Vi presentiamo qui la terza parte dello studio « Spunti per la nonviolenza » realizzato da Philippe Moal, in 12 capitoli. La prima parte la potete trovare qui, la seconda parte qui.

Molti pensano a torto che la violenza sia naturale, che sia propria della condizione umana, di conseguenza irrimediabile e anzi a volte legittima, e che quindi si possa giustificare e applicare con buona coscienza.

Spesso aggressività e violenza vengono confuse, ma in realtà sono due manifestazioni molto diverse; la prima è istintiva, l’altra è frutto di un condizionamento; la prima è naturale, la seconda no.

L’aggressività si scatena istintivamente. È un atto non premeditato che nasce subitaneo. In generale, dopo un atto di aggressione, si verifica un silenzio, un vuoto, e sento da una parte che ho reagito a un’aggressione in maniera legittima, per difendermi, dall’altra che non ho saputo controllarmi, in balia dei miei istinti. Tuttavia, le immagini possono confluire e la violenza può prendere il posto dell’aggressività. La violenza non è un atto istintivo puro, ma un atto associato a immagini costruite in ognuno di noi sotto forma di credenze, valori, convinzioni, pregiudizi, ecc., di modo che quando provoco un atto aggressivo, c’è un momento preciso in cui, se me ne rendo conto, posso decidere di non lasciare spazio alle immagini che mi faranno precipitare nella violenza.

È stato scoperto un gene nell’essere umano[1] che ci può rendere aggressivi e che esiste anche negli animali, ma nonostante alcune ricerche interessate (per non dire malintenzionate), sappiamo che non siamo dotati di nessun gene della violenza quando veniamo al mondo.

Tuttavia, il gene dell’aggressività può essere potenziato. I sociologi hanno evidenziato molti effetti indesiderati della copertura mediatica della violenza, mostrando il ruolo dell’immagine in alcuni passaggi all’azione e anche nell’esistenza di certi conflitti, e hanno avanzato varie spiegazioni: potrebbe contribuire all’apprendimento di pensieri, atteggiamenti e comportamenti aggressivi, così come della desensibilizzazione emotiva nei confronti delle vittime di aggressioni nel mondo reale, in particolare secondo il lavoro di Farzaneh Pahlavan[2].

Sono frequenti i commenti pseudo-scientifici per etichettare la violenza come naturale negli esseri umani, sebbene gli argomenti non abbiano basi serie. Il più delle volte sono idee buttate lì a grandi linee, come se fossero ovvie. Si potrebbe pensare che il bisogno di catalogare la violenza in questo modo sia dovuto all’angoscia di non poterne frenare la recrudescenza; il che sarà impossibile da fare finché cercheremo le cause all’esterno dell’essere umano invece che nel profondo della sua coscienza.

Già nel 1981, con le dichiarazioni della corrente di pensiero dell’umanesimo universalista, seguite da quelle dell’UNESCO nel 1989, in occasione degli Incontri di Siviglia, e dell’OMS nel 2002[3], è stato confermato che la violenza non è innata, ma si apprende.

La guerra e la violenza non sono programmate geneticamente. I geni non possono determinare da soli i comportamenti. L’evoluzione umana non è stata realizzata in modo da privilegiare i comportamenti aggressivi. Non esiste un vincolo fisiologico che induce alla violenza. Anche nelle situazioni più difficili, i nostri comportamenti vengono filtrati dalle nostre scelte, dai nostri modi di socializzare e dai nostri condizionamenti. La guerra non è istintiva, ma il risultato di una scelta cognitiva[4].

Le conclusioni delle ricerche di rinomati genetisti, come Axel Kahn, vanno tutte in questa direzione[5], così come quelle di neurobiologi come Joachim Bauer, per il quale “la vera causa della violenza nella società non è da ricercarsi nei geni, ma nell’illegalità[6] “.

La maggior parte dei ricercatori di varie discipline è d’accordo su questa linea. Marylène Patou-Mathis dichiarava nel 2015 : « Se ancora oggi certi biologi e psicologi suggeriscono che i comportamenti violenti siano inscritti geneticamente ed ereditari, altri ricercatori, in particolare neuroscienziati, rifiutano questa tesi, in quanto per loro non esiste violenza naturale nell’Uomo. La natura umana non è né buona né cattiva, ma sono i fattori ambientali (di carattere familiare o sociale) che determinano la causa del ricorso alla violenza[7] ».

