Continuano le indagini sull’inquinamento della Caffaro di Brescia di cui abbiamo già parlato in vari articoli.

La falda si è alzata di 7 metri in soli due anni e la barriera idraulica non sta filtrando lo strato più superficiale dell’acquifero. Secondo le ultime analisi di Arpa, la falda sotto lo stabilimento Caffaro non è avvelenata solo da cromo, mercurio, Pcb, solventi, ma anche da clorati, ovvero sali utilizzati fino ad ottobre 2020 dalla società Chimica Fedeli nei suoi cicli produttivi, che ora sta smantellando parte degli impianti.

I livelli record si trovano nel reparto clorato, utilizzato per 10 anni dall’azienda del gruppo Todisco e nel magazzino del deposito rifiuti. Secondo i dati, in falda, arrivano a 605 mila microgrammi litro.

Si tratta di sostanze nocive che sono uscite dal perimetro dello stabilimento espandendosi anche vicino al campo d’atletica Calvesi, dove sono stati rilevati 1.900 microgrammi.

Non ci sono limiti di legge per la falda, ma per l’acqua potabile non possono superare i 700 microgrammi, che, con la direttiva UE 2020, sono scesi a 250. E qui si apre un altro capito: il tema “dell’inquinamento tollerato entro i limiti di legge”, ignorando completamente lesposizione multipla ad agenti chimici e quanto questi possano incidere a livello nanopatologico e nanotossicologico.

A differenza di mercurio, Pcb, arsenico e solventi vari, «marchi» di fabbrica della precedente società, fallita nel 2009, l’inquinamento da clorati, così come quello da cromo esavalente, dovrebbe essere responsabilità di Caffaro Brescia.

La scoperta che sembra preoccupare, è che la falda fino al 2019 era rimasta tra 113 e 115 metri sul livello del mare, mentre ora è arrivata a 120,3 metri.

Arpa ha anche scoperto che, negli ultimi mesi, la barriera idraulica, ovvero il sistema di pompaggio e filtraggio dell’acqua di falda pensato per evitare che questa salga a toccare il terreno zuppo di veleni, ha funzionato a stenti.

Tra fine luglio e settembre 2020 la falda è cresciuta anche di 3,3 metri in pochi giorni. Dal 28 agosto al 6 settembre 2020 è passata da 118,6 a 121,99 metri sul livello del mare.

Secondo il Report di Arpa si tratta di «Anomalie che potrebbero essere riconducibili a malfunzionamenti o manutenzione o spegnimento dei pozzi della barriera idraulica, con conseguente veloce risalita del livello di falda fino al suo livello naturale, e conseguente dilavamento dei terreni contaminati da cromo VI».
A tre mesi dal sequestro dello stabilimento chimico effettuato dalla procura nulla è stato fatto per migliorare il filtraggio dell’acqua, che finisce nelle rogge, quindi nei campi della Bassa bresciana.

Tutto questo nonostante Arpa, già dal 2014, aveva rilevato una porzione di acquifero non intercettata dalla barriera idraulica, mentre la Provincia da anni chiede invano alla Caffaro di potenziare quel filtraggio. Già nel 2002 la vecchia Caffaro Spa aveva commissionato uno studio per la messa in sicurezza delle acque di falda affidandolo alla società EG Engineering Geology.

Oltre ad essere preoccuparti per l’inquinamento record da colorati, resta da capire come Caffaro Brescia abbia potuto lavorare per 10 anni con una barriera idraulica inadatta e insufficiente.