La notte scorsa è stato appiccato un incendio al campo profughi di Moria, distrutto in gran parte dalle fiamme. E’ stata una notte di puro terrore per i 12.000 rifugiati della struttura, molti di loro hanno detto di “aver cercato di scappare nei campi vicini, spaventati inizialmente per i morti”.

C’è da chiedersi come sia possibile che questo disastro si sia verificato solo ieri (8 settembre NdT), e non prima. Da anni ormai pubblichiamo immagini, appelli, denunce delle persone e delle organizzazioni che ci lavorano e dei suoi residenti, che aspettano l’esame della propria domanda di asilo da parte delle autorità greche o europee competenti. Abbiamo parlato di quanto fossero malnutriti, di come sopravvivessero o morissero senza riscaldamento, stipati l’uno sull’altro e senza misure igieniche, anche quando ciò dovrebbe essere vietato in piena pandemia. Tuttavia, prima di registrare il primo caso di coronavirus nella struttura, lo stato greco ha solo provveduto a dare costantemente ordine di limitare i movimenti dei residenti, senza rispettare le raccomandazioni delle autorità sanitarie pubbliche europee e dell’Organizzazione mondiale del sanità.

Nessuno del comitato di esperti in Grecia si è esposto per denunciare questa situazione. Le responsabilità politiche sono grandi, tanto quanto quelle di chi raccomanda cosa fare senza venir ascoltato. Anche le organizzazioni internazionali non sono esenti da colpe, visto che da anni non fanno più pressione sullo stato greco affinché trovi soluzioni che garantiscano la dignità e la vita umana. Per quanto riguarda i membri dei corpi ufficiali dell’UE, ci chiediamo se si vergognino almeno un po’ ora che vedono i frutti delle proprie politiche.

 

Traduzione dall’inglese di Emanuele Tranchetti. Revisione: Silvia Nocera