Man mano che passano le ore crescono dubbi e domande sull’uccisione di Luca Attanasio, ambasciatore italiano nella Repubblica Democratica del Congo, ucciso nella giornata di ieri durante un’imboscata.

L’attacco all’interno del parco nazionale del Virunga è stato improvviso, e poco a poco che emergono i particolari l’attacco assume sempre più le caratteristiche di un’esecuzione in piena regola più che un tentativo di rapimento andato male.
Il mezzo su cui si stava spostando l’ambasciatore italiano è caduta in un’imboscata tesa sulla strada che collega Goma (città rivierasca sulla sponda nord del lago Kivu) a Rutshuru, in direzione del Lago Alberto, zona ricca di petrolio ancora non del tutto sfruttato. L’assalto è avvenuto alle 10:15 ora locale, a circa 15 chilometri da Goma e 3 km prima del Comune rurale di Kibumba. Secondo le autorità congolesi, l’assalto sarebbe stato eseguito da sei persone armate con armi tipo AK47. Dopo l’uccisone dell’autista con il veicolo con a bordo Attanasio già fermo, il commando avrebbe costretto il diplomatico e Iacovelli a seguirli, insieme a loro anche altre 4 persone che viaggiavano a bordo di un altro mezzo della WFP. Agenzia ONU World Food Programme.

In totale 6 persone, l’ambasciatore, il carabiniere Vittorio Iacovelli, il vicedirettore del WFP in Congo, Rocco Leone,  l’assistente al programma di alimentazione scolastica del WFP Fidele Zabandora, l’addetto alla sicurezza WFP Mansour Rwagaza e l’autista del secondo mezzo WFP, Claude Mukata.

Un volta portati fin dentro al Parco, sempre secondo la ricostruzione, i rapitori avrebbero «sparato a bruciapelo alla guardia del corpo, morta sul posto, e subito dopo all’ambasciatore ferendolo a morte all’addome. I due italiani “sarebbero stati successivamente abbandonati (non è chiaro se a tal punto l’Ambasciatore fosse già morto o in fin di vita, ma pare fosse ancora in vita nei primi momenti in cui veniva trasportato verso l’ospedale.

Massimo Alberizzi direttore di Africa Express racconta:
“E’ come se gli aggressori sapessero già chi viaggiasse in quell’auto. Attanasio il giorno prima era stato a Bukavu (altra città sul lago Kivu, ma sulla sponda sud, ndr) e aveva incontrato i maggiorenti e i leader della zona. Era un uomo cordiale e molto alla mano, per cui era stato accolto con simpatia. Anche a Ritshuru, dove era diretto, avrebbe dovuto vedere i capi locali e inaugurare alcune strutture donate dall’ONU, tra cui una scuola.”

“Ma tra la popolazione, –  ha aggiunto Alberizzi scrivendo direttamente dalle pagine di Africa Express – qualcuno ce l’aveva con gli italiani. Molta gente qui è convinta che siano stati firmati dei contratti di estrazione petrolifera tra ENI e il governo centrale di Kinshasa. E i notabili del posto, rimasti a bocca asciutta, hanno minacciato ritorsioni e vendette perché rimasti tagliati fuori dal ricco business del petrolio, gestito direttamente dal governo centrale congolese.”
“L’assassinio del nostro ambasciatore – sempre secondo Alberizzi – se l’ipotesi dell’attacco mirato venisse in seguito confermata, sarebbe un messaggio diretto: “O parlate anche con noi e ci date parte delle royalty, oppure non riuscirete mai a sfruttare i giacimenti”.

“Sembra un attentato ben organizzato e pianificato” – è stato invece il commento di un italiano presente e poco distante dal convoglio attaccato, raggiunto in seguito per telefono a Goma da Alberizzi.

Chi era al corrente che l’ambasciatore sarebbe passato proprio da quella strada e a quell’ora ieri mattina? Per di più senza nessuna scorta da parte del contingente ONU. Monusco conta oltre 20.000 uomini sul terreno preposti a garantire la sicurezza alla popolazione civile, un contingente ONU in possesso di attrezzatura e mezzi di primordine, capaci di fronteggiare eserciti organizzati.
Nonostante la presenza di questo forte contingente ONU, nella Repubblica Democratica del Congo, le stragi a danno della popolazione civile vanno avanti da anni.

Un convoglio del contingente Monusco

Come è possibile, quindi, che da anni non si faccia niente per fermare queste stragi?
Molte sono le accuse che girano intorno a Monusco, tacciati spesso dalla popolazione locale di assistere inermi ai massacri che avvengono nel Paese, da altri ancora accusati addirittura di parteciparvi. I caschi blu in Congo da anni sono sotto la pressione di ampli settori della società civile congolese che non li sente come una presenza amica.
Un’altra domanda da porsi è la seguente: in Congo non si viaggia senza prima aver chiesto una autorizzazione, chi ha autorizzato allora lo spostamento del convoglio dell’ambasciatore senza nessuna scorta? A questa domanda forse è possibile trovare una risposta nel documento diffuso dalla stessa WFP: “L’attacco è avvenuto su un percorso dove era stata concessa l’autorizzazione di viaggiare senza scorta di sicurezza”. Secondo WFP, con Attanasio avrebbero dovuto visitare un progetto multisettoriale finanziato dall’agenzia delle Nazioni Unite.

