Vi presentiamo qui la quarta parte dello studio « Spunti per la nonviolenza » realizzato da Philippe Moal, in 12 capitoli. Alla fine dell’articolo trovate i link alle puntate precedenti.

Potremmo chiederci perché farci questa domanda dal momento che la violenza imperversa su tutto il pianeta. Secondo alcuni esperti[1] l’umanità sarebbe sulla buona strada; la violenza sta diminuendo sul pianeta, e gli studi sui processi storici lo dimostrano.

Parto dal presupposto che sociologi e scienziati, autori delle analisi sul tema, siano in buona fede e non pecchino di eccesso di un ottimismo ingenuo e sconsiderato, e che il loro non sia un appello a calmare l’ardore e a relativizzare le critiche sulle cause della violenza.

Detto questo, consultando i diversi studi sul tema, ho constatato che quelli che affermano che ci sia meno violenza oggi rispetto al passato si riferiscono essenzialmente alla violenza fisica, senza tenere conto della crescente complessità del fenomeno, né del salto qualitativo che ha fatto l’essere umano nel corso degli ultimi decenni, che si manifesta con una maggiore sensibilità e coscienza, condannando certi tipi di violenza fino a quel momento considerati normali.

Il famoso scienziato nordamericano Steven Pinker, per esempio, divulga nella sua voluminosa opera La parte di angelo in noi[2] informazioni storiche molto particolareggiate e interessanti, ma quasi non affronta altri tipi di violenza a parte quella fisica. Inoltre, argomenta la sua teoria partendo da un calcolo proporzionale tra violenza e densità di popolazione: in questo modo, la violenza dell’Impero romano è stata, secondo lui, superiore a quella di oggi, perché ha fatto più vittime in proporzione al numero di cittadini dell’epoca. Questa visione può sembrare ingenua o malintenzionata se si pensa ai genocidi e al numero di conflitti armati che devastano il pianeta dalla seconda guerra mondiale in poi, per non parlare del rischio nucleare, vera e propria spada di Damocle sospesa costantemente sulle nostre teste, che si può qualificare come crimine contro l’umanità per anticipazione, sperando che non succeda mai.

Ad ogni modo, il fatto di essere sempre più informati sulle diverse forme di espressione della violenza, non solo fisica, ma anche economica, razziale, religiosa, sessuale, psicologica, morale, strutturale o istituzionale, ci dimostra e ci fa sentire che c’è più violenza di prima e che c’è ancora tanto da fare per umanizzare la società.

François Cusset è uno di quelli contrari all’idea secondo la quale ci sia sempre meno violenza di prima. Nella sua opera Lo scatenarsi del mondo, fa riferimento ai cambiamenti di forme e logiche della violenza, meno palesi che in passato, ma più costanti.

Non è tanto importante comparare o quantificare, quanto comprendere le nuove logiche dell’effrazione: la violenza non è diminuita, ha solo cambiato forma. Non è stata neutralizzata, ma piuttosto proibita da un lato, e sistematizzata dall’altro, sia nelle strutture sociali che nelle disposizioni affettive[3].

Per Simon Lemoine, “il mondo non si è pacificato, come si potrebbe pensare, a forza di progresso; al contrario, la violenza oggi è tanto più efficace quanto è sostanzialmente impercettibile… Le micro-violenze sono polimorfe, ripetute e associate. Lentamente ci influenzano, controllano i nostri comportamenti, inquadrano i discorsi, le azioni e i possibili modi di essere[4]”.

Comunque, basta sollevare la questione intorno a noi per constatare che la maggior parte delle persone pensa che il mondo sia più violento che nel passato, ed è un tema ricorrente che angoscia tutti.

Quanto sopra può essere visto come pessimista e scoraggiante, con l’idea che alla fine non c’è niente da fare, che tutto va di male in peggio sul nostro pianeta sempre più violento. Tuttavia, la convinzione che condivido con migliaia di umanisti che lavorano per un mondo migliore, ponendo le basi di una futura nazione umana universale, non va in quella direzione. La nostra visione del processo dell’umanità è ottimista e abbiamo fiducia nel suo destino, ma senza ingenuità; c’è ancora molta strada da fare per uscire dalla violenza. Per capire meglio la nostra visione, direi che, nel mondo, non è la violenza che sta diminuendo, ma è la nonviolenza che sta aumentando[5], e questo è notevole e incoraggiante. La vera questione allora è come accelerare questa tendenza e agire per far pendere la bilancia a favore di una nuova cultura della nonviolenza.

