l’Italia e con tutti quei paesi in cui i principi religiosi diventano la foglia di fico per nascondere clientelismo e opportunismo.

Le nomine dei dirigenti sanitari dipendono infatti anche da questioni di appartenenza politica. Alcuni medici, inoltre, diventano obiettori per evitare di essere discriminati dai colleghi e da primari obiettori. Altri lo fanno perché gli interventi di interruzione di gravidanza sono operazioni di routine, considerate dai medici poco gratificanti. 

Il risultato di questa situazione è l’aumento di aborti illegali o, per chi se lo può permettere, il ricorso a strutture all’estero. D’altro canto, la Slovacchia è meta di molte donne polacche che vanno nel vicino paese per aggirare i divieti in patria.

Kafkadesk fa infine notare come, secondo alcuni sondaggi, l’opinione pubblica sia contraria a limitazioni al diritto di aborto con ben il 75% degli intervistati contrari a restrizioni. Ma la politica, specialmente in quei paesi, si cura poco del reale sentire della società preferendo narrazioni populistiche e mistificatorie utili alla costruzione di poteri sempre meno democratici.