La redazione francese di Pressenza ha aperto l’iniziativa Donne che costruiscono il futuro: verso una cultura di nonviolenza con l’intervista di Pía Figueroa a Sabine Rubin.

Ricordiamo che si tratta di interviste a donne di tutti i continenti che si impegnano per la vita. Un progetto che ci ha portato a un processo collettivo che ci permette di crescere come persone e come insieme.

In questa intervista per Donne che costruiscono il futuro, Sabine Rubin ci dice come si è formata la sua sensibilità per l’essere umano, che ha orientato la sua vita e l’ha portata a impegnarsi con le persone tramite la vita associativa e politica. Riguardo la costruzione di un futuro nonviolento, lei propone di stare insieme, di creare ponti tra le diverse iniziative, di averle in compresenza, di sentire l’intangibile, di meditare e infine di essere certe e certi di essere le costruttrici e i costruttori di questo nuovo mondo.

 

TRASCRIZIONE

Pressenza: Ciao Sabine, benvenuta a Pressenza, benvenuta in questo spazio di Donne che costruiscono il futuro. Per chi non la conoscesse, Sabine Rubin è un’umanista siloista, impegnata in campo sociale e politico. È in questo modo che è diventata deputata all’Assemblea Nazionale francese, nel gruppo France Insoumise. Si tratta di un processo che l’ha portata a questo incarico e che l’ha ispirata nel suo operato nell’Assemblea e nella sua circoscrizione. Raccontaci Sabine, se vuoi, il tuo percorso, sempre in risonanza con gli esseri umani. Come si è risvegliata in te questa sensibilità, in che modo e in quali circostanze si è sviluppata.

Sabine Rubin: Grazie Pía, innanzitutto grazie per avermi invitato a fare questo lavoro non facile, perché non è facile raccontare sinteticamente ciò che si crede sia il proprio percorso di vita e descriverne i motori. Perché ho fatto ciò che ho fatto, perché mi ritrovo deputata? Che coerenza ha tutto questo? Non è facile alla fine.

In ogni caso, ho fatto uno sforzo e mi sono ricordata che, molto tempo fa, mia mamma mi chiamava Pigmalione. Pigmalione è colui che vuole cambiare, trasformare il mondo; certo, vuole trasformarlo a sua immagine, il che è in effetti abbastanza totalitario. Ma da allora ho comunque approfondito un po’ l’argomento.

Tornando a quella giovane età, non saprei dire esattamente ciò che volevo cambiare e perché.

Ma so che fin da giovane ero molto sensibile e ribelle a tutto ciò che produceva quello che definisco negazione dell’altro: la negazione causata della devalorizzazione, della sottomissione, dell’indifferenza.

E questo si è tradotto molto rapidamente nella ribellione contro tutte le norme, i giudizi, le valorizzazioni, le classifiche, i confronti, le gerarchie e anche nella messa in discussione delle organizzazioni che stabiliscono che alcuni essere umani sono più validi di altri, sono superiori ad altri, impongono agli altri cosa fare.

In altre parole, non capivo, né sopportavo che un essere umano fosse messo o si mettesse al di sopra di un altro: o semplicemente che si considerasse o fosse considerato come superiore agli altri.

E ciò che è vero per un essere umano è diventato vero per un popolo, per una civiltà…perché mettere uno al di sopra di un altro?

Molto rapidamente, a mia volta (ovviamente in modo troppo catartico e troppo violento) ho rifiutato tutto quello che assomigliava anche lontanamente all’autorità, e ho rifiutato i capi, i dirigenti, insomma ho rifiutato tutti quelli che sembravano i potenti del momento.

Ho anche messo in discussione tutti i sistemi di valorizzazione, per esempio perché uno guadagna tanto e l’altro guadagna diversamente…mi chiedevo, come un bambino che si chiede perché le cose sono come sono, quando sono ingiuste. E ho anche messo in discussione tutte le organizzazioni che stabiliscono il fatto che un essere umano ha potere sugli altri.

