I recenti sviluppi in Medio Oriente e l’arrivo di Biden alla Casa Bianca offrono opportunità uniche per migliorare la sicurezza regionale. Tuttavia, restano degli ostacoli a tale progresso.

Fra le varie novità ci sono i cosiddetti Accordi di Abramo del 13 agosto 2020 tra Israele, Emirati Arabi Uniti (EAU) e Stati Uniti, seguiti dagli accordi di normalizzazione estesi a Bahrein, Sudan e Marocco, aperti anche ad altri Stati Arabi/Islamici. Sebbene le motivazioni che hanno spinto a tali accordi riguardassero grandi vendite di armi statunitensi e una coalizione emergente contro l’Iran, il riavvicinamento tra israeliani e arabi può comunque aiutare a sviluppare legami economici, creare contatti personali e aumentare la fiducia reciproca. Tali progressi non possono che avere un impatto positivo sulle prospettive di stabilità nella regione e persino sui negoziati per il controllo degli armamenti.

Resta da vedere l’impatto degli Accordi di Abramo sulla sicurezza regionale e sui trattati per il controllo degli armamenti, come lo sforzo decennale per creare una Zona priva di armi di distruzione di massa (d’ora in poi “la Zona”). Gli Accordi mettono in dubbio non solo il tradizionale consenso arabo all’Iniziativa di pace araba del 2002 (che ha condizionato la normalizzazione alla creazione di uno Stato palestinese) ma anche la posizione comune sulla Zona, che richiedeva a Israele di rinunciare alle armi nucleari al più presto.

Gli Accordi di Abramo non sono dettagliati come i trattati di pace con l’Egitto (1979) e la Giordania (1994) dal momento che non esiste una storia di conflitto armato diretto tra gli Stati firmatari e Israele, ma sono un segnale che la regione sta apparentemente superando il vecchio conflitto arabo-israeliano e israelo-palestinese e si sta ricredendo sul rifiuto della maggior parte degli stati arabi di riconoscere o impegnarsi nelle trattative con Israele.

Gli Accordi, in particolare l’accordo con gli Emirati Arabi Uniti, elencano le “sfere di reciproco interesse” (investimenti, commercio, scienza, tecnologia, aviazione civile, turismo, energia, ecc.), ma la sfera riguardante la sicurezza è quella dominante. Gli stati firmatari sono disposti ad entrare in una nuova coalizione/alleanza con gli Stati Uniti, di cui fa parte anche Israele, per contrastare la “minaccia iraniana”: una sorta di garanzia di sicurezza in termini di armamenti e missioni militari a sostegno degli alleati in caso di necessità. Questa prospettiva è stata consolidata anche dalla decisione di Trump di spostare Israele dal comando europeo delle forze armate statunitensi al comando centrale degli Stati Uniti, che comprende anche altri Paesi del Medio Oriente.

Questi sviluppi sono persino migliorati con la dichiarazione di riconciliazione di al-Ula tra tutti gli stati del Golfo per risolvere la disputa tra il “Quartetto” (Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrein ed Egitto) e il Qatar per migliorare la loro opposizione rispetto all’Iran.

Questi tre sviluppi regionali portano a pensare che ci sia una chiara direzione guidata dagli stati del Golfo, sotto l’egida degli Stati Uniti, a formare un’alleanza nella regione, incluso il nuovo “amico”, Israele, contro l’Iran. Ma la domanda è: Biden proseguirà nella stessa direzione? E come potrebbe, affrontando anche l’incerto Accordo sul nucleare iraniano (JCPOA) con le sue vaste conseguenze per la sicurezza nella regione?

Tornando alla Zona…

Gli accordi di Abramo non solo hanno diviso gli stati arabi a causa della questione palestinese, ma possono anche avere un’incidenza diretta sugli sforzi per la negoziazione di una zona priva di armi di distruzione di massa che ha preso una nuova svolta nel 2019 alla Conferenza dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, nonostante il boicottaggio di Israele e Stati Uniti. Gli Accorsi potrebbero delineare una spaccatura tra gli stati che hanno recentemente normalizzato le relazioni con Israele (e che hanno quindi in modo implicito accettato Israele come uno stato dotato di armi nucleari) e coloro ancora apertamente contrari.

È chiaro che il programma sulle armi nucleari di Israele e la sua politica poco trasparente di vecchia data non erano in gioco durante le trattative sugli Accordi di Abramo. Tuttavia, rimane il problema: infatti, gli Accordi aprono le porte a un’alleanza militare vera e propria con l’unico Stato dotato di armi nucleari nella regione. È l’inizio della diffusione di armi nucleari nella regione con altri stati che partecipano alla competizione? Israele sarà disposto ad entrare in un’alleanza militare in cui rischia di rinunciare al proprio vantaggio militare e tecnologico?

