In una recente comunicazione della Casa Bianca per introdurre una nuova proposta di legge il presidente Joe Biden ha dichiarato di essere entusiasta di cooperare con i leader delle due Camere per correggere “le malefatte dell’amministrazione precedente e restaurare la giustizia e l’ordine” al sistema di immigrazione.

Sono passati 31 anni dall’ultima riforma sull’immigrazione avvenuta nel 1986 durante l’amministrazione di Ronald Reagan che regolarizzò lo status di 3 milioni di immigrati entrati negli Usa senza autorizzazione legale, aprendo loro la porta al percorso della cittadinanza americana e all’integrazione. Poi ci sono stati solo piccoli tentativi di migliorare il nodo dell’immigrazione senza successi. Un altro tentativo che sfiorò il successo fu nel 2013 mediante una riforma bipartisan guidata da un gruppo di otto senatori dei due partiti approvata dal Senato con un voto di 68 favorevoli e 32 contrari. Il disegno di legge alla fine naufragò alla Camera poiché l’allora speaker, John Boehner, cedendo alle pressioni del caucus di ultra destra dei Tea Party, non sottomise la proposta al voto.

Barack Obama aveva sperato e lavorato per l’approvazione di quella legge ma dopo avere accettato la sconfitta alla Camera cercò di agire  con un ordine esecutivo, il cosiddetto DACA (Deferred Action on Childhood Arrivals). Il decreto diede residenza temporanea ai “dreamers”, i giovani portati negli Stati Uniti da genitori senza permessi legali. Sono stati definiti “dreamers” (sognatori) perché anelano diventare legalmente ciò che a tutti gli effetti sono già, ossia americani, poiché cresciuti negli Usa, conoscendo poco o niente del paese di origine dei loro genitori. Donald Trump cercò di abrogare il decreto di Obama ma alla fine la Corte Suprema gli legò le mani e il programma continua tuttora.

Nella campagna elettorale del 2020 Biden aveva promesso di introdurre una nuova legislazione sull’immigrazione nei primi cento giorni di amministrazione. Il disegno di legge appena annunciato mantiene la promessa e non è molto diverso dalla proposta di legge del 2013. Include la regolarizzazione degli undici milioni di immigrati arrivati prima del 2021 senza autorizzazione legale. In effetti, vuole evitare di incoraggiare nuovi individui ad entrare nel paese senza documenti. I “dreamers”, i lavoratori agricoli e quegli individui che stanno beneficiando di un TPS (Temporary Protected Status), un permesso temporaneo per stranieri la cui deportazione li metterebbe a rischio nei loro Paesi di origine, potrebbero fare domanda di cittadinanza in tre anni. Gli altri dovrebbero aspettare otto anni. Tutti dovrebbero sottomettersi a controlli e dovrebbero avere la fedina penale pulita.

Non appena annunciato il programma alcuni senatori repubblicani lo hanno bollato di amnistia e quindi levando la speranza di un loro supporto. Questi dimenticano ovviamente che Ronald Reagan, il loro paladino repubblicano, fece la stessa cosa nel 1986. C’è anche una buona dose di ipocrisia. Uno dei più chiassosi oppositori della proposta di Biden è proprio Marco Rubio, repubblicano della Florida, iche era stato uno degli otto senatori che aveva promosso la riforma del 2013. Adesso però il Grand Old Party (Gop) si è trasformato da un partito identificato come protettore della libera iniziativa a uno dominato dal culto all’ex presidente Donald Trump e della sua politica anti-immigrati. Recentissimi sondaggi confermano che l’ex presidente continua a dominare l’ideologia del partito nonostante le potenti voci dissidenti rappresentate da Mitch McConnell (Senato) e Liz Cheney (Camera) che hanno preso le distanze da Trump, cercando di metterlo da parte.

La reazione di Rubio ci fa credere che la forma attuale della proposta di Biden avrebbe serissime difficoltà di ottenere 60 voti al Senato per poter essere approvata. Una soluzione parziale potrebbe fare includere alcune componenti popolari come la cittadinanza ai “dreamers” e includerla nel pacchetto  sul coronavirus. Questa strada non appare essere considerata da Biden al momento. Un’altra strada plausibile sarebbe di spacchettare il programma comprensivo dividendolo in “bocconcini” più facili da digerire. La cittadinanza ai “dreamers” sarebbe popolare poiché è supportata dal 70 percento degli americani.

Sul tema immigrazione Biden ha cominciato a ribaltare gli aspetti più estremisti del suo predecessore. I richiedenti asilo non devono continuare ad attendere in Messico secondo l’accordo tra Trump e il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador. La costruzione del muro alla frontiera sud è stata sospesa e persino il linguaggio con cui si parla degli immigrati è stato umanizzato. Non si parla più dei residenti senza documenti legali come “alien” (stranieri o alieni di altri pianeti), ma di “non cittadini”, “vicini”, “amici” e “membri della comunità” poiché 11 milioni di questi individui sono già nel Paese. Il loro contributo è notevole e la loro assenza devasterebbe l’economia e le loro famiglie, molte delle quali sono “miste” poiché includono membri nati in America e cittadini americani. Si tratta di individui con radici in America che non si auto deporteranno, come aveva suggerito Mitt Romney, candidato alla presidenza nel 2012. Non a caso, il disegno di legge proposto da Biden è stato introdotto alla Camera dalla parlamentare californiana Linda Sanchez e al Senato da Bob Melendez del New Jersey. La prima è la sesta di sei figli di immigrati messicani della California del Sud e il secondo è figlio di genitori cubani.

La strada all’approvazione della proposta di Biden sull’immigrazione è decisamente in salita considerando che servono 60 consensi al Senato. Lo spostamento del Partito Repubblicano all’estrema destra non consente molte speranze. Ciononostante Biden ha il grande merito di avere giustamente riconfermato l’immigrazione come un valore aggiunto al paese e non un tema distruttivo la vedeva l’ex presidente degli Stati Uniti. Nel frattempo però Biden continua anche ad agire da solo, tramite decreti. Mettere in atto la riforma comprensiva sull’immigrazione sarà molto più difficile.