Faccio un riassunto. Più tardi mi sono avvicinata ai comunisti (con quest’ideale di uguaglianza, di messa in comune di tutto) e poi mi sono anche avvicinata agli anarchici (in quanto interrogano ogni forma di autorità e potere). Ma, come spesso accade, conosciamo questa storia – in entrambi i casi – e ho visto il famoso divario tra gli ideali in termini di società e i comportamenti, il trattamento umano interpersonale di queste persone portatrici di ideali. Era anche vero, suppongo, per tutte le chiese costituitesi sulla base delle religioni, ecc.

Mi interrogavo su questo divario, e il giorno prima di incontrare il Movimento Umanista, tra l’altro su questo argomento della democrazia formale, avevo giustamente chiesto a un amico: “Che cosa dobbiamo cambiare in questo mondo, in questo mondo che non funziona, che è ingiusto?”

Bisogna innanzitutto cambiare la società, che rende l’uomo malvagio? Per riprendere un po’ il mito del buon selvaggio di Jean-Jacques Rousseau, che dice che l’uomo è nato buono e che la società lo corrompe. O bisognerebbe cambiare per primo l’essere umano… Ma come sarebbe possibile, è l’uovo e la gallina, non possiamo sapere come fare perché giustamente l’essere umano è già sociale, immediatamente sociale appena nasce. E d’altra parte, come sapere se è veramente buono?

Alle domande che mi ponevo, il pensiero umanista siloista finalmente mi rispondeva, proponendo di cambiare entrambe le cose contemporaneamente: una trasformazione sociale e personale allo stesso tempo.

Coerentemente, anche la proposta umanista – nel campo propriamente politico del Partito Umanista – dava delle risposte. Il partito enunciava chiaramente la messa in discussione dei due pilastri di questo sistema intrinsecamente ingiusto (e dunque violento), che erano i pilastri della nostra società. Parlo della cosiddetta bella democrazia rappresentativa, che alla fine si è trasformata e che è stata sfigurata, diventando il luogo di tale abuso di potere con tutti i tradimenti commessi dai rappresentanti che noi stessi avevamo “eletto”. L’altro pilastro era il capitalismo, in quanto instaura come ineluttabile – benché senza fondamento – il fatto che il frutto del lavoro debba andare al capitale e non ai lavoratori.

Sulla base di queste constatazioni, il Partito Umanista aveva anche proposte concrete per una riorganizzazione politica ed economica che corrispondesse a questo inizio di cambiamento sociale. 30 anni dopo, queste proposte politiche sono state, più o meno, riprese e portate con forza e brio, bisogna dirlo, da un leader politico noto in Francia, Jean Luc Mélenchon, al momento delle elezioni presidenziali. Coerentemente, ho usato la mia esperienza di 30 anni di militanza per promuovere questo programma tra la gente.

È così che mi sono ritrovata deputata, un po’ contro la mia volontà, perché il mio progetto non era diventare deputata, ma piuttosto sostenere un programma e formare attorno a esso delle squadre, come ero abituata a fare. Nonostante ciò, mi sono ritrovata non solo deputata, ma paradossalmente deputata, in quanto è una funzione rappresentativa che denunciavo.

Quindi, vi rassicuro subito, e concludo: non mi sento di rappresentare nessuno, se non appoggiare un programma che era ben definito, e quindi sono incaricata di farlo.

Pressenza: sono veramente molto interessanti il tuo processo e la tua ricerca per costruire un mondo più giusto. Vorrei ora invitarti a raccontarci quali sono le cose forse più interessanti che hai potuto fare da quando sei deputata in Francia.

Sabine Rubin: Come ho appena spiegato, non è tanto come deputata che sento di poter fare cose interessanti, voglio dire, cose che aiutano, che costruiscono il futuro. Da allora ho cercato di farlo, ma non come deputata.

Ci sono diverse ragioni a riguardo:

La più ovvia: nell’ambito della nostra quinta Repubblica francese e della modalità di elezione dei deputati – subito dopo le elezioni presidenziali – l’Assemblea nazionale è soprattutto una cassa di registrazione delle decisioni di un governo.

