Alessandro Azzoni

Alessandro Azzoni, promotore del “Comitato giustizia e verità per le vittime del Trivulzio”, racconta la drammatica esperienza vissuta dalla sua famiglia e da quella di tanti altri anziani ricoverati nelle residenze sanitarie assistenziali. Una denuncia delle conseguenze disumane di una sanità concepita solo come fonte di profitto.

Tutto nasce dal momento in cui mia madre malata di Alzheimer è stata ricoverata al Trivulzio

Il 25 marzo vengo contattato dalla struttura, perché mia madre ha la febbre; mi dicono che non si può né isolarla né sapere se ha il virus, poiché non hanno disponibilità di tamponi. Nelle giornate successive dopo molte fatiche per avere informazioni, vengo rassicurato che sta bene e ha solo un po’ di febbre. Questo fino al 13 aprile. Io l’avevo vista l’ultima volta il 29 febbraio.

Il 13 aprile riesco, dopo l’ennesima telefonata a vuoto, a entrare in contatto col reparto. Questa volta parlo con un infermiere che conosco e mi riconosce. Mi dice: “Alessandro, qui ci dicono di dirvi che va tutto bene, ma in realtà la situazione è disastrosa, tua madre sta malissimo, saturazione bassissima, non mangia e non beve da una settimana, la situazione del reparto è drammatica, ne sono già morti parecchi” Quel giorno sono stato “fortunato” perché ho parlato con un infermiere che mi ha detto la verità.

Tra stupore e angoscia ho chiamato i giornali per denunciare quello che succedeva nella struttura. Così tramite Repubblica e Radio Popolare mi hanno chiamato altri parenti, sia di persone decedute, che vive e abbiamo capito che la situazione era gravissima. Il 15 aprile esce il nostro articolo. Molti familiari cominciano a contattarmi; presto diventiamo 150 e decido di aprire una pagina Facebook con il nome di “Comitato giustizia e verità per le vittime del Trivulzio”. Mi contattano da molte parti, alcuni sono commenti e racconti drammatici. Testimonianze un po’ telefoniche, un po’ scritte, poi gli inquirenti mi hanno chiesto di farle mettere tutte per iscritto.

Sui giornali si vedono le foto delle bare ammassate nella chiesa, visto che all’obitorio non c’è più posto. All’inizio “abbandono e denutrizione” colpiscono forse più del Covid. Alcuni pazienti venivano rimandati a casa in tutta fretta, con sintomatologia Covid, infettavano i parenti a casa e poi morivano in ospedale; altre persone erano entrate anche solo per delle degenze di riabilitazione breve, due o tre mesi di ortopedia e alcune sono morte per trombosi alle gambe, legate al letto perché non c’era personale. Non persone “già con gravi patologie”. Mia madre aveva 75 anni, a parte l’Alzheimer era sanissima. Il 17 aprile viene pubblicata sul Corriere della Sera una lettera con più di 150 firme di medici e infermieri che racconta come erano stati lasciati soli, obbligati a non usare le mascherine fino al 23 marzo, senza protocolli. Sono stati loro le prime vittime del contagio e hanno diffuso il virus. Una persona che portava la mascherina da casa è stata addirittura licenziata.

Giuseppe Calicchio, dirigente della struttura, è indagato per omicidio colposo ed epidemia colposa. La magistratura ha ascoltato medici, infermieri e familiari e siamo in attesa della chiusura delle indagini preliminari. Nel frattempo lui è sempre lì, trincerato in un silenzio assordante, non ha mai dato nessuna risposta. Noi parliamo di vittime, morti e feriti dentro al Trivulzio. Il prefetto di Milano ci ha ascoltato e si è attivato per far iniziare le visite protette, perché la socialità è essenziale per la salute delle persone che da 4 mesi sono chiuse in una situazione drammatica, senza l’appoggio dei loro cari.

Calicchio, nomina politica che viene dalla Regione, è in carica dal gennaio del 2019. Il suo avvocato è Nardo e il consulente scientifico della difesa il professor Pregliasco. Il 6 maggio sono stato ascoltato dalla Commissione di inchiesta regionale sul Pio Albergo Trivulzio, presieduta dal dottor De Micheli, il quale è presidente dell’ATS (Agenzia di Tutela della Salute), ex ASL della città metropolitana. La commissione giovedì scorso ha diffuso i risultati della sua indagine e sostanzialmente dice che le problematicità dell’emergenza al Trivulzio è dovuta all’assenteismo dei lavoratori. Temiamo che ci sia un conflitto di interessi tra la carica che riveste questo presidente e l’indagine…. Non era opportuna la nomina del presidente di un ente che è parte in causa delle indagini. Il documento di valutazione dei rischi, documento che include anche il rischio biologico e i protocolli per evitare le epidemie non era aggiornato. Proprio ATS è l’organo che deve verifiche che le RSA accreditate siano in regola.

Durante le scorse settimane e mesi, oltre ad aver depositato un esposto collettivo con 150 firme alla Procura di Milano, abbiamo ricevuto numerosissime richieste di aiuto da parte di parenti di altre RSA, non solo milanesi e non solo lombarde, visto che il Trivulzio è diventato un caso negativamente emblematico della malagestione che ha portato al disastro in diverse RSA.

Per questa ragione abbiamo deciso di formare l’associazione “Felicita associazione per i diritti nelle RSA”, che vuole contribuire a far sì che la giustizia in Italia non sia un privilegio per pochi, ma un diritto di tutti. Le RSA erano strutture alle quali abbiamo affidato i nostri parenti per proteggerli e invece sono diventate portatrici di morte. Probabilmente il problema alla base di questo disastro è che nella nostra società le persone anziane sono considerate degli scarti da marginalizzare, da cui trarre profitto.

Noi vogliamo farci protagonisti di una nuova cultura della cura dell’anziano, in cui la persona sia rimessa al centro, sia garantita la salute e la qualità della vita.

In questo momento le RSA assomigliano ai manicomi di 50 anni fa, pre-Basaglia. Strutture chiuse, istituzioni totali che di fatto sospendono i diritti e non garantiscono la cura alla persona. Al Trivulzio, dove ci sono più di 800 ricoverati, i familiari stanno vivendo la violenza della negazione della trasparenza, non c’è chiarezza sul numero dei morti, si parla di più di 300 da febbraio ad aprile. All’apertura delle visite danno la possibilità a solo quattro, QUATTRO, parenti al giorno singolarmente di vedere i loro cari in una situazione assurda, in giardino, tutti imbacuccati sia l’ospite che il parente, con copricapo, mascherine, calze, guanti, tanto che l’ospite non riconosce neppure il parente e non ha l’intimità di poter scambiare un momento di sostegno. Visite inadeguate, quasi a contrapporre ORA un iper-controllo dopo che all’inizio ci sono state gravissime carenze e ritardi.

In questo momento tutti i degenti sono chiusi all’interno; in passato d’estate alcuni venivano portati altrove e altri passavano le vacanze coi figli. Nulla di questo ora è possibile.

Tutto ciò dimostra ancor più la disumanità di questi luoghi che dovrebbero essere dedicati alla cura della persona.