Alfredo, raccontaci brevemente la tua storia

Nato e cresciuto a Buenos Aires, militante politico, ero all’ultimo anno di liceo all’epoca del colpo di stato del ’76. A quel punto vennero chiuse le facoltà “sovversive” di sociologia, psicologia e antropologia e io andai a studiare all’università dei gesuiti, dove chiudevano due occhi nei confronti di coloro che non potevano frequentare l’università pubblica. A quel tempo l’attuale papa era il capo dei gesuiti in Argentina, lo conobbi allora e fui uno di coloro che lui salvò permettendomi di andare in Brasile. In quegli anni di università ero direttore di una rivista culturale clandestina, stampata e distribuita a mano. Così finii nel mirino della dittatura, venni detenuto per un po’ e liberato poi grazie a dei giri familiari e da lì scappai dal paese prima che cambiassero idea.

Rimasi due anni a San Paolo in Brasile, poi fu bene andar via anche da lì. Riuscii a partire nel 1981 grazie all’aiuto di due ex partigiani italiani, dirigenti di imprese italiane a San Paolo, che avevano creato una via di fuga per chi doveva scappare. Uno di loro, dirigente di una ditta di costruzioni torinese, era anche console onorario della Costa d’Avorio; questo gli consentiva di avere un’auto con targa diplomatica sulla quale salii per essere accompagnato a Santos, dove mi fecero salire su una nave cargo della Costa Armatori, di cui l’altro era dirigente.  Viaggiai insieme a pompelmi e carne e in un mese e mezzo arrivai a Genova. Conclusi gli studi a Milano all’Università Cattolica grazie ad una borsa di studio delle Nazioni Unite.

L’accoglienza della solidarietà italiana, a partire da questo circuito di ex partigiani, fu eccezionale. C’era ancora quel clima culturale e politico che aveva accolto brasiliani, cileni, uruguayani e argentini, scappati dai rispettivi colpi di stato. Nel giro di una settimana avevo casa, lavoro, vestiti, amici… Certo erano anni in cui in Italia non esisteva quasi l’immigrazione, quindi era più facile anche per i permessi, non c’erano code in questura.

All’inizio in Italia ho fatto le pulizie nelle case, mi sono improvvisato muratore, ho pulito vetrine, ho insegnato spagnolo, poi ho lavorato a lungo nel campo dell’antiquariato, girando nei fine settimana per i mercatini e occupandomi di quello che mi interessava negli altri giorni. Sono tornato la prima volta in Argentina nell’84, col governo Alfonsin, come inviato di Radio Popolare. Poi sono entrato nel mondo della cooperazione internazionale e nel giornalismo a tempo pieno.

Torniamo agli anni Settanta. Come viveste l’inizio della dittatura?

La preparazione del golpe fu probabilmente breve; pochi giorni prima noi cogliemmo degli strani annunci nella stampa, con appelli patriottici. La situazione era totalmente caotica e fuori controllo, in molti non vedevano l’ora che qualcuno “mettesse ordine”. Cominciarono col controllo dell’informazione, canali radio, tv, telefoni, ferrovie. Poi seguirono i proclami pubblici e per un paio d’anni furono molto bravi a nascondere la parte peggiore di ciò che facevano: il rastrellamento notturno e i campi di concentramento. C’erano state in passato delle dittature in Argentina, ma non avevano avuto queste conseguenze.

Questa era una dittatura civile-militare. Ogni tanto spariva qualcuno e non tornava più. Nel ’78, quando ci furono i mondiali di calcio, si cominciò a sapere qualcosa: che cos’era l’ESMA per esempio, un centro di tortura davanti allo stadio dove giocavano le partite. Dopo tre anni di dittatura tutti sapevano più o meno cosa stava succedendo, cosa facevano quelle macchine senza targa che si vedevano in giro. La paura fece molto e le forme di resistenza tardarono ad arrivare. La guerra delle Malvine dell’82 ridiede fiato ai militari, che altrimenti sarebbero stati in forte declino. Se non avessero perso quella guerra sarebbero rimasti a lungo al potere.