Così la maggioranza parlamentare – che quindi, prolunga il voto delle presidenziali – è sempre dalla stessa parte del governo, quindi vota regolarmente le leggi governative, tutti votano senza riflettere, una specie di unione di corpi.

La nostra sola azione da deputati di opposizione è opporsi a queste leggi…in generale non è un’opposizione per principio, ma veramente non condividiamo la stessa visione della società. Argomentiamo, facciamo controproposte, tracciamo un altro percorso ma i nostri voti sono sempre minoritari, quindi questo non cambia nulla.

Devo inoltre aggiungere, ed è interessante in questo contesto, che i dibattiti parlamentari si svolgono molto rapidamente e in brevissimo tempo: l’Emiciclo è lungi dall’essere un luogo per confrontare idee, punti di vista, per tentare di trovare soluzioni o consensi. No, affatto, è l’immagine del mondo! L’emiciclo è il luogo dei soliloqui, per dire io sono…io parlo bene, senza ascoltare, senza rispondere agli argomenti opposti. È anche il luogo delle invettive, delle polemiche che divertono tutti nella cerchia ristretta dell’Emiciclo, ma che sono veramente ben lontani da ciò che accade, da ciò che preoccupa la gente. Una vera e propria commedia…in realtà non è nemmeno lì che si prendono le decisioni.

Per dirla tutta, nell’Assemblea io mi sento un po’ come un Ufo. Detto questo, l’Assemblea e la carica di deputata offrono una tribuna, una visibilità a proposte alternative in cui i cittadini possono riconoscersi e ritrovarsi e, da parte mia, mi piace soprattutto appoggiare rivendicazioni di sindacalisti o collettivi di cittadini che ho incontrato, rivendicazioni in cui naturalmente mi riconosco; non porto ciò in cui non mi riconosco.

Così non è la mia opinione che porto, senonché mi sento il prolungamento, il portavoce senza filtri di cause portate avanti da altri. E penso che dovrebbe essere il ruolo di chi ricopre cariche politiche: non pensare, parlare al posto delle persone, ma appoggiare la loro causa se la si condivide. Così – e in seguito a quanto ho appena detto – ciò che trovo interessante, per rispondere alla domanda su ciò che posso fare come deputata, non è quello che faccio ma quello che fanno le persone che si impegnano in azioni, iniziative o lotte concrete da me sostenute.

Quindi, l’unica cosa che trovo interessante in una funzione politica è dare quest’altra immagine dell’eletto e ricordare alla gente che la politica non riguarda gli uomini o le donne che occupano una funzione politica (ancor meno il caso di coloro che ne fanno un lavoro), bensì i cittadini auto-organizzati in ogni luogo della loro vita. In città, in azienda, nei servizi pubblici, a scuola, in ospedale…Spetta a noi, come cittadini – e non a non so chi -, di pensare a come organizzare e concretizzare le nostre azioni. Se potessi farlo in qualità di eletta, de-costruirei il modello che abbiamo di democrazia, oggi davvero morta e lasciata in mano a dei criminali.

Pressenza: È veramente molto interessante, Sabine, ciò che dici e la tua percezione delle persone oggi. Come cerchi di connetterti con loro, soprattutto nel contesto attuale della pandemia? Come fai a contattare le persone?

Sabine Rubin: Ok, allora precisiamo due cose: la prima è che, stranamente, da quando sono deputata, da quando c’è la pandemia, cioè quando tutti sono un po’ rinchiusi, con il lockdown, ho meno tempo di incontrare persone e soprattutto di vederle, per riprendere le tue parole, di vederle “connesse”.

Perché, appunto, il secondo punto è che prima di connettermi con le persone devo connettermi a me stessa. Il che non è sempre facile perché sono come le persone – e forse più di loro – in un tumulto perpetuo della vita quotidiana, con i media, con il rumore incessante delle informazioni, di un’attualità continua a cui bisogna dare risposte rapide in qualunque modo, senza pensare; un’attualità rumorosa, malevola…Allora devo riprendere un po’ il respiro. Riconnettermi a me stessa, al meglio di me, per connettermi al meglio delle persone.

