La magna carta della coesione sociale e della pace fu approvata all’unanimità da tutti gli Stati membri dell’Unesco.

Quasi vent’anni sono passati da quando la Dichiarazione universale della diversità culturale è stata approvata all’unanimità da tutti gli Stati membri dell’Unesco (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione la Scienza e la Cultura) riconoscendone per la prima volta il valore come Patrimonio comune dell’Umanità e come forma di vita (art.1), stigmatizzando che le differenze definiscono l’identità e non il contrario.

La Dichiarazione mise nelle maglie dell’ordinamento internazionale il principio che la cultura assume forme diverse nel tempo e nello spazio, che è fonte di scambi, di innovazione e di creatività, che la diversità culturale è tanto importante per il genere umano quanto la biodiversità culturale e deve essere riconosciuta ed affermata a beneficio delle generazioni presenti e future, che la diversità culturale amplia la possibilità di scelta offerta a ciascuno, essendo fonte di sviluppo non solo nel senso di crescita economica, ma anche come possibilità di accesso ad un’esistenza intellettuale, affettiva, morale e spirituale soddisfacente.

I precetti della dichiarazione, affermando il rispetto della diversità delle culture, della tolleranza, del dialogo e della cooperazione in un clima di fiducia e di mutua comprensione, affermano le migliori garanzie di pace e di sicurezza internazionali.

Concepita in un’ottica programmatica la Dichiarazione universale fissava al suo interno un piano d’azione con 20 obiettivi come linee guida operative. Diretta conseguenza della Dichiarazione furono nel 2003 la Convenzione sulla salvaguardia del patrimonio culturale intangibile e nel 2005 l’adozione della Convenzione Unesco sulla protezione e promozione della diversità delle espressioni culturali con cui si raggiunse l’apice della campagna di sensibilizzazione sulla tutela della diversità e sulla stretta relazione tra il rispetto dei diritti umani e la diversità culturale. Una relazione a doppio senso di esistenza: solo tutelando la diversità culturale è possibile il vero rispetto dei diritti umani, così come solo rispettando i diritti umani è possibile ottenere la tutela della diversità culturale.

La Dichiarazione è stata la pietra miliare degli strumenti giuridici successivi e ha avuto non solo il merito di mettere in chiaro un inequivocabile messaggio di condanna da parte dell’intera comunità internazionale rispetto a tutti gli atti di disconoscimento e distruzione del patrimonio culturale tesi all’umiliazione dell’identità dei popoli, ma anche ha prodotto la giusta pressione per gli Stati dell’Unione affinché avvenisse la loro concreta e celere adesione attraverso l’adeguamento e la messa in esecuzione del diritto di pertinenza.

La Dichiarazione ebbe altresì l’indiscutibile merito di evidenziare che, nell’ordine non solo locale ma mondiale, la diversità culturale deve essere considerata fonte di sviluppo economico suggerendo una via alternativa al mercato, più incline a valorizzare gli scambi tra culture e a porre la cultura come motore dello sviluppo. In seguito alla Dichiarazione universale della diversità culturale e alle due convezioni, l’Europa ha messo in campo vari progetti per ampliare la salvaguardia e gli orizzonti dei prodotti delle diversità culturali e della creatività. Anche grazie alla cosiddetta ‘eccezione culturale’, per la quale è possibile procedere all’interno delle politiche europee e nazionali sottraendo delle quote di programmazione e di aiuti finanziari dai negoziati e legittimando l’attribuzione dei poteri in materia culturale agli Stati.