Questa mattina, 15 dicembre, musica davanti al Tribunale di Milano: sono in 17 a suonare, l’atmosfera è quella di sempre, sorridente, allegra, scanzonata, sbeffeggiante. La musica di chi è stanco di chiedere ancora una volta un permesso al lavoro per essere lì davanti, a parare i colpi di una giustizia ingiusta. La voglia di suonare forte. Gli Ottoni sono soprattutto fiati sparati fuori, polmoni che si riempiono, colpi su un tamburo gigante e pesante, voglia di esserci, di farsi sentire.

Questa è la loro colpa: silenzio. Vogliono il silenzio. Solo il rumore delle rotaie del tram, degli autobus che frenano e ripartono, i tubi di scappamento delle automobili. Basta. Questi devono essere gli unici suoni di questa città. E invece da più di 30 anni gli Ottoni a Scoppio si affiancano a qualsiasi lotta di resistenza, lotte degli ultimi, delle periferie, dei vecchi partigiani, dei quartieri popolari, contro i soprusi e i prepotenti. Da anni il loro fiato è come un vento che dà forza alle fragili vele delle lotte, ai gruppi sparuti che in questa città cercano di difendere i diritti dei più deboli. Stanno in parte e quando glielo dicono attaccano a suonare, possono suonare tre pezzi come dieci. Loro ci sono.

C’erano anche quella volta di sei anni fa in piazza Scala. Il 7 dicembre, un classico, quasi come il 12 e il 15. E’ il trittico milanese. La spina dorsale della resistenza, della denuncia, della memoria. Altro che shopping.

E invece ci vogliono tutti a fare shopping, non bisogna manifestare, farsi sentire, ancor peggio suonare. Suonarono anche quel giorno e da quel poco che successe Questura, Digos e giudici sono riusciti a tirar fuori dal cilindro accuse pesanti: resistenza a pubblico ufficiale. E oggi il giudizio: 5 sentenze, dai 4 ai 7 mesi. 5 mesi con la condizionale per i due Ottoni che erano in possesso di un pericoloso tamburo e un pericolosissimo sassofono. E soprattutto suonavano.

Ma perché non sono stati a casa loro? Questa è la sintesi della sentenza.

Perché si sono messi in mezzo?

Perché non fanno come la cosiddetta fantastica “maggioranza silenziosa” che appunto sta a casa e sta zitta?

No, loro, come si dice in Val di Susa, c’erano, ci sono e ci saranno. E noi con loro. Sempre.

Grazie Ottoni e ora in appello. Con un po’ più di coscienza, di rabbia, ma soprattutto con ancora più fiato.