Seguendo la linea di pensiero che, dal mio punto di vista, cerco di mettere in luce in questo articolo come predominante in questo anno abbondante di crisi pandemica, questo articolo potrà essere giudicato come “disfattista”, come “indebolitore dello spirito delle truppe”, ma tant’è.. il mio sguardo non è diretto all’oggi, ma al domani, con la speranza che troveremo da questa esperienza un nuovo sguardo evolutivo sul come affrontare insieme le difficoltà che ci si frapporranno lungo il cammino.
Sono passati ormai quasi 14 mesi dalle prime sirene di allarme che segnalavano una “invasione” di un nuovo potente virus che avrebbe percorso la “via della seta” e sarebbe arrivato in occidente e in tutto il pianeta.
In poco tempo la maggior parte, se non tutti i capi di governo hanno proclamato “lo stato di guerra” (pochi anni dopo aver proclamato la “guerra al terrorismo”) questo dopo aver prima sminuito il pericolo e lasciato entrare “l’esercito nemico” dentro i propri confini. Hanno quindi fatto appello allo spirito di unione del popolo, hanno fatto appello allo spirito di sacrificio per sconfiggere il nemico comune. Si è creato quindi con velocità sorprendente lo stato di emergenza, con provvedimenti conseguenti. Si sono dunque arringate le truppe, in questo caso il personale sanitario, che si è trasformato nella “prime linea” in “trincea” nel conflitto. Quindi la stampa e l’opinione pubblica ha nominato i loro componenti come gli “eroi” di questa lotta, e ne ha celebrato i “caduti” al fronte. Come nei casi del conflitto, la situazione si è “polarizzata” in due schieramenti, pro e contro lo “stato di guerra”. La stampa e i social hanno infiammato la polarizzazione e la gente ha fornito qua e là argomenti per alimentarla. La retorica della guerra comunque è stata preminente ed ha influito entrambi i campi. Non ripercorriamo qui tutte le tappe del “conflitto”, dove potremmo trovare innumerevoli esempi di questa “atmosfera” mentale che tanto ha funzionato fino ad oggi nel momento di mobilitare una popolazione, attraverso gli argomenti della “sopravvivenza” di tutto ciò che le sta più a cuore, che giustifica lo “stato di eccezione”, il sacrificio dell’oggi per un bene futuro. Non è questo ciò che voglio sottolineare, perché nella storia ci sono stati sempre dei momenti “eccezionali”, in cui le risposte sono state “eccezionali” o meglio “fuori dal comune”. Quello che voglio sottolineare è il trascinamento di un certo modo in cui le elite fanno richiamo alla gente, un certo tipo di retorica che è un trascinamento inerziale della mentalità della guerra, che riparando alcune cose ne ha lacerate molte altre nella storia, e che spesso ha celato alcune cose e mostrato solo alcune, a beneficio e ad arricchimento di una parte sull’insieme.
Continuando comunque la nostra storia, andiamo al rafforzamento degli “armamenti”, tipico di una economia di guerra. In questo caso non sono le armi tradizionali (anche se, in uno strano “universo parallelo” queste si sono continuare a produrre e a vendere, ad aumentare di volume totale, distraendo una montagna di risorse pubbliche utili alle cure mediche), ma un armamentario di vaccini, con i laboratori di ricerca messi a lavorare a ritmo serrato come una volta le fabbriche e i cantieri delle armi. Già, ma non è stato un rafforzamento delle dotazioni dell’esercito, che ha continuato a guerreggiare con armi a volte improprie o limitate, nel fango come le vecchie trincee della prima guerra mondiale, ma quella dei “missili”. L’esercito a limitare i danni e resistere nel fango mentre si preparava “l’arma segreta”, come l’atomica che sviluppavano americani e tedeschi durante la seconda guerra mondiale, ovvero l’arma risolutiva. C’è stata una prima fase del conflitto, dove poi per un momento il “nemico” sembrava battere in ritirata.. ci si è rilassati, pur rimanendo all’erta, ma nel frattempo l’esercito di eroi che si leccava le ferite si cominciava ad inquietare perché non arrivano le risorse promesse ad un loro rafforzamento per la “seconda ondata” che veniva evocata nel breve termine. Seconda ondata che puntualmente arrivò trovando il campo come prima se non più stanco e messo male dell’inizio e così che sempre più evidente veniva mostrata la imprescindibilità di un massiccio uso a breve delle “armi segrete” su vasta scala. Come durante le guerre, si prospettavano grossi guadagagni per i produttori di armi, che intrecciavano accordi con i governi per accaparrarsi le commesse, con criterio geopolitico-economico, con una gara contro il tempo senza precedenti. Inoltre come nell’economie di guerra, alcuni settori economici aumentavano il loro fatturato a scapito di altri, come in questo caso tutti quelli che inviavano beni tramite corriere, la grande distribuzione in generale e non solo, i produttori di software, i media digitali, di intrattenimento a distanza ecc. Nel frattempo che arrivano le armi segrete, un certo malcontento comincia a manifestarsi nella popolazione e anche nel personale sanitario. Come durante le guerre, quest’ultimo è “precettato” e comincia a serpeggiare nei media e nell’opionione pubblica un certo giudizio negativo su alcuni esponenti nel mondo medico e infermieristico. Alcuni di loro vengono dipinti come “disertori”, come fiaccatori del morale delle truppe. Già molti “reduci” della guerra della “prima ondata” reclamavano indennizzi che non arrivavano, fondi promessi che mancavano, riparazioni ecc. ora in più alcuni di loro volevano anche disertare. Si invocano da più parti punizioni esemplari per questi individui, sopratutto a quelli che non disposti a partecipare al lancio delle armi segrete. In ogni caso i nuovi eroi del conflitto sono i “somministratori” dei vaccini, a cui viene concesso lo scudo giudiziario per eventuali danni che alcuni somministrati potrebbero reclamare. Nella atmosfera sempre più polarizzata si sono nel frattempo autoproclamate “sacche di resistenza”, di “disobbedienza” in vari settori ed “operatori in clandestinità” che dispensano cure alternative.