Del resto direi anche che la mia funzione di politica, finalmente, snatura un po’ i contatti con le persone: o sono vista come colei che può aiutare tutti, che può fare qualcosa, mentre non posso fare nulla – non posso aiutare le persone, non ho appartamenti, non ho lavori da proporre, non posso fare molto – o il contrario, alcuni diffidano di me, voglio dire, questo può essere il sindacato, ecc., questa riprovazione delle persone, non della politica ma dei politici, diffidano dei politici in generale, e a ragione. A parte il fatto che mi fa un po’ male vedermi un po’ associata a tutto questo gruppo, non provengo da lì. Ma la relazione è quella.

Detto questo, incontro comunque molte persone, molti militanti, sindacalisti, collettivi che sono impegnati per questa o quella causa. Vado loro incontro. Per esempio, nel primo e nel secondo lockdown sono andata lo stesso a vedere tutte quelle persone che si mobilitavano nelle associazioni per aiutare i più bisognosi, fabbricare mascherine, preparare pasti solidali, ecc.

Lo dico e lo ripeto: constato che queste persone – con il loro investimento in campo sociale, che sia una lotta, un conflitto o un’azione umanitaria – stanno relativamente bene, perché proprio attraverso la difesa collettiva di una causa, o la condivisione di un progetto solidale stanno creando il futuro. Questo dice molto sull’essere umano.

Ma ci sono anche tutti quelli che non vedo! Come stanno, quelli che non vedo? Lo posso sapere solo tramite i media – ma io diffido dei media – o i sondaggi: allora è vero che in Francia si parla molto di depressione, stanchezza e povertà, che sono cose molto concrete. La povertà materiale e probabilmente anche psicologica finisce per realizzarsi.
Soprattutto tra i giovani mi turba in modo particolare: anche qui, sesta potenza mondiale, vediamo studenti in lunghe code per l’aiuto alimentare. E il peggio, più assurdo ancora, è ciò che viene loro imposto: anche se non rischiano di ammalarsi gravemente, viene loro imposto ugualmente di rimanere chiusi in casa. L’abolizione della vita accademica e sociale… C’è un dato terrificante: secondo un sondaggio, il 25% degli studenti avrebbe già sceneggiato il proprio suicidio! Capito di cosa stiamo parlando? Stiamo parlando di costruire il futuro. È una vecchia come me che vuole costruirlo?
Per non affidarmi troppo ai media ho deciso di tornare a vedere le persone, i commercianti e anche gli studenti.
In sintesi, sto dicendo che – ed è al contempo una richiesta – per star bene, uscite e mettetevi insieme, sognate insieme, fate insieme, anche solo per riossigenarvi.

Pressenza: Se pensiamo ad una società in cui sarebbe possibile superare le diverse forme di violenza, tutte queste cose che hai appena descritto, come pensi che dovremmo andare avanti? Come dovremmo stabilire le priorità? Che cosa è più importante? Come lo facciamo?

Sabine Rubin: La nonviolenza è una questione complessa. Forse bisogna precisare che ho fatto mia, veramente mia, la categorizzazione delle diverse forme di violenza di cui parla Silo, il pensatore di questo movimento umanista. C’è questa violenza economica, inserita nel sistema capitalista stesso, che ho citato all’inizio, e la ripartizione delle ricchezze, perché l’uno e perché non l’altro. La violenza sessuale, in particolare a scapito delle donne in questa lunga storia della società patriarcale e che oggi vediamo esplodere. La violenza religiosa che porta tutti i fondamentalisti a voler imporre la loro visione del mondo, il loro modo di credere, il loro modo di praticare. La violenza psicologica, associata a quanto dicevo all’inizio di questo incontro, alla negazione dell’altro, in ogni forma e in modi diversi, al suo non riconoscimento. Infine la violenza fisica, la più evidente, quella delle guerre, e ora in Francia abbiamo quella del mantenimento dell’ordine, ci sono molti orbi, persone che hanno perso mani, occhi, o recentemente, e non per la prima volta, 14enni che si ammazzano tra loro, non sappiamo nemmeno perché, non hanno nemmeno un motivo.

