Mentre presso il tribunale penale di Mons inizia il «processo Mawda», un migliaio di spazi pubblicitari sono stati sequestrati in tutto il Belgio a favore della campagna «Giustizia per Mawda». L’azione mira a denunciare gli effetti mortali di una politica di criminalizzazione dei migranti, che ha portato alla morte della piccola Mawda, di soli due anni, il 17 maggio 2018.

La sera di domenica 22 novembre, 200 cittadini, uomini e donne, hanno sequestrato circa mille spazi pubblicitari a Bruxelles, Liège, Gand, Namur, Louvain-la-Neuve, Ottignies, Charleroi, La Louvière, Verviers e Mons per occuparli con manifesti commemorativi in memoria della piccola Mawda Shawri, di due anni, uccisa dalla polizia nella notte tra il 17 e il 18 maggio 2018, mentre, con la sua famiglia, tentava di arrivare in Inghilterra. Il prossimo 23 e 24 novembre sono anche previste delle mobilitazioni davanti al palazzo di giustizia di Mons.

L’azione è nata dalla volontà di ricordare ai cittadini belgi le conseguenze della politica belga ed europea sul tema delle migrazioni. E questo proprio nel momento in cui ha inizio, presso il tribunale penale di Mons, il processo al poliziotto e ai due presunti «trafficanti» responsabili della morte di Mawda. Con lo slogan «Giustizia per Mawda», i protagonisti di quest’azione vogliono onorare la memoria di Mawda e chiedono che sparare su un camion pieno di uomini, donne e bambini, venga considerato un uso inaccettabile della forza, i cui effetti mortali sono altamente prevedibili, e che la morte di Mawda venga riconosciuta come omicidio. Sperano che la giustizia sia all’altezza del compito che le spetta, per fare in modo che le circostanze che hanno portato alla morte di Mawda non si verifichino mai più.

Allo stesso modo, denunciano il razzismo e la criminalizzazione che hanno portato alla tragedia. Mawda non è né la prima né l’ultima vittima di questo sistema. L’anno in cui è stata uccisa Mawda, Médecins du Monde riferiva che in Belgio un migrante su quattro era stato vittima della violenza da parte della polizia.

“Che cosa ha portato un poliziotto a sparare al camion che percorreva l’autostrada?” si domanda Camille, una delle partecipanti. Secondo lei, “questo è dovuto, da un lato al razzismo strutturale che influenza i vari attori della tragedia. Agli occhi di quel poliziotto che ha sparato, la vita delle persone che viaggiano su un camion, essendo quella di migranti, non ha lo stesso valore di un’altra vita e non merita la stessa protezione. Dall’altro, c’è la criminalizzazione legata al superamento illegale di una frontiera. Attraversare una frontiera sarebbe un crimine talmente grave da giustificare un omicidio perpetrato per impedire che si verifichi. Ricordiamo, infatti, che l’azione contro il camion si iscrive nell’ambito delle operazioni Médusa, strumento politico di chiusura delle frontiere belghe ed europee.”

Questo razzismo e questa criminalizzazione spiegano anche il motivo per cui mentre Mawda era trasportata in ambulanza, i suoi genitori venivano ammanettati, detenuti, maltrattati, impedendo così che accompagnassero la piccola figlia ormai morente.

Gli attivisti invitano tutti coloro che vogliono denunciare il razzismo e la criminalizzazione, che hanno portato alla morte di Mawda, a raggiungere la mobilitazione online, o a partecipare alle mobilitazioni che si terranno il prossimo 23 e 24 novembre davanti al palazzo di giustizia di Mons.

Sono convinti della necessità della loro azione, dal momento che la situazione sanitaria impedisce di organizzare una manifestazione di massa.

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Traduzione dal francese di Ada De Micheli. Revisione: Silvia Nocera