Per finire, uno sguardo sui “danni collaterali” e sul “fuoco amico”. Come danni collaterali si possono citare le vittime non-covid per mancanza o ritardo di cure da parte del sistema sanitario impegnato per la maggior parte sul fronte covid, saturato dal fronte covid. Come danni collaterali possiamo mettere tutti quelli colpiti dalla crisi economica e dall’isolamento. Come danni collaterali possiamo includere chi sta avendo danni veri o presunti dal vaccino. Questi li possiamo mettere anche nella sezione vittime da “fuoco amico”. Sembra sempre più chiaro, ed ammesso dalle autorità mediche, che un piccolo numero, statisticamente “insignificante”, viene spesso definito, stia rimanendo vittima della somministrazione di alcuni vaccini. In questo senso si invoca il rapporto “rischio/beneficio” dove quest’ultimo rimane sempre largamente maggiore del primo. E’ normale quindi che nella agitazione del conflitto possa succedere che qualche commilitone cada per errore od accidente sotto il “fuoco amico”. Ora una piccola digressione: alcune di queste vittime sono giovani donne, decine nel mondo. Queste persone è molto probabile che non avrebbero avuto grossi rischi vitali in caso di contagio da covid. Inoltre essendo state cosi presto vaccinate è molto presumibile che erano convinte vacciniste e si sono messe nelle mani dei loro salvatori, chissà forse anche con spirito volontario, in ogni caso non essendo tra le prime a rischiare la vita in caso di eventuale contagio. Eppure sono morte, o alcuni hanno avuto dei disturbi seri. Siccome molte delle persone che hanno contestato in questi mesi i dati pubblicati e “minimizzato” la portata effettiva del virus sulla popolazione sono stati tacciati come dei cinici a cui sembra non importare la singola vita persa, che sia di un ventenne come di un novantenne, mi fa strano sentire dei giudizi minimizzanti quando si tratta di giovani sani colpiti molto probabilmente dal vaccino, e definiti “incidenti nel percorso”. Fine digressione.
In conclusione di questo articolo, vorrei sottolineare come tutte le grandi guerre hanno come risultato, spesso come obiettivo, un tentativo di ridisegnare lo scenario geopolitico e geoeconomico del pianeta in momenti di grandi crisi, di grandi impasse, di grandi conflitti esterni e interni agli Stati stessi. In questo caso questo conflitto è e sarà funzionale a questo riassetto, e già delle linee potranno essere tracciate, perché già visibili. Non è questo tema dell’articolo, che voleva dare il suo particolare sguardo sulla situazione passata e presente dal punto di vista del “clima” sociale, che proviene da un paesaggio conosciuto e inerziale nell’affrontare un nemico con i mezzi e la cultura della guerra. Chi sta oggi nelle leve del potere si è formato nel paesaggio post guerra e ne ha bevuto tutta la retorica salvazionista attraverso i libri di storia e le pellicole cinematografiche con i suoi eroi di celluloide. Le guerre, disegnate come lotte di popolo in cui invero le popolazioni sono più che altro “miniature” da muovere nello scacchiere mondiale a beneficio dell’arricchimento di pochi. In una versione meno pessimistica e meno meccanicista, si può dire che l’essere umano reagisce ai pericoli in un determinato modo, ma che questo cambia con l’esperienza vissuta, con l’evoluzione di una sensibilità planetaria e che quindi ci sono delle inerzie storiche e mentali, ma anche elementi nuovi vengono immessi ogni volta e mai è la stessa esperienza. Facendomi forte di questa seconda visione, voglio congedarmi sperando che gran parte della descrizione che ho fatto sia molto parziale e non metta in conto diversi elementi evolutivi che nel frattempo non sono riuscito a scorgere e che altri magari riusciranno a mettere pienamente in luce. Elementi che comunque si dovranno soppesare per “criterio di realtà” con quelli che invece sono i “retaggi” e i “legacci” con un vecchio mondo, spesso “opportunista”, “meschino” e disumanizzante. Perché comunque, se la visione meccanicista negativa non risponde a realtà ed è anche un modo di vedere che può paralizzare, anche cadere in una specie di “meccanicismo positivo” dove tutto sembra procedere “da solo” a mo’ di evoluzione darwiniana, può essere una trappola che crea immobilismo, ingenuità, se non a volte nasconde interessi occulti (dipende dalla posizione di chi si esprime). E’ sempre una questione di intenzioni, e le cose non cambiano se non siamo “noi” a muoverci in una direzione di cambiamento. In questo periodo mi sembra che, per la maggioranza, ci stiamo affidando “ai competenti”.. cosa che mi sembra pericolosa. Siamo comunque in un momento di empasse e di paralisi critica, forse per emergere a volte, come in questo caso, deve essere molto forte ed esagerare un po’. Spero che sia così e spero che comunque venga preso come un contributo interessante o almeno da “soppesare” con il proprio, particolare, punto di vista.