Rispetto al mio panorama formativo degli anni ’60-’80, ho la sensazione che la situazione si aggravi, sia perché si rivela, e penso alle violenze sessuali (non sapevo che tante donne fossero stuprate, l’ho scoperto), sia perché diventa estrema. Penso alla violenza economica (10 milioni di poveri mentre ci sono sempre più milionari e miliardari). Quindi diventa estrema, proprio come le persone diventano estreme, per esempio con la loro religione, tutto diventa estremo, tutto diventa violento; anche dal punto di vista psicologico (molte paure, molti suicidi; non abbiamo mai visto così tante persone assumere ansiolitici…) e non parlo delle guerre, che continuano ad esistere, anche se non le vediamo le alimentiamo. Quindi mi sembra più violento.

Come dire in due minuti cosa fare e con quale priorità…

Ma prima di dire cosa fare, penso che si debba soprattutto capire bene questo fenomeno della violenza e perché si aggrava.

A mio parere, la violenza che vediamo esprimersi (in ogni sua forma) non è ciclica né rientra in un sistema di causalità (causa-effetto).

Molto schematicamente, vedo questo fenomeno, lo intendo come un fenomeno strutturale che risale al passato…molto remoto, dipende dalla scala temporale. Avevo sentito parlare una studiosa della preistoria che diceva che nel periodo precedente al neolitico non si registravano violenze. Ecco dove volgere lo sguardo: le violenze sarebbero arrivate con il neolitico. Questo è comprensibile, è il periodo della storia umana in cui ha luogo l’appropriazione del mondo naturale (agricoltura, sedentarietà…), l’appropriazione del mondo sociale (per preservare ciò che si è acquisito) e anche l’appropriazione a proprio vantaggio delle intenzioni dell’altro. Questa è la storia dell’appropriazione altrui, di ciò che non ci appartiene. La violenza si annida in questa appropriazione illimitata e distruttiva.
Credo che oggi, dopo diversi meandri nella storia (diversi tentativi della coscienza umana) si sia giunti ai limiti di questo sistema attuale, di questo sistema di pensiero, di questa coscienza che prende e sottomette. Lo vediamo con l’ecologia: la natura si rivolta contro di noi! Esplode.

Ma anche le persone esplodono a causa di questo sistema e delle sue istituzioni violente che fanno sempre più pressione. Esplode dentro e fuori, ma anche le persone fanno esplodere il sistema. Sia violentemente, sia schiarendosi le idee fuggendo e andando altrove, ognuno nel proprio angolo. È così che leggo questa storia, la necessità per alcuni di uscire da questo mondo in mille modi e per altri di continuare a voler opprimere.

Ora, vorrei evidenziare una parola nella tua domanda: superare le forme di violenza? Sottolineo ‘superare’.
È interessante citare questa parola come risposta alle persone che pensano, giustificano il fatto che la violenza sia parte della natura umana, e che sarà sempre così. Ed è vero, la storia sembra essere dalla parte di questa certezza, diciamo così, provvisoria.

C’è però un altro fatto: la ricerca della risposta nonviolenta di cui Luther King, Gandhi, Tolstoj e molti altri sono stati simbolo, anche se la storia non ha ancora dato loro ragione. Sono solo dei tentativi.

La storia non ha dato loro ragione, ma il cuore delle persone sì! Non ci ricordiamo di Hitler e di Martin Luther King allo stesso modo, non citeremo gli stessi testi, non citeremo Hitler. Il cuore delle persone trattiene delle cose. È un’aspirazione della coscienza, dell’animo umano.
E vorrei parlare di un conflitto che fa discutere molto e che mi tocca, quello del Movimento delle donne in Israele. Ci sono donne che sono madri, sorelle, figlie che hanno perso i loro figli, le loro sorelle. Sono ebree e palestinesi; si organizzano e fanno pressione al governo israeliano per chiedere e realizzare pace e armonia. Queste sono persone vere.

