Estanislao Merchancano era compagno di Agustin Aqualongo nella commovente, valorosa e fallimentare odissea che intraprese un gruppo di meticci di Pasto a favore della Corona spagnola e contro l’Indipendenza. Aqualongo e il suo stato maggiore sono vittime di un tradimento e il capo chiede clemenza per uno dei suoi ufficiali, Merchancano, giovane e promettente. Apparentemente la grazia viene concessa. Per un certo periodo di tempo, il sindaco di Pasto lo tratta amabilmente e lo chiama compadre (fratello, amico). Una notte del 1824, su ordine del compadre, il capitano che scortava Merchancano, gli taglia la testa con il suo machete.

Non sarebbe stata né la prima né l’ultima volta che un guerriero popolare sarebbe stato assassinato in Colombia. La storia di questo Paese è caratterizzata dalla disuguaglianza, dalla violenza e dall’impunità. Quella notte, a Pasto, moriva un meticcio. Ma prima di lui, erano morti bianchi, neri e indigeni. Migliaia di indigeni…Nel 1538 nella savana di Bogotà, regnava l’ultimo capo muisca**, Zaquesazipa. Gonzalo Jimenez de Quesaba cercava l’Eldorado ed era convinto che il capo sapesse dove trovare il tesoro, così, imitando il tradimento di Francisco Pizarro a Atahualpa in Perù cinque anni prima, lo sfidò a riempire un’abitazione con oggetti d’oro. Siccome la ricchezza chibcha non produsse molto, Zaquesazipa fu torturato a morte con ferri ardenti.

Il fiume vermiglio della violenza contro i leader sociali della Colombia, scorre da cinque secoli e attraversa tutta la carta geografica. Merchancano viene assassinato a Pasto. Zaquesizapa a Bogotà. Sulla costa atlantica alcuni ricordano le gesta dei neri che si ribellarono alla fine del 1599. Il loro leader era Benkos Domingo Biohò, “brioso, coraggioso e impavido”(a detta di Frate Pedro Simon), che fu a capo di una ribellione di schiavi e costruì una fortificazione a Cartagena. Dopo quattordici anni di conflitto, il capo nero e il governatore firmarono la pace. Benkos e la sua gente, tornarono al loro villaggio: lui con abitudini da re, loro come guerrieri a riposo. Nel 1619, mentre Domingo passeggiava all’ombra delle mura, venne arrestato su ordine di un nuovo governatore che lo considerava pericoloso. Fu impiccato e squartato il 16 marzo del 1621. Fra nove mesi saranno quattrocento anni. Scommettiamo che in questa data non ci saranno celebrazioni?

José Antonio Galan (1741-1782), non era né indigeno, né nero, ma creolo, figlio di un galiziano giramondo e di una contadina di Santander. Fu servo senza terra per anni nelle coltivazioni di tabacco finché, esacerbato dall’oppressione dei tributi che venivano imposti ai contadini, guidò una rivolta popolare a Santander che si estese fino a Boyacà, Cundinamarca e Tolima. Nel 1781 giunsero a Zipaquirà, 20.000 membri della sua comunità e suoi seguaci. Accerchiato, il viceré firmò una capitolazione che, paradossalmente, Galan non approvava. E aveva ragione. Sciolto il movimento, il governo non riconobbe l’accordo, arrestò Galan e lo condannò alla forca e chiese che “venisse decapitato, il suo corpo tagliato in quattro parti e gettato tra le fiamme, …dichiarata infame la sua discendenza, devastata la sua casa e cosparsa di sale”.

Il mosaico di omicidi colombiani è ampio e antico: Sucre, Arboleda, Obando, Uribe Uribe, Gaitan, Lara, Cano, Galan, Pizarro, Gomez Hurtado, solo per nominarne alcuni. Ma questi nomi li conosciamo e alcuni sono celebrati con monumenti. I martiri popolari, al contrario, sono polvere nell’oblio. Di questa orda anonima di capi della gleba assassinati, formano parte migliaia di donne alle quali viene negato anche il diritto di essere nominate. Ne conosciamo poche. La dirigente Gaitana, guida popolare di sei mila indigeni, il cui figlio fu torturato a morte dai conquistadores davanti alla sua famiglia. Policarpa Salavarrieta, il cui coraggio continua a risuonare nella piazza principale di Bogotà, nella quale venne fucilata nel 1817. Antonia Santos, che ebbe la stessa sorte due anni dopo a El Socorro. La legendaria tolimense Carlota Armero, giustiziata nel 1816 a sedici anni.

Voglio aggiungere a questi, un nome e un volto. Quelli di Aydali, Yadi o Idaly Ortega Marulanda (è una pena, non ne conosciamo nemmeno il nome corretto), responsabile della giunta comunale del rione los Hispanos, municipio di Vijes, Valle del Cauca. Faceva l’infermiera nell’ospedale municipale e ha lavorato senza posa per i contadini della regione. Nel 2015 denunciò alle autorità di aver ricevuto delle minacce. Due anni più tardi, venne ucciso suo marito. Lo scorso 13 maggio, mentre si recava a un appuntamento con i suoi due figli, le hanno svuotato addosso il caricatore di un revolver. Il suo fascicolo giace alla Procura, sepolto dall’impunità.

Sono centinaia i leader popolari assassinati negli ultimi anni in Colombia. Se c’è una missione da assegnare alle nuove generazioni in questo Paese, è quella di fermare la crudele emorragia che lo dissangua da cinque secoli e che le generazioni precedenti non hanno potuto frenare. Nessun colombiano dovrebbe dormire serenamente con simili incubi di croci sulle proprie coscienze. Soprattutto nessuna autorità dovrebbe farlo.

Nota Bene: Pare che io risulti parente del negriero Julio Arboleda (1817-1862). Non solo propongo ma esigo, come lontano nipote, che venga smantellata la sua statua e che mi venga inviato il pezzo di bronzo che mi si deve come eredità

Di Daniel Samper Pizano*

Traduzione dallo spagnolo di Maria Vittoria Morano. Revisione: Silvia Nocera.

*Riconosciuto in America Latina come uno dei migliori giornalisti colombiani. Accademico della Lingua. Acuto, agile e preciso è fra gli scrittori che hanno fatto di più per aprire gli occhi ai colombiani del XX secolo. Colonnista e cofondatore de #LosDanieles, portale giornalistico di ampio impatto e lettura in Colombia.

**Muisca è il nome associato a una civiltà di cultura Chibcha che formava la confederazione Muisca, incontrata dagli spagnoli nell’attuale Colombia centrale, NdT

Questo articolo fa parte di una serie di articoli scritti da giornalisti colombiani, in memoria dei leader sociali assassinati nel loro paese. Leggi quelli già pubblicati su Pressenza in questo link.