La responsabilità dell’attentato in un primo momento era ricaduta sulle Forze Democratiche della Liberazione del Ruanda (Fdlr), accusate dalle autorità congolesi di essere gli autori dell’agguato.  Le Fldr però, oggi, in un comunicato ufficiale, hanno negato ogni responsabilità. Nel loro comunicato, si legge: “Condanniamo con forza l’attacco e respingiamo categoricamente le accuse delle autorità di Kinshasa” andando avanti nel comunicato dichiarano, di non essere per nulla implicati nella vicenda, chiedendo inoltre alle autorità congolesi e a Monusco di “far luce al più presto sulle responsabilità di questo ignobile assassinio.” Secondo Fdlr, l’attentato sarebbe avvenuto “non lontano da pattuglie delle forze armate della Repubblica Democratica del Congo.” Il comunicato conclude con le ”condoglianze ai familiari delle vittime, al governo e al popolo italiano”.

Il comunicato odierno di Fdlr

 

La giornata di ieri è stata anche oggetto di un piccolo mistero, l’apparizione di un tweet sull’uccisione dell’ambasciatore italiano in ex Congo belga.  Tweet che Il ministero dell’Interno della Repubblica Democratica del Congo preseduto da Gilbert Kankonde ha immediatamente ritirato appena dopo la sua pubblicazione. Nel tweet si affermava che, “l’azione criminale è stata specificamente diretta contro l’ambasciatore italiano”. Sebbene il tweet sia stato ritirato, l’informazione è stata comunque acquisita all’interno del primo rapporto stilato dall’Intelligence sull’attacco di ieri.

Dura e critica la replica del generale Aba Van Ang, commissario provinciale della polizia congolese, che accusa il nostro diplomatico: “Un ambasciatore, non può venire in un Paese straniero e muoversi senza avvisare i servizi di sicurezza per provvedere alla sua protezione”.

Detto ciò, comunque la strada su cui viaggiava il convoglio di Luca Attanasio è una strada quotidianamente pattugliata dai militari del contingente dell’ONU.

Fanno riflettere anche le dichiarazioni rilasciate a Adnkronos da Nicolò Carcano, direttore della ong Avsi che in questi tra anni ha lavorato spesso a stretto contatto con Luca Attanasio.

“un’indagine indipendente, perché ci sono elementi che non tornano conoscendo il posto e perché ”sento che glielo devo”. Riferendosi a l’Ambasciatore Attanasio.
”La situazione è molto complessa”, ha spiegato Carcano ad Adnkronos ”sto cercando di muovere il nostro responsabile della sicurezza per condurre un’indagine nostra”, per cercare di fare luce su quanto accaduto. Anche se ”davanti a un evento così drammatico temo che resteranno sempre dei lati oscuri” aggiungendo anche che ”l’est del Congo è una zona con un equilibrio instabile, con una sicurezza volatile che può cambiare da un giorno all’altro, tuttavia era una strada non particolarmente pericolosa, che non è considerata un asse rosso, cioè da percorrere esclusivamente con la scorta” – riferendosi alla strada lungo la quale hanno perso la vita Attanasio, Iacovacci e Milambo. – ”Io stesso ho percorso quella strada senza problemi, ho autorizzato spostamenti, i miei colleghi dello staff locale l’hanno fatta una volta alla settimana per due anni, avevamo un progetto”, spiega il responsabile Avsi ad Adkronos.

”La dinamica dei rapimenti per estorsione è una dinamica normale, una prassi tradizionale in Congo dove i riscatti sono una delle fonti di finanziamento dei gruppi armati”, prosegue Carcano. ”Viene fermato un convoglio di due macchine, sparano all’autista per far capire che non stanno scherzando, che non si può negoziare, ti rapiscono e ti portano nella giungla. Solo dopo inizia la negoziazione. Quello che lascia dei dubbi però è il fatto che i ranger che sono a guardia del parco e l’esercito congolese abbiano intercettato il gruppo armato e i suoi ostaggi. E che nel conflitto a fuoco siano morti solo l’ambasciatore e il carabiniere italiani. Questo è un po’ strano”. Conclude Carcano nelle sue dichiarazioni rilasciate oggi ad Adnkronos.

Ipotesi del rapimento, quella dell’ambasciatore italiano, che pare sempre meno verosimile. Nel frattempo che la procura di Roma ha aperto un fascicolo d’indagine sull’attentato, un nucleo dei ROS oggi si è recato a Kinshasa, la capitale congolese.