Per riprendere le parole di un autore francese, Jean Paul Sartre: la guerra – o meglio, tutta la violenza – (la guerra come espressione fisica della violenza, che è meno manifesta) è orchestrata dai potenti e subita dai poveri che la combattono. Penso che la gente, che i popoli non vogliano più subire questa guerra e questa violenza. Anche se questa atmosfera li porterebbe a essere proprio loro, a riprodurre proprio loro, questo sistema.
Allora, come uscirne? È un percorso… ma ci sono comunque due pilastri. Appunto, come uscirne basandosi sulla nonviolenza? Capisco e ritengo che la promozione ideologica della nonviolenza debba essere una risposta, al contempo personale e sociale, alla violenza del mondo. Non la nonviolenza, come viene detto a volte, intesa come una strategia in cui si tratta innanzitutto di non perdere i propri cari, ma piuttosto la nonviolenza come stile di vita. Non è la stessa cosa. Non è “prendo questo strumento perché altrimenti riceverò delle bastonate o mi farò uccidere”, ma è soprattutto un fondamento per orientare la propria condotta di vita.
L’altro pilastro riguarda l’educazione fin dalla più tenera età: educare alla nonviolenza come attitudine personale e come azione sociale. Se si è al potere, bene, sarebbe un po’ contraddittorio perché l’idea non è di essere al potere…Diciamo piuttosto che, se un giorno si potesse non essere al potere ma gestire la nostra società, sarebbe importante istituire per legge la limitazione dell’appropriazione della ricchezza. Perché per il momento, c’è chi, come i bambini, ha cattive abitudini; allora bisogna far sì che si correggano, bisogna dire loro: “No, basta, smetti di prendere tutta la ricchezza per te!” Si tratterebbe poi di rivedere insieme l’organizzazione sociale, politica ed economica sulla base di un’attitudine nonviolenta.

Queste sono forse i due percorsi… Appoggiarsi sui due pilastri contemporaneamente: educare e istituire una legge. Allo stesso modo in cui si cambia il mondo e la società, si impara il comportamento e il pensiero. E partendo da questi punti di vista, su queste basi, si costruisce un’altra organizzazione della società.

Pressenza: Ti ringrazio, mi ispira molto ciò che dici; sono parole che percepisco molto bene. Vorrei chiederti quali elementi tangibili e intangibili possiamo trarre dal passato, ma anche dal presente, per costruire quel futuro nonviolento a cui la maggior parte delle persone aspira. E farti anche qualche domanda sui nuovi “pilastri” e “materiali” che dobbiamo creare per gettare le basi di questo futuro nonviolento.

Sabine Rubin: Direi che tra le cose intangibili c’è la comprensione dei fenomeni, se non si comprende quello che succede, che ci succede, il “conosci te stesso” o “conoscere il mondo”; se non si comprende questo fenomeno, ciò che lo genera, se non lo comprendiamo complessivamente, come possiamo superare ciò che ci succede? Come si può superare quello che ci succede se non si dice che la violenza non è nella natura umana e che la nonviolenza è una scelta. E come dirlo? Sperimentandolo, spiegandolo. Quindi penso che la comprensione del fenomeno sia uno degli intangibili e l’educazione è un altro intangibile.

È necessario anche capire il periodo attuale, come dicevamo prima, non come un momento aneddotico: tale governo ci annoia, questo è un vero pazzo, è sicuramente più pazzo di quello di prima, in una specie di spirale. Questa è una spirale. Dobbiamo quindi capire che proviene da più lontano e che rispondere semplicemente con violenza, o riprendere il potere con gli stessi comportamenti, o pensare al potere di prima, a desideri provvisori, non cambierà profondamente le cose. Bisogna comprenderlo a fondo. Bisogna anche sentirne la necessità.

Per spiegare il mio intervento in modo meno concettuale, a volte ho l’impressione che gli esseri umani siano come criceti, intrappolati nelle ruote di un sistema che, accelerando, li fa impazzire mentre la ruota si sfascia. La ruota è il sistema che gira, gira, e poi esplode. E il divertente di questa storia è che anche i leader sono intrappolati in questo sistema, ma sono talmente ciechi da non rendersi nemmeno conto che esploderanno con tutto il resto. Esploderemo tutti. Quindi, va bene disobbedire!