Tra gli antropologi, queste due tendenze opposte provocano delle ipotesi che alimentano un conflitto essenzialmente ideologico. L’intervista di April M. Short di Local Peace Economy con il grande specialista delle origini della guerra, Brian Ferguson, professore di antropologia e storia all’università di Rutgers, negli Stati Uniti, ribadisce come già Marylène Patou-Mathis che “i primi segnali della guerra sono apparsi circa 10. 000 anni avanti Cristo (…). La guerra non è un riflesso della natura umana, ma un riflesso delle circostanze e potrebbe essere il risultato del modo in cui siamo socializzati nelle nostre società”.

All’interno della comunità antropologica c’è un’opinione diffusa secondo la quale la guerra è una tendenza evoluzionista e innata nell’essere umano, ma c’è anche una frangia che rifiuta questa teoria. Esiste un dibattito a favore di una storia umana anteriore alla guerra, che mostra inoltre che la guerra non è innata nella natura umana, ma è piuttosto uno sviluppo sociale e culturale che ha origine in alcune parti del globo[8].

Perché voler dimostrare che la guerra è una manifestazione innata, se non per provare che la violenza è naturale nell’essere umano… e viceversa? Ma affermare che la violenza sia propria alla condizione umana comporta pesanti conseguenze.

Se andiamo a cercare le diverse definizioni della violenza, a parte qualche eccezione come quella dello scrittore Yves Michaud[9], o quelle di organizzazioni specializzate sul soggetto come l’AVIF[10], constatiamo che queste definizioni si limitano alla violenza fisica[11], il che ovviamente è tutt’altro che vero come spiega la definizione tratta dal dizionario del Nuovo Umanesimo:

Quando si parla di violenza, si fa generalmente allusione alla violenza fisica in quanto questa è l’espressione più evidente dell’aggressione corporale. Altre forme di violenza, come quella economica, razziale, religiosa, sessuale ecc. in varie situazioni possono agire nascondendo il proprio carattere e sfociando, in definitiva, nell’assoggettamento dell’intenzione e della libertà umane. Quando queste forme si rivelano in modo manifesto, si esercitano anche attraverso la coazione fisica. Correlativa ad ogni forma di violenza è la discriminazione. [12] “.

Esistono anche dei pregiudizi sulla nonviolenza. “è un’utopia, è inefficace, è inutile, anzi è al servizio dei poteri violenti”. Quindi sarebbe un’illusione, un sogno, una perdita di tempo o, peggio ancora, una collaborazione con chi esercita la violenza.

I più informati concordano nel dire che l’ahimsa[13], tratto dai testi sacri sul Giainismo, che risale a 2.500 anni fa, è all’origine del termine nonviolenza, reso popolare da Gandhi intorno agli anni 30. Tuttavia bisogna ritornare indietro di molto tempo per ritrovarne le prime manifestazioni: “La nonviolenza viene da molto lontano. Si è formalizzata nell’Ahimsa, 2.500 anni fa, ma nasce molto prima, forse 100.000 anni fa. Fa parte di ciò che l’essere umano porta con sé e che non ha ancora potuto plasmare; è qualcosa che forse viene da ancora più lontano, che era presente già nella coscienza dell’ominide. La nonviolenza sorge fin dagli albori dell’essere umano. È relazionata al Si e al No che si mescolano all’interno di ognuno di noi[14] ».

I pregiudizi sono impregnati dentro di noi da tempi ancestrali. I primi segnali della violenza guerriera sono apparsi, secondo gli antropologi, con l’avvento della metallurgia e del commercio a lunga distanza. Ma la violenza interpersonale e psicologica di sicuro esiste fin dalle nostre origini e possiamo supporre, senza rischio di sbagliarci, che i nostri antenati abbiano anche saputo resistere alla tentazione della violenza nei momenti di discordia, di gelosia, di invidia, di desiderio di possedere ecc.

Quanto alla violenza organizzata o sociale, lo psicologo Steve Taylor stima che sia apparsa nell’essere umano soltanto seimila anni fa, a causa di un cambiamento nella psicologia collettiva legato a patologie sociali come la dominazione maschile, la guerra e le diseguaglianze sociali; una tesi che sviluppa nella sua autorevole opera: La caduta[15].

Una lunga successione socioculturale fatta di tradizioni, di costumi, di regole di vita, di valori e credenze fa sì che la violenza si perpetui in tutte le sue forme. Come disinnescare questi pregiudizi che valorizzano la violenza con la scusa che è tradizione o che è sempre stato così, o ancora che è la nostra natura?