Dal momento che il progetto Zona è in gioco, in contrasto con l’appello degli arabi per “il disarmo prima di tutto”, Israele ha sistematicamente evitato qualsiasi dialogo sul disarmo nucleare, sostenendo che gli stati dovessero percorrere un “tunnel” e percepire gli effetti del riconoscimento reciproco, della normalizzazione, della pace e della creazione di una struttura di sicurezza regionale. Naturalmente, Israele insieme ai nuovi alleati può affermare che le minacce dell’Iran giustificano il mantenimento della deterrenza nucleare. Tuttavia, le prospettive di normalizzazione, un ripristino del JCPOA e la ripresa delle trattative con i palestinesi possono contribuire a far sentire Israele che, dopo tutto, potrebbe esserci una luce in fondo al “tunnel”. Ciò può essere altresì incoraggiato dal sostegno internazionale al Trattato per la proibizione delle armi nucleari (TPNW) che delegittima e stigmatizza l’uso delle armi nucleari. Ma naturalmente, tutti questi miglioramenti nel modo in cui Israele vede le sue potenziali minacce sono solo ipotetici.

Un Passo Avanti

Nonostante le sfide che gli Accordi di Abramo pongono agli sforzi per rilanciare trattative serie sul controllo degli armamenti, questo nuovo riavvicinamento arabo-israeliano offre un nuovo tentativo di coinvolgere parti diverse e fare progressi. È giunto il momento di puntualizzare ciò che non dicono gli Accordi di Abramo e invitare i loro firmatari a rendere più esplicito il legame tra pace, riconoscenza e normalizzazione con Israele affinché quest’ultimo si impegni seriamente nelle trattative di Zona.

Sebbene il traffico d’armi che accompagna gli Accordi di Abramo mini seriamente le prospettive di sicurezza della regione, ha un lato positivo: mette alla prova validità e credibilità del metodo del “tunnel” di Israele. Israele ha insistito a lungo sul fatto che non è disposto a disarmarsi finché non si muovano altri. La comunità internazionale e la società civile, tuttavia, possono ora sfidare Israele, dal momento che gli Accordi di Abramo dimostrano che sono stati compiuti numerosi progressi. È quindi il turno di Israele di avanzare seriamente verso il processo della Zona.

Gli Accordi dovrebbero essere visti anche come un’opportunità per discutere su questioni più ampie di sicurezza regionale nel contesto delle trattative di Zona, considerando che sia Israele che i nuovi alleati arabi condividono la necessità di migliorare la propria sicurezza e affrontare i problemi a riguardo. Israele, con la sua superiorità tecnologica e la sua deterrenza nucleare, si sente ancora minacciato e necessita pace e riconoscimento da parte di altri stati regionali per consolidare la propria tutela. Alcuni stati arabi si sentono minacciati dall’Iran e dai suoi programmi nucleari e missilistici e hanno bisogno degli Stati Uniti come garanzia.

Questo riavvicinamento (e la sperata normalizzazione a lungo termine che dovrebbe garantire un rafforzamento della fiducia) dovrebbe significare un’opportunità per avviare trattative serie su questioni di sicurezza regionale che coinvolgano anche l’Iran. L’Accordo sul nucleare iraniano è la migliore garanzia per frenare qualsiasi ambizione nucleare iraniana nella regione. Se Israele e altri stati arabi obiettano che l’Accordo non affronta questioni più ampie di sicurezza regionale, come i missili balistici o i conflitti regionali, ora esso rappresenta un’opportunità per iniziare negoziati multilaterali su questioni controverse di sicurezza regionale all’interno del processo istituito dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

Tutte le parti interessate hanno un ruolo decisivo: gli Stati Uniti, il P5 e l’Unione Europea nel garantire il ritorno al pieno rispetto del JCPOA da parte di tutti; Israele nel cogliere questa storica opportunità per promuovere la sicurezza regionale che tanto richiede; gli stati arabi nel cercare garanzie di tutela sia dagli Stati Uniti sia da Israele, che eviterebbero una corsa agli armamenti nucleari nella regione; e, infine, la società civile che approfitta del riavvicinamento regionale per convincere i propri governi che la regione ha bisogno di più sicurezza sociale che armamenti.

AUTORI

Marc Finaud (Francia/Svizzera) capo proliferazione delle armi al Geneva Center for Security Policy (GCSP)

Tony Robinson (Regno Unito) direttore del Middle East Treaty Organization (METO)

Mona Saleh (Egitto) ricercatrice dottoranda al German Institute for Global and Area Studies (GIGA)

Traduzione dall’inglese di Rossella Crimaldi. Revisione di Flavia Negozio.