La fonte principale di violenza nel mondo attuale, la violenza economica, sembra essere al suo parossismo. È stata consolidata nel corso del tempo la legittimità della violenza facendo del denaro la principale, se non l’unica vera forza su tutto il pianeta, molto al di sopra di tutti gli altri valori, e creando un mondo in cui l’avidità ha preso il sopravvento negli spiriti. Il denaro è diventato il centro di gravità dell’umanità, che si appoggia quindi su un valore effimero all’origine di tutti i nostri mali. Il mito del denaro si è imposto, permettendo ogni sorta di mistificazione: “il mercato delle armi garantisce la pace, la povertà è una fatalità, il denaro rende felici…”. I cervelloni del capitalismo inventano teorie che proclamano che l’economia di mercato è un principio naturale universale ed è anche altamente morale. Le dichiarazioni più assurde vengono prese molto sul serio, come quella del vecchio e non rimpianto presidente Trump, che nel 2020 strombazzava: “Lo spazio non è un patrimonio dell’umanità, ce ne approprieremo”.

Scrive Silo: Ecco la grande verità universale: il denaro è tutto. Il denaro è governo, è legge, è potere. E’, nel fondo, sopravvivenza. Ma è anche l’Arte,  la Filosofia, la Religione. Niente si fa senza denaro; niente si può senza denaro. Non ci sono rapporti personali senza denaro. Non c’è intimità senza denaro, e perfino una serena solitudine dipende dal denaro. Ma il rapporto con questa “verità universale” è contraddittorio. La grande maggioranza della gente non vuole questo stato di cose. Ci troviamo allora di fronte alla tirannia del denaro. Una tirannia che non è astratta perché ha un nome, rappresentanti, esecutori e modi di procedere ben definiti. [6]”.

La violenza economica è il fermento di tutte le altre forme di violenza. Contamina ogni campo di attività della vita sociale. A parte l’ingiustizia, la miseria e la violenza fisica che genera, è alla base della discriminazione razziale, si insinua nei poteri religiosi, accompagna le mostruosità sessuali, serve da mezzo di pressione nelle manipolazioni psicologiche, è direttamente responsabile dei danni all’ambiente, corrompe le istituzioni e i suoi rappresentanti, che arrivano a legiferare sotto la pressione dei poteri finanziari. La violenza economica non solo si è normalizzata nella società, si è anche banalizzata, e questo contribuisce alla sua accettazione.

Il 22 marzo 2019, alcuni neuro-economisti dell’Università di Zurigo pubblicavano sul sito dei professionisti della salute Neuroblog lo studio intitolato « Morale o interesse? Come prendiamo le nostre decisioni? Le loro conclusioni furono inappellabili: « La morale ha la precedenza… finché non c’è del denaro in ballo[7] ».

Vedremo nel prossimo capitolo come entriamo nel vortice della violenza, quanto è difficile uscirne e i percorsi per liberarsene.

 

Note

[1] Citiamo in particolare il sociologo tedesco Norber Elias, lo storico francese Robert Muchembled e il ricercatore canadese Jocelyn Coulon.

[2] La parte di angelo in noi, Edizioni des Arènes, 2017, Steven Pinker, famoso psicologo sperimentale americano, specializzato in scienze cognitive, e scrittore popolare.

[3] Lo scatenarsi del mondo, François Cusset, La découverte, 2018, p.15. François Cusset, storico francese, professore all’Università di Parigi-Ovest Nanterre, è autore di numerose opere tra cui La Decade (2006).

[4] Magazine Néon, ottobre-novembre 2018, Simon Lemoine, docente all’università di Poitiers e ricercatore presso il laboratorio metafisico tedesco e di filosofia pratica, autore dell’opera Le Micro-Violenze, il regime del potere nel quotidiano, CNRS Edizioni, 2017.

[5] Conviene sottolineare che denunciare la violenza è una delle forme di azione nonviolenta.

[6] Sesta lettera ai miei amici, Silo, Edizioni Référence, 2004 (© 1993), p. 99.

[7] Neuroblog : https://neuro.santelog.com/2019/03/22/morale-ou-interet-comment-prenons-nous-nos-decisions/

 

Elenco dei capitoli e link per i capitoli già pubblicati:

1- Dove stiamo andando?
2 – La difficile transizione dalla violenza alla nonviolenza.
3- Quei pregiudizi che perpetuano la violenza.
4- C’è più o meno violenza oggi di ieri?
5- Le spirali della violenza.
6- Disconnessione, fuga e iper-connessione (a – Disconnessione).
7- Disconnessione, fuga e iper-connessione (b – Fuga).
8- Disconnessione, fuga e iper-connessione (c – iper-connessione).
9- Le diverse forme di rifiuto della violenza.
10- Il ruolo decisivo della coscienza.
11- Trasformazione o paralisi.
12- Integrare e superare la dualità e Conclusioni.

Traduzione dal francese di Raffaella Piazza. Revisione di Thomas Schmid.