Sabato 24 Aprile si sono svolti davanti a vari CPR d’Italia alcuni presidi. Abbiamo raccontato come è andata a Milano. A Roma è andata diversamente, Yasmine Accardo di LasciateCIEntrare e Pensare Migrante ci racconta (qui in un’intervista precedente).

“Roma non è una situazione facile, per essere di più avremmo dovuto contattare e coinvolgere le varie realtà molto tempo prima. Sulla questione CPR in questo momento manca la disponibilità a scendere in piazza in fretta e comunque. Troppi se, troppi ma, dobbiamo lavorarci ancora. Sabato quindi, sperduti nella periferia romana, in mezzo ai campi di grano, davanti al CPR di Ponte Galeria non eravamo in molti, avevamo cartelli e striscioni, ma la cosa molto importante è stata la presenza del senatore Gregorio De Falco. Io e lui siamo entrati e siamo rimasti dentro quasi 4 ore. Un parlamentare può sempre entrare in una struttura detentiva e può essere accompagnato”.

Quando eri entrata l’ultima volta e che differenze hai notato?

Ero entrata nel 2019, allora c’era anche la sezione femminile, questa volta c’erano solo due moduli funzionanti, altri sono stati danneggiati durante le rivolte passate. E’ tutto ancora più triste, anche perché, rispetto a prima, sono molti di più coloro che sono arrivati da poco e quindi sono sconcertati, spaesati, non capiscono, non parlano italiano.

Abbiamo potuto parlare con tutti i 40 reclusi, in gran parte tunisini. Abbiamo scoperto che al sabato l’ente gestore non c’è, durante il fine settimana quindi sono sorvegliati solo dalla polizia. Sapendo che le partenze avvengono il lunedì mattina, diciamo che ci sono ancora meno testimoni.

Il senatore De Falco ha ascoltato tutti con attenzione ed è rimasto molto scosso sia dal luogo che dai racconti. Mi ha raccontato che era stato nell’hotspot di Lampedusa e ne era uscito sconvolto, dell’esistenza dei CPR non sapeva nulla, credeva che quello di Ponte Galeria fosse l’unico in Italia, ed è rimasto molto colpito, lo si vedeva, si è accalorato, siamo rimasti dentro molto tempo. Già le sbarre alte dieci metri fanno molta impressione, sono vere e proprie gabbie.

Hai fatto da interprete, il tuo arabo era sufficiente?

Si, anche se un interprete vero e proprio ci avrebbe permesso di sapere e capire di più e forse raggiungere più velocemente quel grado di confidenza che all’inizio mancava. Abbiamo raccolto le storie di molti di loro, uno era completamente isolato in quanto positivo al Covid, un altro aveva problemi fisici tali da dover camminare con le stampelle, quando nessuno dovrebbe stare in un CPR in quelle condizioni (sia per la sua vulnerabilità, sia perché le stampelle potrebbero essere usate come “arma”), altri con fragilità, problemi di tossicodipendenza, frequente uso di metadone, o con seri problemi psichiatrici.

Abbiamo saputo di un giovane tunisino che era sottoposto ad iniezioni di un potente farmaco sedativo già durante la permanenza sulla nave quarantena, come è possibile che un caso così finisca al CPR? Abbiamo saputo di trattamenti sanitari obbligatori (TSO) che sono stati fatti, ma non abbiamo potuto vedere gli incartamenti. La cosa incredibile è l’infermiera ci ha detto che un TSO è stato fatto nei confronti di una persona che “stava protestando” e che “si era cucita la bocca”. E’ possibile che di fronte ad una protesta si risponda con un TSO? La stessa infermiera ci ha detto che questa persona è stata poi rilasciata.

Ci hanno fatto notare in molti la carenza di dentifricio, di sapone, il fatto che i letti siano in gommapiuma con lenzuola di carta, tanto che in diversi ci hanno detto che in carcere erano trattati meglio.

Aiutami a capire: la maggior parte di coloro che sono nei CPR attualmente sono tunisini, dal momento che c’è questo “canale preferenziale” di rimpatri. Ma non TUTTI i tunisini che sbarcano finiscono nel CPR, quindi come avviene questa “scelta”?

Potremmo chiamarla “la ruota della sfortuna”, tre di qua e tre di là…. Ecco che tre finiscono nel circuito che li porterà in un CPR, altri restano. Abbiamo conosciuto due giovani tunisini poco più che ventenni, arrivati da poco in Italia, erano spaventati, increduli, con gli occhi sbarrati.

Abbiamo parlato anche con dei giovani che arrivano dal carcere; uno per esempio ci ha raccontato la sua storia: arrivato 10 anni fa dall’Egitto, allora minorenne, ha avuto i permessi, ha lavorato, poi ha perso il lavoro e ha fatto dei lavoretti finchè non ha perso del tutto, in sequenza, lavoro e permesso di soggiorno. Quindi lavori in nero fino a che ha finito (come può succedere in queste condizioni estreme) per fare del piccolo spaccio, per cui è stato arrestato e ora lo rimanderebbero in Egitto, dove lui non ha più nessuno, mentre si sente perfettamente italiano. Questo giovane stava per essere rimpatriato, ma le sue rimostranze, una volta sull’aereo, hanno fatto sì che il pilota abbia preteso che scendesse, lui e la scorta. Ora è di nuovo al CPR. Storie di ordinaria follia.

La sensazione quando esci da lì è sempre brutta: hai fatto quello che potevi, hai lasciato dei contatti, ma la rabbia e la tristezza sono grandi. La loro possibilità di ricontattarti è appesa a un filo, quello di una cabina telefonica, poca cosa per 40 persone.

Noi abbiamo fatto alcune segnalazioni alle autorità, ma tra le persone presenti sabato scorso già 5 lunedì sono state rimpatriate. Speriamo non siano tra quelle che abbiamo segnalato…

Alcuni erano sbarcati in Italia il 2 Aprile, si erano fatti l’hotspot di Lampedusa, la nave quarantena, ora il CPR e presto, con ogni probabilità, il rimpatrio. Tra l’altro sappiamo dell’uso di manette durante i trasferimenti dalle navi quarantena e nel corso dei rimpatri. Questo è un vero e proprio respingimento, al rallentatore. Una vergogna.

Speriamo che presto altri parlamentari si attivino e permettano di accendere i riflettori su queste realtà che lo stesso Garante per i detenuti definisce “opache”. Ma ancor più speriamo che chiudano presto e definitivamente.