La Missione 80, partita 12 giorni fa dal porto di Barcellona, ha visto il nostro rimorchiatore, la Open Arms, con a bordo personale di EMERGENCY, impegnato in continue operazioni di ricerca e soccorso, tutte concluse con il respingimento da parte di motovedette libiche delle centinaia di persone che in questi giorni hanno tentato la traversata in mare su imbarcazioni precarie e instabili. Ad accompagnare la nostra nave ammiraglia, anche il nostro veliero Astral, in missione di monitoraggio e supporto.

Moltissime le segnalazioni arrivate alle nostre navi dalla ONG Alarm Phone e dagli assetti aerei umanitari di SeaWatch, alle quali abbiamo tentato di rispondere con operazioni di ricerca dei target in pericolo, sollecitando nel contempo le autorità competenti ad assumersi la responsabilità del soccorso come prevedono le principali Convenzioni internazionali. I nostri tentativi di soccorso si sono rivelati tuttavia inutili, preceduti ogni volta dall’intervento della cosiddetta guardia costiera libica, giunta sul posto su coordinamento dei governi europei.

Ieri poi, dopo lunghe ore di ricerca, siamo riusciti finalmente a rintracciare e raggiungere una piccola imbarcazione di legno, da ore alla deriva, con a bordo 40 persone, tra cui una donna e un bimbo di tre mesi e tre ragazzi minorenni che viaggiavano soli. In zona molte le imbarcazioni presenti, nessuna delle quali è intervenuta.

Nonostante la nostra imbarcazione si trovasse in zona Sar maltese, siamo stati avvicinati dalla motovedetta libica Fezzan P658 che ci ha intimato di abbandonare quelle che loro consideravano “acque territoriali libiche”.  Dopo momenti di tensione, la motovedetta si è allontanata e abbiamo potuto terminare le operazioni di soccorso.

Ora i 40 naufraghi sono in salvo sul ponte della Open Arms e hanno bisogno di sbarcare in un porto sicuro prima possibile anche a causa del deterioramento delle condizioni meteorologiche previsto nelle prossime ore.

Alla luce di quanto osservato in questa ultima settimana, dei respingimenti per procura e delle omissioni di soccorso da parte dei governi europei, ribadiamo che la Libia non può essere considerato un luogo sicuro, come già testimoniato dalle organizzazioni internazionali che lì operano, e che dunque le persone che da lì fuggono non possono in nessun caso essere riportate indietro.

Ribadiamo inoltre che l’Europa ha il dovere di tutelare le loro vite e i loro diritti, assicurando soccorso e cure e garantendo loro la possibilità di fare richiesta di asilo come previsto dal diritto internazionale e dalle nostre Costituzioni democratiche.