Sono ancora molti quelli che pensano e che dicono: “Noi siamo esseri violenti, è la nostra natura, è un problema, ma non ci possiamo fare niente. D’altra parte la violenza è anche una soluzione, non si finirà mai con questa storia”. In altre parole, cercare di convincere del contrario e modificare questo condizionamento visto come determinismo è una sfida titanica, perché alla fine significa lasciare una cultura per un’altra e modificare le fondamenta della nostra civiltà per entrare in un mondo nuovo, libero dalla violenza. C’è tanto lavoro da fare!

 

Note

[1] Già negli anni ’60, i ricercatori hanno scoperto negli uomini con due cromosomi Y una predisposizione all’aggressività più forte del normale, suggerendo che l’aggressività fosse più maschile, ma è stata trovata nel cromosoma X (specifico per le donne) una variante del gene chiamata monoammina ossidasi A, i cui portatori sono più impulsivi di altri.

[2] Farzaneh Pahlavan, docente all’Istituto di psicologia dell’università René Descartes, Paris 5.

[3] Primo rapporto mondiale sulla violenza e la salute, Organizzazione mondiale della Sanità, 2002: https://apps.who.int/iris/bitstream/handle/10665/42545/9242545619_fre.pdf;jsessionid=AA4B7A8DBBF2A64CA5A897F7817E2993?sequence=1

[4] Manifesto di Siviglia :     http://demilitarisation.org/IMG/pdf/manifeste_de_seville_avec_resume.pdf, Unesco 1986

[5] L’uomo, questo giunco pensante. Saggio sulle radici della natura umana, Nil Edizioni, 2007, p 66 e 170. Axel Kahn, scienziato, genetista e saggista francese, direttore delle ricerche all’INSERM (Istituto Nazionale della Salute e della Ricerca Medica).

[6] La violencia cotidiana y global (La violenza quotidiana e globale), Plataforma Editorial, 2013, Joachim Bauer, medico psichiatra tedesco.

[7] Preistoria della violenza e della guerra, Odile Jacob, 2018, p. 133, Marylène Patou-Mathis, direttrice delle ricerche al CNRS e vice-presidente del cosiglio scientifico del Museo nazionale di Storia naturale.

[8] La guerra non c’entra con l’umanità – un futuro pacifista è possibile, intervista del 24 gennaio 2021 pubblicata sul sito dell’agenzia di stampa Pressenza : https://www.pressenza.com/it/2021/02/la-tendenza-a-fare-la-guerra-non-e-innata-nelluomo-intervista-allantropologo-brian-ferguson/, April M. Short, dell’« Independent Media Institute ».

[9] Violenza e politica, Gallimard, Paris, 1978, p. 20. Yves Michaud, filosofo francese, autore di numerose opere sulla violenza. “Vi è violenza quando, in una situazione di interazione, uno o più attori agiscono direttamente o indirettamente, tutti in una volta o gradualmente, danneggiando una o più persone in varia misura, sia nella loro integrità fisica sia nella loro integrità morale, sia nei loro beni, o nelle loro partecipazioni simboliche e culturali”.

[10] AVIF (Azione sulla violenza e intervento familiare): associazione con lo scopo di promuovere una società senza violenza attraverso azioni rivolte a uomini e adolescenti che usano comportamenti violenti: https://avif.weebly.com/mission-et-approches.html

[11] OMS (Organizzazione mondiale della Sanità) : “La violenza è l’uso intenzionale della forza fisica, delle minacce contro gli altri o contro se stessi, contro un gruppo o una comunità, che provoca o può provocare traumi, danni psicologici, problemi di sviluppo o decesso”. CNRTL : “Forza esercitata da una persona o da un gruppo di persone per sottomettere, costringere qualcuno o per ottenere qualcosa”. Enciclopedia Universalis: “Nel senso più immediato, la violenza si riferisce a comportamenti e azioni fisiche: consiste nell’uso della forza contro qualcuno, con il danno che ciò comporta”.

[12] Dizionario del Nuovo Umanesimo), pag. 104: http://www.csusalvatorepuledda.org/dokuwiki/lib/exe/fetch.php?media=cmsu:silo_dizionario_del_nuovo_umanesimo_1996.pdf

[13] Ahimsa : significa letteralmente nonviolenza e in maniera più generica rispetto della vita o l’atto di non causare danno a nessuno. Pratica fondamentale del Giainismo, religione indiana risalente a 2500 / 3000 anni fa.

[14] Silo. Il maestro del nostro tempo. Multimage 2013, pag. 165, Pia Figueroa, investigatrice umanista, codirettrice dell’agenzia di stampa internazionale Pressenza.

[15] La caduta, Éditions AdA, 2013, Steve Taylor, autore di numerosi best-sellers di psicologia e spiritualità.

Traduzione dal francese di Raffaella Piazza. Revisione di Thomas Schmid.