Non è facile spiegare la realtà politica argentina, che è davvero un caso a parte anche rispetto agli altri paesi latinoamericani. La politica argentina, come il partito peronista, è un grande caos. Il peronismo che “cadde” nel ’76 era un fascismo sostenuto dal peggio della società argentina, che aveva già iniziato l’opera poi continuata dai militari. C’è da dire che in Argentina dagli anni Sessanta c’era il più grande movimento di lotta armata del continente, i montoneros (che erano la punta “sinistra” dello stesso movimento peronista!) e poi c’era l’ERP (l’esercito rivoluzionario del popolo). La guerra sporca contro queste guerriglie iniziò con Isabelita Peron nel 1975, quando venne creato un gruppo paramilitare denominato “AAA”. I militari continuarono con questa repressione, la generalizzarono, reprimendo tutto il tessuto politico rivoluzionario e progressista e avviarono le politiche neoliberiste che allora non avevano ancora questo nome. Capite bene che fu una storia completamente diversa da quella del golpe contro Salvador Allende e il suo governo. In Argentina, per esempio, i militari avevano un partito vero e proprio. L’Argentina dal 1920 al 1980 è stata in balia di questi tre blocchi di potere: esercito, peronismo, poteri forti economici (con qualche comparsa di presidenti radicali, ma poca cosa…). Nel 1976 iniziò un massacro come non c’era mai stato. Ma in Argentina la scia di colpi di stato è lunga e arriva fino ai primi del ‘900. Lo stesso Peron era ministro nel ’43 quando l’Argentina non dichiarò guerra alla Germania nazista; non a caso molti nazisti poi si rifugiarono lì.

Descrivici meglio l’Argentina, un paese immenso, con un’enorme capitale e pochi abitanti

Fino al 1950 circa l’Argentina è stata uno dei paesi più ricchi al mondo, anche come reddito pro-capite; fino ad allora c’era ancora immigrazione europea, italiana in particolare. Ai primi del ‘900 era uno dei primi tre paesi al mondo per ricchezza, poi è andata calando, ma nel 1950 era più ricca dell’Europa mediterranea. Negli anni Ottanta comincia un declino che porta all’attuale 40% di poveri, arrivando a proporzioni “latinoamericane” come non era mai successo nella sua storia. Buenos Aires ha una storia tutta sua e nasce come “città-stato” che “guarda verso l’Europa e dà il culo al resto del paese”. Ha l’ambizione di essere una grande metropoli collegata all’Europa e agli Usa attraverso l’oceano. Non si vede come città latino-americana o argentina, ma come Buenos Aires punto e basta. La seconda città al mondo ad avere la metropolitana, la prima con l’acqua potabile in America Latina, costruita con mano d’opera e materiali arrivati dall’Europa.

Il rapporto tra Buenos Aires e il resto dell’Argentina e dell’America Latina è stato sempre conflittuale e complicato. All’inizio del ‘900 ogni tre abitanti, due erano nati in Europa. Era un’entità cosmopolita a sé e si riteneva tale. Era soprattutto italiana (in particolare piemontesi, liguri e friulani), ma anche spagnola, francese, tedesca, svizzera, inglese… Non a caso la sua musica, il tango, non c’entra nulla con il Sudamerica e oramai sono indubbie le sue origini italiane. Il tango riprende le liriche napoletane dell’800 con molti luoghi comuni: l’immigrato solo e maschio che ricorda il passato, le madri sante e le donne puttane. Anche scrittori come Borges o Cortazar potevano essere nati ovunque nel mondo, così come un musicista come Piazzolla.

Ci sono province del Sud dove trovi la “sagra della bagna cauda” o nel Nord vicino a Missiones ci sono zone dove si insediarono svizzeri e ucraini e vedi bimbi biondi poveri e scalzi che non ti aspetteresti mai.

Oggi l’Argentina è cambiata molto, eppure attira ancora molti immigrati: questa volta sono soprattutto boliviani, paraguayani, venezuelani e la musica più tipica è la cumbia. Anche la cucina sta cambiando; quelli che non cambiano sono i proprietari delle ricchezze, che sono sempre gli stessi.

Dove vivono gli indigeni in Argentina?

Del presunto milione di indigeni, due terzi sono agricoltori poveri che vivono nelle Ande, nelle regioni di Salta e Jujui. Quelli del Chaco, gli ultimi a essere stati sconfitti (gli ultimi massacri risalgono agli anni ’40 del ‘900), sono così miseri che ogni tanto i loro bimbi muoiono di fame. Poi ci sono i Guaranì nella provincia di Missiones e tutto il mondo Mapuche nel Sud. I Mapuche sono soprattutto in Cile, ma lottano anche in Argentina cercando di recuperare e occupare le loro terre (in buona parte accaparrate dalla famiglia Benetton, il più grande proprietario terriero dell’Argentina, con più di un milione di ettari).

