In un’Europa dove la libertà di espressione e di informazione è più in bilico che mai la data del 22 febbraio assume un sapore amaro e spinge a cercare ogni strada possibile per riaffermare i valori democratici.

Esattamente tre anni fa Jan Kuciak e la fidanzata Martina Kusnirova furono uccisi a colpi di arma da fuoco che li colpirono alla testa e al petto. Un agguato maturato nel contesto del lavoro del giornalista che aveva scritto inchieste su malaffare e corruzione nel suo Paese, la Slovacchia, in particolare sui traffici dell’imprenditore Marian Kocner, nonché sui legami tra alcuni settori della politica e l’imprenditoria potente del posto.

Per il delitto a dicembre 2020 la Corte Suprema slovacca ha condannato a 25 anni di carcere Miroslav Marcek, riconosciuto come il killer. Il giudizio della Corte è divenuto definitivo dopo che la sentenza è divenuta definitiva, un verdetto che aveva reso più severa la condanna che era stata precedentemente decisa dal tribunale speciale per la criminalità organizzata. Marcek dunque è stato condannato in quanto autore materiale, mentre l’imprenditore Marian Kocner ha sempre negato l’accusa di essere stato il mandante del duplice omicidio.

Kuciak era e resta il simbolo di un modo di fare inchiesta coraggioso e preciso, che viene tuttora osteggiato in Europa, dove è diventato difficile e sempre più rischioso raccontare i fatti. Dalla Bielorussia, alla Russia di Putin, all’Ungheria e alla stessa Malta arrivano storie sconfortanti e questo è il motivo per cui la battaglia e il messaggio del giovane giornalista slovacco non possono essere dimenticati.

 

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