Il rapporto dal titolo “Popolazioni a rischio. Implicazioni del COVID-19 sulla fame, la migrazioni e lo sradicamento (displacement). Un’analisi delle tendenze inerenti alla sicurezza alimentare nei punti focali dei processi migratori”, pubblicato lo scorso Novembre, rappresenta la prima pubblicazione congiunta nel suo genere del Programma Alimentare Mondiale (WFP) e della Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM) a livello globale, con il supporto della Divisione Ricerca, Valutazione e Monitoraggio del WFP e del Dipartimento Operazioni ed Emergenze dell’IOM.

Letto oggi, nella Giornata Internazionale dei Diritti Umani del 10 Dicembre, commemorazione della proclamazione, da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, avvenuta il 10 Dicembre 1948, quando l’intera comunità internazionale, autorità pubbliche ed organizzazioni della società civile, istituzioni e cittadini, sono chiamati a intraprendere azioni e sviluppare campagne di lungo periodo per la difesa e la promozione di «tutti i diritti umani per tutti», in tutte le loro generazioni e articolazioni, come diritti civili e politici, diritti economico-sociali e culturali, diritti dei popoli e dell’ecosistema, il rapporto costituisce anche una eclatante e drammatica evidenza del fatto che le misure di blocco e di coprifuoco, che, a vario titolo, diversi Stati hanno posto in essere per contenere comprensibilmente la diffusione del contagio, stanno tuttavia avendo pesanti implicazioni, non solo sulla mobilità e sul lavoro, ma sugli stessi diritti fondamentali.

Sin nella premessa il rapporto illustra i termini in cui «il mondo sta attualmente affrontando una crisi senza precedenti. La pandemia COVID-19 e le azioni intraprese per contenere la sua diffusione hanno avuto profondi impatti socio-economici sulle società. Nessun Paese è stato risparmiato e non sorprende che le popolazioni più povere siano tra quelle più colpite. La pandemia ha colpito in un momento in cui la fame andava aumentando da quattro anni consecutivi, principalmente a causa di conflitti, sconvolgimenti climatici e crisi economiche. Allo stesso tempo, i fenomeni di sfollamento forzato hanno raggiunto livelli record. L’insicurezza alimentare – spesso combinata con conflitti e violenza, calamità e povertà, tra gli altri – può costituire un moltiplicatore negativo che costringe le persone ad abbandonare le proprie case. Allo stesso tempo, una migrazione sicura, ordinata e regolare può portare benefici tanto alle comunità che accolgono i migranti quanto alle comunità di origine, contribuendo in modo significativo allo sviluppo sostenibile a livello locale, regionale e globale».

Nella successiva introduzione, viene quindi messo in chiaro che «il numero di persone che soffrono la fame o la malnutrizione è via via aumentato negli ultimi anni. […] Le stime attuali indicano che quasi 690 milioni di persone sono denutrite, pari all’8,9% della popolazione mondiale. Si tratta di un aumento di 10 milioni di persone in un solo anno e di quasi 60 milioni di persone in cinque anni. Quasi 135 milioni di persone in 55 Paesi del mondo hanno sofferto di fame grave nel 2019. Allo stesso tempo, conflitti, violenze e persecuzioni hanno portato più di 79,5 milioni di persone a fuggire dalle proprie case entro la fine del 2019, inclusi 45,7 milioni di sfollati interni (IDP) colpiti dal conflitto, 26 milioni di rifugiati e 4,2 milioni di richiedenti asilo. […] Conflitto, fame, migrazione e sradicamento sono strettamente intrecciati. […] Si stima che l’80% delle popolazioni sfollate a causa dei conflitti si trovi in Paesi colpiti da grave insicurezza alimentare e malnutrizione». Si tratta di un fenomeno dalla portata epocale, talvolta ricordato come la più grande tragedia del nostro tempo, in cui gli effetti di un modello di sviluppo dominante, energivoro e predatorio, di quello che spesso viene chiamato “capitalismo di rapina” – il capitalismo nella fase attuale del suo sviluppo storico – nell’intreccio di catastrofe climatica e guerra, mettono a rischio di vita milioni e milioni di persone.

