Il 5 giugno l’assemblea dei comuni di Torino Metropolitana ha respinto la proposta di rimunicipalizzare l’acqua di Torino. Si tratta dell’ennesima espressione della pervicacia con la quale i gruppi sociali dominanti continuano a rifiutare di rispettare la volontà della stragrande maggioranza dei cittadini (più di 26 milioni di elettori) che nei giorni 12 e 13 giugno 2011 si è espressa in favore del’acqua “diritto umano” e “res publica”, e non fonte di profitti e di privatizzazione del potere politico.

La demolizione dell’acqua “diritto umano” e “bene pubblco” non è un fatto solo italiano. Nel 2012, 1,9 milioni di ctitadini europei hanno firmato una proposta indirizzata all’Unione Europea, la cosiddetta Iniziativa dei Cittadini Europei (ICE), strumento legale istituito dalla stessa UE allo scopo di promuovere la partecipazione dei cittadini alle decisioni europee. La proposta chiedeva che l’UE riconoscesse nella legislazione dell’Unione il diritto umano all’acqua potable e promuovesse, in conformità, una gestione pubblica dell’acqua “bene comune”. La risposta data dalla dall’esecutivo europeo è stata poco degna. Secondo l’esecutivo, la politica dell’UE rappresentava già una prova che l’Europa stava promuovendo le condizioni necessarie per concretizzare l’accesso all’acqua potabile per tutti i cittadini europei. Dopo qualche schermaglia, la cosa restò senza seguito: il diritto all’acqua a livello UE è stato messo in soffitta, e da allora la Commissione avanza tranquillamente sulle vie dell’ulteriore mercantilizzazione, privatizzazione e tecnocratizzazione dell’acqua come dimostrato ultimamente dalla revisione della direttiva europea sull’acqua potabile. La revisione sarà approvata in questi giorni e a nulla sono valsi i tentativi per far inserire un riferimento al diritto all’acqua ed alla necessità di una reale partecipazione dei cittadini al governo dell’acqua.

Lo stesso dicasi delle posizioni imposte dai dominanti a livello internazionale e mondiale. Sia nell’ambito dell’Agenda dell’ONU 2000-2015, all’insegna degli Obiettivi dello Sviluppo del Millennio, che in quella del 2015 -2030, all’insegna degli Obiettivi dello Sviluppo Durevole, la strategia affermata è centrata sul principio dell’accesso all’acqua potabile per tutti in maniera equa e a prezzo abbordabile, cioè in maniera che accetta le inugualianze e che impone un pagamento di un prezzo di mercato, per quanto modesto possa essere. Anche qui ogni riferimento al diritto umano universale all’acqua ed ai servizi igienico sanitari è cancellato. Il rifiuto di menzionarlo è particolarmente deprecabile specie per quanto riguarda l’Agenda 2030 perché nel frattempo, grazie ad una azione efficace del governo boliviano di allora, l’Assemblea Generale dell’ONU ha riconosciuto, inaspettatamente, il 28 luglio 2010 il diritto umano all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari. Il fatto è che la risoluzione è stata votata da 141 Stati membri dell’ONU – la stragrande maggioranza essendo dei paesi del “Sud”- nel mentre 41 Stati, fra i più potenti e ricchi del mondo hanno votato contro. Cosi, a partire dal 2010 quest’ultimi sono riusciti sistematicamente e con prepotenza a non far fare più riferimento al diritto all’acqua in tutti i documenti, risoluzioni e programmi dell’ONU. IL principio di riferimento è diventato “accesso equo a prezzo abbordabile”, principio peraltro esteso ad altri diritti anch’essi mercificati, privatizzati e tecnocratizzati come il diritto alla salute.

Perché? Sono forse i popoli, i cittadini, piume al vento? Sarebbe il fenomeno dovuto al tradimento ed opportunismo dei gruppi sociali detti “progressisti” (socialdemocratici, socialisti, liberalsociali, mondo cristiano…) diventati preda del culto del denaro e dell’arricchimento all’era della globalizzazione capitalista imperiale? O la causa risiederebbe nella stanchezza e rassegnazione dei popoli difronte alle difficoltà di lotta contro i potenti ed il loro strapotere ? Senza dubbio, c’è un po’ di tutto ciò. Mi sembra però che quanto sopra ci spinge a renderci conto di un dato fondamentale: mai accettare un principio, un obiettivo, un’istituzione, un modo di agire che si discosta anche parzialmente o provvisoriamente dall’imperativo/obbligo collettivo della salvaguardia, cura e promozione dei diritti universali e della reale democrazia rappresentativa/diretta. Ogni qualvolta una società ha accettato deroghe, delegazioni, correzioni, invocate nel nome della nazione, della sicurezza “nazionale “ dello Stato o della classe, della competitività, di Dio, della ricchezza, del PIL, dell’efficienza… la società ha incontrato sempre di più difficoltà a liberarsi dagli imprigionamenti e dalle violenze che accompagnano l’asservimento a dette” legittimità”. La storia dell’acqua è a questo proposito paradigmatica. Per questo oggi la battaglia per il diritto all’acqua riveste una importanza storica particolare in un momento in cui è in gioco anche il diritto alla salute. Mai accettare che il diritto alla salute, universale, sia ridotto ad un problema di accesso equo e a prezzo abbordabile. Acqua e salute sono e devono essere difesi come “diritti universali” senza condizioni e come “beni pubblici mondiali”.