Dimmi qualcosa sui gesuiti in America Latina

Fin dalla costituzione dell’ordine, i gesuiti si sono dati due compiti prioritari: educare i figli dei nobili e fare i confessori. Questo li ha messi a diretto contatto con il potere e gli ha permesso di conoscerlo molto bene. Sono quindi una punta avanzata, anche della diplomazia vaticana, conoscono gli archivi e i segreti e hanno un importante ruolo nella formazione della classe dirigente. I salesiani, per esempio, hanno il compito di educare i figli dei poveri, i gesuiti no. Draghi e Fidel Castro sono frutto dei gesuiti…

In America Centrale si sono schierati nel campo progressista, anche nella teologia della liberazione, in America Latina sono tutti figli dell’esperienza delle Missioni gesuite, che in effetti sono state un esempio sociale (precedente a Marx) davvero particolare e non a caso represso. Una forma di comunitarismo che non prevedeva la proprietà privata. Quando studiavo a Buenos Aires ho avuto accesso agli archivi che erano stati messi in salvo nelle Missioni. Bergoglio è un’espressione tipica di quella cultura e non a caso è un peronista conservatore. Ecco perché qui fate fatica a capirlo e vi chiedete se è di destra o di sinistra… E’ peronista. Sulla dottrina morale, sull’omosessualità, sull’aborto, non si può “chiedergli molto”… Sull’economia si trovano molti più punti in comune e lui vi ha aggiunto l’ambiente. Da buon gesuita ha una visione comunitaria in cui il denaro è peccato mortale (sterco del diavolo, etc…). Visto dall’Argentina è del tutto normale, è tutto e il contrario di tutto. E’ il peronismo, dove negli anni  Settanta coesistevano fascisti dichiarati e coloro che volevano fare la rivoluzione socialista.

Vedi qualche analogia coi 5 stelle?

Moltissime. Come dicevano a suo tempo i peronisti: né con gli USA né con l’URSS. Menem e Kirchner erano dello stesso partito e hanno fatto cose opposte.

Un’ultima domanda: cosa sono state per voi le madri di Plaza de Mayo?

Sono state importantissime: all’inizio erano un gruppo sparuto, qualcuno di noi andava a vedere il giovedì se c’erano ancora, senza potersi avvicinare perché altrimenti una volta che ti allontanavi ti avrebbero portato via. Inizialmente le hanno represse, poi le hanno lasciate fare, come dentro a una bolla. Solo dopo anni, nell’80, hanno potuto uscire dal paese e raccontare. Sono state una fonte di informazione importantissima, hanno rappresentato l’unica forma vera, autentica di resistenza durante la dittatura. Chi ha avuto mano libera durante la dittatura è stato il Partito Comunista che sosteneva Videla, con la motivazione che bisognava sostenere le colombe rispetto ai falchi. In realtà i militari erano un ottimo alleato economico dell’URSS. Quando nel 1980 i russi invasero l’Afghanistan e venne decretato l’embargo mondiale, l’unico paese che continuò a commerciare con loro fu l’Argentina dei militari. Le condanne dell’ONU nei confronti della dittatura argentina non sono mai passate per il veto russo. Così il Partito Comunista argentino, di stretta osservanza sovietica, non venne toccato e i loro cinema e teatri a Buenos Aires continuarono a funzionare durante quegli anni. Quindi avevi la settimana del cinema sovietico o l’opera di Bertold Brecht a teatro, mentre fuori c’erano le macchine in cui sparivano le persone. Surreale. Una delegazione del PC argentino venne in Italia per convincere il PCI che quei militari andavano bene.

Per concludere voglio dirti che il tema sociale in Argentina è urgente, la povertà è tanta e non ci sono ricette né da destra (che lascerebbe mano libera al mercato) né da sinistra (che poi in Argentina vuol dire peronismo). Il governo attuale da anni ha creato un welfare potente, con aiuti e reddito di cittadinanza per molti, dalle donne incinte, ai bambini, ai poveri, ma sappiamo bene che questi aiuti sono una risposta a un’emergenza, non spostano gli equilibri, non creano cambiamento e giustizia. Il clima è difficile, quasi insurrezionale, come nel 2001. Staremo a vedere.