Per avere fiducia nel processo, o comunque per sforzarmi di continuare a sostenerlo, che altro posso fare? Trovo che il periodo di lockdown sia stato molto ricco di insegnamenti, perché la macchina si è appunto fermata (non per tutti, non per le infermiere, non per gli insegnanti, ecc., anzi, è grazie all’umanità che l’hanno tenuta insieme e non grazie al sistema). E mentre questo mondo si fermava ho visto di tutto: “mai più”, “come sarà il mondo dopo…”.

Alcuni erano un po’ smarriti. Altri ne hanno approfittato per meditare e si sono resi conto dell’assurdità della loro vita, di questa insensatezza. Uso un’immagine per esporre questa insensatezza perché veniamo bombardati ogni giorno: alla radio, sulle frequenze di France-inter, il direttore della Banca di Francia affermava “è necessario che le persone consumino per far ripartire la crescita”. Consumare non per sfamarsi, per riscaldarsi ecc., ma per far ripartire la bicicletta, bisognerebbe pedalare senza meta, per far funzionare la macchina. Siamo ridotti a questo punto, pedalare senza meta. Credo che la gente abbia capito l’assurdità di questo mondo, e credo che la gente non ne possa più.

Come fare? Penso che dovremmo prenderci il tempo – perché anche il nostro tempo è catturato da questo sistema – ma dobbiamo assolutamente prenderci il tempo per meditare e anche per stare insieme e gettare le basi di questo nuovo mondo. Quando vedo una tale associazione che fa una cosa, un’altra che fa un’altra cosa, cerco di fare ponte tra tutte queste persone e tutte queste azioni. Che agiscano l’un l’altro. Non dico di fare insieme, non faremo tutto tutti insieme, ma piuttosto che gli uni e gli altri siano in compresenza, avvertendo la responsabilità di essere i costruttori di questo nuovo mondo.

Pressenza: È un po’ quello che facciamo a Pressenza, cerchiamo le persone… È per questo che facciamo queste interviste, per costruire ponti la cui compresenza possa aiutare a riformulare le aspirazioni e a pensare al futuro in un altro modo. Concedersi quel tempo di cui hai parlato, la comprensione di cui hai parlato, e il pensiero. Perché la maggior parte delle persone ritiene che ‘pensare’ sia non fare nulla, ma è il contrario: pensare qualcosa è molto importante per poter arrivare in un’altra direzione. Dunque grazie mille, Sabine, per questa intervista, non so se vuoi aggiungere o meno qualcosa. Cerchiamo di fare questi ponti con le donne nel mese internazionale dei diritti delle donne, con donne che costruiscono il futuro. Pubblicheremo l’intervista in lingue diverse, la tradurremo, credo che quello che ci hai detto ci abbia ispirato molto. Ti auguriamo il meglio per ogni tuo progetto e saremo a disposizione nel momento in cui potresti aver bisogno di noi; potremmo pensare insieme, potremmo ritrovarci e dare ispirazione anche agli altri.

Sabine Rubin: Non esitare a contattarmi, mi fa piacere se ciò che dico può ispirare altre persone, anch’io cerco di contattare altre persone famose, un po’ perché possano dire qualcosa o comunque perché le loro parole, che sono interessanti, probabilmente meriterebbero di ritrovarsi in una direzione più profonda e più comune. Dare questa profondità e questa direzione comune alle diverse azioni, ai vari discorsi degli uni e degli altri, che per il momento appaiono come rumori. Si notano molte iniziative, ma molto frammentate, come una deflagrazione, c’è un po’ di tutto. È interessante dare loro una direzione.

Pressenza: Dare una direzione e far vedere le luci del nuovo mondo. Grazie ancora. È stato molto bello ascoltarti. Grazie mille.

 

Traduzione dal francese di Enrica Marchi. Revisione: Silvia Nocera