Mario Draghi, il più perfetto rappresentante di una generazione antiquata di banchieri, politici, manager, baroni universitari e giornalisti che non è in grado di fare i conti con la crisi ambientale e climatica ormai in pieno corso. Non ci ha mai veramente pensato; aveva altro da fare. E oggi non ha la minima idea di come affrontarla.

Draghi è abituato solo a maneggiare miliardi (altrui, anche se qualcosa gli può sempre rimanere attaccato alle dita): il suo orizzonte mentale, prima ancora che culturale, non va al di là di questo.

Draghi non è Salvini. Non è analfabeta. Ha letto a sufficienza per sapere che cos’è la crisi climatica e ambientale e quanto tempo (poco) ci resta per cercare di smorzarla, se non di fermarla. Sa che non darà tregua al popolo degli umani che l’hanno scatenata; anche a coloro che non ne recano alcuna responsabilità, non solo esseri umani, ma tutti – o quasi – i viventi. Se Draghi si è circondato di negazionisti climatici – come, ma non solo, il perfido Carlo Stagnaro – non è detto che sia un negazionista anche lui. E’ più probabile che pensi che avere intorno dei cretini gli lasci di più le mani libere. Ma per fare cosa?

Draghi, come tutti quelli come lui, è un negazionista di fatto. Della crisi climatica non gli importa nulla. Pensa alla “crescita”. Si vanta di aver orientato il PNRR in funzione della crescita, il che vuol dire spendere, in qualsiasi modo, purché in fretta e senza intoppi, tutti i denari che l’Unione Europea affiderà forse (il forse è d’obbligo) al nostro paese. Più quelli del “fondone” da 40 miliardi che vi ha aggiunto di suo (di suo, ma a nostro debito, come peraltro gli altri) per far gonfiare il PIL nel più breve tempo possibile. Poco importa se tutti o quasi gli interventi promossi – gasdotti, centrali termiche, autostrade, alta velocità, auto (elettrica e non), incentivi e sostegni al turismo e alla moda – dovranno tra non molto essere buttati nella spazzatura, perché resi inutili dal peggioramento delle condizioni climatiche e ambientali che hanno cominciato (solo cominciato) a sconvolgere il pianeta.

Di questo passo ci troveremo privi di tutti quei presidi che potrebbero concorrere a rendere la vita delle future generazioni accettabile, anche se in condizioni molto più ostiche di oggi: una forte riduzione dei consumi superflui, dell’utilizzo di materiali e del fabbisogno di energia, coperta, quest’ultima, interamente da fonti rinnovabili; una mobilità con mezzi, di massa e personali, interamente condivisi; un’agricoltura biologica e di prossimità; la città dei 15 minuti; il riassetto idrogeologico di tutto il territorio; almeno un miliardo di alberi in più; un servizio sanitario efficiente; un reddito di base per tutti quelli che rimarranno senza lavoro; un sistema di accoglienza dei profughi e dei rapporti con le loro comunità di provenienza che spinga tutti a non vederli più come nemici.

Certo Draghi, come tutti i suoi simili, guarda lontano: ma non al futuro, che non gli interessa, bensì alla “comunità” internazionale dei “grandi della Terra”, che continuano a non avere altro metro di misura del successo o dell’insuccesso di una politica che il PIL, “la crescita” (il nome con cui viene oggi chiamata l’accumulazione del capitale di cui un tempo parlava Marx) da cui – lo dice la “scienza” – dipendono tutte le altre variabili, economiche e non: occupazione, reddito, benessere e progresso (per pochi; e sempre meno); potere, consenso.

La Terra ci sta però dando un assaggio – da parecchi anni, ma soprattutto negli ultimi due – delle condizioni in cui dovranno vivere, se sopravvivranno, le prossime generazioni: se non è incendio è alluvione; se non è uragano è siccità; se non è inquinamento è pandemia; se non è carestia è migrazione di massa; se non è guerra è terrorismo. Oppure anche tutte queste cose insieme. Oggi qua e domani là. Ma sempre di più, qua per tutti.

Logico che le nuove generazioni non intendano accettare questa prospettiva senza ribellarsi e che siano scese in piazza a milioni, prima del covid. Ma lo faranno di nuovo, comunque, e ancora più numerosi, il 24 settembre nel mondo e anche il 1° e 2 ottobre in Italia – per far sapere a tutti che “non sono d’accordo”. E ci mancherebbe! E che a questo punto, dopo che per due anni hanno fatto l’esatto contrario di quello che a buon diritto gli ingiungevano Greta Thumberg e il movimento Fridays for Future, ai governi di tutto il mondo non resta altro da fare che sloggiare.

Sono tutti antiquati, di destra, di sinistra e di centro. Draghi ha chiarito a tutti – se mai ce ne fosse stato bisogno – che vogliono tutti le stesse cose. E che cosa vogliono? Nient’altro che quello che Draghi gli dice che devono volere. Non hanno la minima capacità di dare il peso che meritano alle minacce che incombono su tutto il pianeta. Per questo devono passare la mano a una nuova generazione; che sa che cosa vuole, anche se non ha, e non vuole avere, esperienza del loro modo di fare politica e di governare.

E’ una generazione in cui cresce la consapevolezza che l’inferno a cui la stanno condannando può forse essere ancora arginato, ma che molti dei processi innescati sono ormai irreversibili, tanto che le misure da prendere dovrebbero avere di mira soprattutto l’adattamento a condizioni di vita improbe, senza illudersi di poter più ritrovare la Terra nelle condizioni in cui la hanno ereditata le generazioni di oggi, di ieri e dell’altro ieri. Per questo, prima Mario Draghi, i suoi colleghi, i suoi pari e i loro collaboratori si levano di torno, meglio sarà per tutti.