Fa riflettere, sullo sfondo di questo scenario, l’effetto che dure misure di contenimento della pandemia possono avere non solo sulla libertà, ma sulla sicurezza stessa delle persone. Come indica il rapporto, infatti, «gli sforzi per contenere la pandemia hanno portato a restrizioni senza precedenti sulla mobilità, sul commercio e sull’attività economica, innescando una recessione globale. Secondo stime recenti, l’economia globale si contrarrà tra il 4,9% ed il 5,2% nel 2020. La Banca Mondiale, di conseguenza, prevede che la pandemia potrebbe spingere fino a ulteriori 150 milioni di persone nella povertà estrema entro il 2021. Mentre, da un lato, il COVID-19 presenta rischi significativi per la salute umana, è possibile, d’altro canto, che le conseguenze economiche della pandemia siano perfino più devastanti della malattia stessa, specialmente nei Paesi a basso reddito o a medio reddito ove sono carenti le capacità di risposta alla crisi e di protezione dei gruppi vulnerabili. Migranti e sfollati sono stati particolarmente colpiti da tale gamma senza precedenti di misure poste in essere per contenere la diffusione del COVID-19. Blocchi (lockdown) e restrizioni alla mobilità hanno avuto conseguenze economiche disastrose in tutto il mondo. Ad esempio, le ore lavorate nel secondo trimestre dell’anno sono diminuite del 17,3%, che corrisponde alla perdita di 495 milioni di posti di lavoro a tempo pieno, con il settore informale colpito in modo sproporzionato» come risulta da mille testimonianze.

Allo stesso modo, le implicazioni delle misure di contenimento del COVID-19 per la mobilità delle persone e, in particolare, per la sicurezza alimentare, soprattutto nei Paesi a medio e basso reddito, non possono essere sottaciute e occupano un posto di rilievo all’interno del report: «i governi di tutto il mondo», infatti, «stanno continuando ad implementare un’ampia gamma di misure nazionali e internazionali in risposta all’epidemia di COVID-19. Queste misure spaziano dalla chiusura delle scuole e dei luoghi di lavoro alle restrizioni al numero di partecipanti a incontri e riunioni, sino alla cessazione del trasporto pubblico, alle disposizioni di confinamento domestico e alle molteplici restrizioni sui viaggi e la chiusura dei confini. A fare data allo scorso ottobre, sono state emesse 96.202 restrizioni ai voli internazionali o disposizioni di autorizzazione all’ingresso da un totale di 219 tra Stati, territori o altre aree. Più comunemente, le autorità stanno attivando una combinazione di requisiti medico-sanitari come la quarantena o i test obbligatori (che costituiscono il 64% di tutte le condizioni per l’ingresso) e restrizioni come la chiusura degli aeroporti e la sospensione dei voli (che costituiscono il 98% del totale delle limitazioni all’ingresso). […] Mentre le misure di limitazione della mobilità legate alla pandemia hanno inizialmente ridotto i flussi migratori internazionali e causato rientri di massa in alcuni contesti, nel medio-lungo termine, la riduzione della sicurezza alimentare e del benessere causati dalle misure legate al COVID-19 può aumentare il bisogno delle persone di cercare mezzi di sussistenza altrove, aumentando i volumi di migrazione per necessità».

«La pandemia avrà dunque» come attesta il rapporto tra le sue conclusioni «implicazioni sulle migrazioni e sulle dinamiche della fame, con conseguenze impattanti ai fini del conseguimento della Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile. All’inizio, il COVID-19 riduce la mobilità, il che può aumentare l’insicurezza alimentare di coloro che dipendono dalla mobilità per il proprio sostentamento. In una seconda fase, quando le limitazioni alla mobilità sono rimosse, in tutto o in parte, un numero maggiore di persone potrebbe essere costretto a lasciare la propria casa se non più in condizione di guadagnarsi da vivere. Una migrazione ben governata, come delineato dalla Rete sulla Migrazione delle Nazioni Unite (United Nations Network on Migration), costituirà elemento essenziale per una risposta efficace al COVID-19». È in tal senso che il rapporto, in conclusione, propone «otto azioni prioritarie»:

Assicurare che i migranti che affrontano gravi difficoltà possano avere accesso all’assistenza umanitaria al fine di soddisfare i loro bisogni alimentari e tutti gli altri bisogni fondamentali;

Salvaguardare l’assistenza fornita agli sfollati e alle comunità che li ospitano;

Garantire l’accesso ai servizi essenziali e informazioni complete per tutti i migranti e gli sfollati;

Riconoscere il contributo positivo dei migranti e delle diaspore e promuovere la loro inclusione nei sistemi di protezione sociale;

Facilitare il flusso delle rimesse come servizio finanziario essenziale capace di sostenere la risposta e il recupero dall’impatto del COVID-19;

Promuovere i necessari adeguamenti nelle cornici legali nazionali e garantire l’accesso ai servizi legali;

Contrastare la xenofobia, la stigmatizzazione e la discriminazione nei confronti delle persone in movimento a causa del COVID-19;

Migliorare i dati e le analisi per meglio comprendere gli impatti del COVID-19 sulla mobilità, le rimesse e le dinamiche legate alla sicurezza alimentare.