Alla giornata delle elezioni comunali in molte delle principali città italiane, Napoli è giunta animata da un mix di irritazione, al cui fondo si intravede la tensione di una rabbia sociale che esiste e di un conflitto sociale che non è affatto sopito e un’inquietudine, tra difficoltà del quotidiano e speranza di riscatto. Il quadro nazionale assegna alle forze del cosiddetto campo democratico, la nuova edizione del centrosinistra basata sul ruolo cardine del PD e sul dialogo aperto con il “nuovo” Movimento 5 Stelle, un successo complessivo, a parte la città di Roma e addirittura la vittoria al primo turno a Milano, Bologna e Napoli. E se Napoli non rappresenta la sorpresa rispetto agli umori della vigilia, certo è quella che suscita una serie di riflessioni, dopo la stagione dell’amministrazione de Magistris.

Partiamo, anche in questo caso, dai dati ultimi finalmente a disposizione, con il totale delle sezioni scrutinate (884), che assegnano a Gaetano Manfredi, il candidato di centrosinistra (PD, sinistra moderata, forze civiche, alcune delle quali espressione del centro e delle forze conservatrici e centriste) e Cinque Stelle, quasi il 63% delle preferenze e una netta vittoria al primo turno. Catello Maresca, il candidato della destra, in primo luogo Forza Italia e Fratelli d’Italia, dal momento che la lista espressione della Lega non era stata ammessa al voto, ottiene poco meno del 22% delle preferenze. Antonio Bassolino, ex sindaco di Napoli ed ex presidente della Regione Campania, oltre che ex Ministro del Lavoro e personalità storica del PCI e della sinistra napoletana, arriva all’8.2% delle preferenze. Alessandra Clemente, ex assessora della giunta comunale uscente, candidata dal sindaco Luigi de Magistris ed espressione di una coalizione civico-politica orientata a sinistra (Clemente Sindaco, Napoli 20-30, Potere al Popolo!), ottiene il 5.6% e il resto viene variamente diffuso tra i tre candidati outsider, vale a dire Matteo Brambilla, già Consigliere Comunale, fuoriuscito dal Movimento 5 Stelle con la lista Napoli in Movimento – No Alleanze, Giovanni Moscarella, con la lista 3V, Verità – Libertà e infine Rosa Solombrino, del Movimento Equità Territoriale. Pesa e preoccupa il dato dell’astensione, circa il 53%.

Per capire come si sia giunti a una simile avanzata del centrosinistra non si può fare a meno di gettare lo sguardo al modo in cui si è usciti dall’esperienza della giunta de Magistris, con riferimento in particolare alla sua seconda consiliatura e al modo in cui si è sviluppato il dibattito pubblico che ha animato questa campagna elettorale. Quest’ultimo elemento, se in altre circostanze può risultare meno determinante, ha avuto invece un impatto indubbiamente incisivo in questa circostanza, segnata da una campagna elettorale lunghissima, perché legata a tempi di svolgimento del voto che, inizialmente previsti in primavera, sono poi slittati, causa “governo della pandemia”, alle date ultime del 3 e 4 ottobre. Una campagna inaugurata di fatto dalla prima candidatura offerta al dibattito pubblico, quella dell’ex sindaco Antonio Bassolino il giorno 13 febbraio, immediatamente seguita da quella dell’assessora comunale Alessandra Clemente, che ha ufficializzato la sua candidatura il 19 febbraio, dopo che sin dalla fine dell’anno precedente era stata di fatto lanciata dal sindaco uscente, Luigi de Magistris. Dunque, otto mesi (se non di più) di campagna elettorale, un tempo lungo per fare vivere temi e animare il dibattito, confrontarsi e interrogarsi sulla città e sul suo futuro.

Napoli è arrivata a queste elezioni, del resto, in un panorama segnato da luci ed ombre: luci particolarmente vivide, in alcuni casi, trattandosi della città, unica tra le grandi in Italia, che ha rispettato il mandato referendario di mantenere pubblico il servizio idrico; che ha mantenuto aperto un dialogo con gli spazi sociali e i luoghi del conflitto, tanti e diffusi, che animano la sua dinamica sociale e arricchiscono la sua vitalità democratica; che ha retto alla prova del bilancio, pur tra mille difficoltà e contraddizioni, ma evitando sino alla fine il rischio del commissariamento, a favore del quale, peraltro, pezzi non irrilevanti delle forze politiche ed economiche della “capitale del Mezzogiorno” pure non avevano mancato di spendersi. Ma non solo luci hanno costellato il percorso amministrativo, in particolare nel passaggio dalla prima alla seconda consiliatura del sindaco de Magistris. La tensione positiva sui temi della partecipazione democratica e delle sperimentazioni sociali si è andata affievolendo, non sempre si è riusciti a garantire continuità ed efficacia all’azione amministrativa (qualcuno si è preso la briga di contare ben undici rimpasti in dieci anni e 35 nomine in giunta a partire dal 2011), il tema ampio e complesso del “governo della città” è venuto sempre più affermandosi, con una gestione problematica del quotidiano (dalla manutenzione stradale alla viabilità, dal trasporto pubblico locale all’efficacia dei servizi sociali di prossimità), certamente aggravata dalle note ristrettezze di bilancio, ma che ha contribuito a rendere non meno faticosa la vita quotidiana in una città come Napoli.

Appunto, una città come Napoli, una città peculiare, forse unica nel suo genere: deve sapere coniugare, nella vitalità del suo spazio sociale e nella complessità della sua dinamica democratica, entrambe le dimensioni, di città metropolitana, profondamente urbanizzata e interconnessa e di grande capitale europea e mediterranea, città di mare, di arte e di cultura, con una vocazione naturale al pluralismo, alla complessità e all’inclusione. I numeri di queste elezioni potranno forse indicare, più che un “richiamo alla normalità”, come pure si è detto, soprattutto un richiamo all’efficacia del “governo della città”. Il che non potrà non aprire uno spazio nuovo di attivazione e di conflitto sociale capace di rigenerare la stessa democrazia.