Gli anni trascorsi dal golpe parlamentare-mediatico-giudiziario che risultò nell’impeachment fraudolento della presidente del Brasile Dilma Rousseff, oltre a provocare la distruzione lenta e sistematica dei dispositivi democratici di controllo popolare sulle attività di governo, hanno avuto come risultato drammatico quello che l’ONU oggi annuncia: 43 milioni di persone a rischio di “insicurezza alimentare”.

Ecco quindi che le previsioni più nefaste annunciate dal sottoscritto in queste pagine si avverano nella forma e nella sostanza. L’abbandono e lo smantellamento dei programmi di ausilio sociale – una bandiera dei governi precedenti e esempio mondiale di distribuzione della ricchezza – sono stati messi in atto; le privatizzazioni selvagge, la svendita del patrimonio nazionale, la precarizzazione e l’abolizione dei contratti, culminata con l’estinzione dello stesso Ministero del Lavoro; la distruzione del parco industriale, sono la causa di uno sfacelo sociale senza precedenti. La pandemia ha fatto il resto.

La creazione giornaliera di polemiche e di gesti inconsulti come diversivo per mascherare una politica economica assassina è stata la funzione che fino ad ora Bolsonaro ha esercitato con grande maestria. Le misure autoritarie, l’attacco ai diritti sociali, la distruzione dell’ambiente facevano parte del suo programma di governo fin dalla campagna elettorale. Sintomatico è l’atteggiamento della grande stampa, che pur criticando gli aspetti fascistoidi e il suo atteggiamento negazionista verso il Covid (e la sfericità della Terra), appoggia in blocco la sua politica economica. Anzi, ne sostiene le tesi e ne incentiva la realizzazione. La persona fisica di Bolsonaro, l’intollerabile Jair, fa le veci del cugino di campagna cafone, del parente povero ignorante e maleducato che non sa comportarsi a tavola. Quello che adesso davvero conta non è più lui, invischiato con la criminalità organizzata, il traffico di droga, le milizie armate, ma l’esito delle sue “riforme economiche”, la loro urgenza, la loro necessità. E su questo si sono messi tutti d’accordo in nome di una “governabilità” capace solo di arricchire a dismisura le oligarchie di sempre. E la Fame ritorna: 43 milioni di persone sotto la linea della miseria. E chi non muore di fame, muore di Covid.

Da più di due mesi il paese è privo di un Ministro della Salute, non esiste un piano nazionale di intervento, un coordinamento, un protocollo da seguire. Ogni regione, ogni città si organizza come può. I sindaci e i governatori subiscono la pressione dei gruppi economici e cedono al loro ricatto. L’isolamento sociale attraverso il quale in Europa si è riusciti a diminuire drasticamente il contagio e il numero di vittime qui non ha mai funzionato. Boicottate sistematicamente da Bolsonaro, le norme di sicurezza ormai non le segue più nessuno. Il ministero ora è in mano a una giunta militare che ha spazzato via i quadri tecnici sostituendo medici con colonnelli, virologi con capitani di artiglieria.

I segni di resistenza però sono molti, specialmente nei luoghi in cui, salvo per eseguire azioni repressive, le istituzioni non entrano mai. “Paraíso”, paradiso, è il nome della più grande favela di São Paulo, Paraisópolis, città del paradiso. E come tale continua ad essere un esempio di collaborazione e integrazione, sia tra i suoi abitanti che con il resto della città. Ci vivono centomila persone o forse più, molte delle quali nelle condizioni più disagiate che si possa immaginare. L’organizzazione capillare dei suoi abitanti ha permesso la creazione di un modello di assistenza capace di garantire la salute e la vita di migliaia di persone. Gli spazi comuni, come le scuole, i capannoni e i magazzini sono stati trasformati in centri di accoglienza per chi è risultato positivo ai test realizzati di casa in casa e organizzati da un “presidente de rua” una sorta di responsabile di ogni strada, di ogni vicolo. Il suo compito esclusivo è quello di prendersi cura di cinquanta unità residenziali e dei loro rispettivi abitanti. L’associazione di volontari garantisce la distribuzione di alimenti e aiuti di ogni genere. A questo proposito vengono usate sia cucine industriali che le strutture familiari messe a disposizione da ogni abitante che voglia e possa collaborare. Due ambulanze e una equipe medica sempre pronte a intervenire garantiscono il primo approccio alle unità sanitarie e agli ospedali specializzati. Le mascherine, i camici, le lenzuola, tutto viene confezionato in loco. Questa straordinaria capacità organizzativa ha permesso la diminuzione drastica del livello di contagio e del numero di morti, ma ha provocato la reazione nefasta delle autorità governative: se è possibile sconfiggere l’epidemia senza l’aiuto ufficiale, si continui pure a fare da soli! Una struttura sociale, che fa dell’emarginazione e dello sfruttamento uno dei suoi pilastri fondamentali trova nei suoi governanti la coscienza nera di se stessa. Ma la gente, abituata a sofferenze indicibili, abituata a sopravvivere alla violenza di una repressione implacabile, è capace di creare il suo riscatto e la gigantesca favela, simbolo dell’ingiustizia brasiliana, diventa oggi esempio di convivenza e solidarietà per il paese e il mondo, trasformando il suo nome in realtà Paraisópolis: Città del Paradiso.

Foto di Conexao planeta

Foto di Amanda Perobelli