In seguito alla mobilitazione napoletana dello scorso 6 giugno per #BlackLivesMatter, la redazione di Pressenza ha preso contatti con il gruppo partenopeo di Amnesty International: 005 – Napoli. Giorgia Pane è l’attuale responsabile del gruppo di attivisti e la protagonista della nostra intervista, nella quale approfondiamo la mobilitazione intorno a #BLM e la situazione dei diritti umani delle persone migranti e più generalmente “non bianche” sul nostro territorio.

In che modo Amnesty ha accolto la mobilitazione popolare, presente anche in Italia e a Napoli, intorno a #BlackLivesMatter? Qual è il posizionamento della vostra realtà sulla questione?

L’accoglienza alla mobilitazione è generalmente positiva. Amnesty International ha l’abitudine di adottare singoli casi con “nomi e cognomi”. E se da un lato questo, a volte, dà l’impressione che Amnesty si occupi un po’ del singolo e dimentichi i gruppi, in realtà dal mio punto di vista è proprio l’opposto. Il caso di George Floyd, il suo nome in un certo senso, dimostra alle persone che tutti i problemi di cui stiamo parlando hanno un impatto vero e concreto sulla vita delle persone, con una forza emotiva che non va sottovalutata. Amnesty ha espresso la propria totale solidarietà alle persone che stanno protestando in questo momento negli Stati Uniti e ha dichiarato più volte la propria preoccupazione, non solo per gli avvenimenti che hanno condotto alle proteste, ma anche per la repressione violenta delle stesse da parte delle forze di polizia.

Queste proteste ci sono state anche in Italia e anche a Napoli. Sono iniziative che vanno accolte con favore, da una parte perché sollevano l’attenzione su quanto accade in America, ma anche perché possono essere l’occasione per parlare di quanto accade anche in Italia. Segnalo in particolare la manifestazione di Torino, esemplare nel rispetto delle norme previste sul distanziamento sociale. Con la consapevolezza che la nostra realtà, quella in cui siamo noi a protestare, è completamente diversa da quella americana. Una manifestazione pacifica e rispettosa delle norme è più semplice in questo momento nel nostro paese, rispetto alle strade americane che sono incendiate in tutti i sensi.

Quali tra i messaggi e le soluzioni proposte dai movimenti antirazzisti vi sembrano quelle che meriterebbero un’attenzione immediata, sia da parte degli attivisti che dei decisori politici?

Si è più volte ricordato negli ultimi giorni che il problema delle persone nere nelle società americana è un problema di razzismo sistemico. È un problema così intrecciato alla realtà sociale che si ha quasi difficoltà a scinderli. Da questo punto di vista è fondamentale combattere la profilazione razziale, come ricordato anche dal portavoce nazionale di Amnesty Riccardo Noury. Questa consiste nel peso decisivo dato ai fattori razziali o etnici nel determinare l’azione da parte delle forze dell’ordine nei confronti di un individuo. Noury ricorda l’esempio paradossale del bianco che con le mani in tasca fa una semplice passeggiata, mentre un nero ha sicuramente qualcosa da nascondere o ha commesso un crimine.

La richiesta di formazione adeguata delle forze di polizia è da incoraggiare, cosi come l’elaborazione di una normativa sull’uso della forza che sia in linea con il diritto internazionale. Negli Stati Uniti le forze di polizia commettono violazioni dei diritti umani molto frequentemente. Manca un’adeguata disciplina dell’uso della forza letale, che dev’essere adoperata, secondo il diritto internazionale, soltanto in situazioni in cui vi è un’immediata minaccia alla vita, propria o altrui. Ciò non corrisponde alla prassi, come nel caso di George Floyd e in tanti altri.

Il problema però come dicevamo è sistemico e la verità è che c’è anche mancanza di rappresentazione nelle posizioni apicali della società. Questo è un problema comune in America e in Italia. C’è maggiore difficoltà ad accedere alle posizioni apicali per ostacoli sociali ed economici che sono quasi insormontabili. E che trovano le proprie radici in un razzismo endemico interno molto radicato. È quasi assurdo pensare che solo pochi anni fa fosse un uomo nero (Obama, ndr) a sedere nella posizione più apicale di tutte, facendo emergere gli USA come paese delle contraddizioni.

Bisogna partire dall’educazione, nelle scuole ma anche nei media. Un’educazione alla rappresentazione di determinati soggetti, in un determinato modo. La rappresentazione dei neri sui media non può essere univocamente quella dei neri che commettono delitti o che sono delinquenti; c’è bisogno di una rappresentazione più aderente alla realtà. Una società più inclusiva si forma soltanto insegnando alle persone che quella via non solo è possibile, ma beneficia tutti.

Qual è la situazione dei diritti di migranti, seconde generazioni, ed in genere di chi ha la pelle “non bianca”, a Napoli e in Campania? Quali sono le maggiori criticità in tal senso?

La situazione dei diritti dei migranti in Italia, (e di riflesso anche sul nostro territorio regionale e cittadino, ndr) è il risultato disastroso dei decreti sicurezza, denunciati da Amnesty a suo tempo e purtroppo ancora in vigore. Particolarmente preoccupanti sono state e sono tuttora le condizioni di vita e sanitarie nei centri per il rimpatrio, soprattutto durante la pandemia. Sulla questione abbiamo pubblicato un focus della nostra rubrica online “Diritti in pillole”.

Riguardo al rapporto della popolazione con i migranti, e particolarmente di seconda generazione, Amnesty Italia ha condotto un monitoraggio nel 2018, in periodo di elezioni politiche, confluito all’interno del rapporto “Barometro dell’Odio”. Sono stati coinvolti circa 100 attivisti che per settimane hanno monitorato pagine Facebook e Instagram dei politici in tempo di elezioni. Il risultato è stato abbastanza agghiacciante, perché ha mostrato un livello preoccupante di hate speech – minacce ed insulti molto gravi – nei confronti di migranti e, più in generale, di persone non bianche. Questo ovviamente non va scisso dal clima politico di cui parlavamo prima. C’è stato un picco incredibile nel 2018 di hate speech, specialmente online, nei confronti di persone di pelle non bianca.

A Napoli e in Campania c’è una realtà molto peculiare. Potremmo quasi dire che ha una doppia faccia, caratterizzata da un lato da una grande apertura, ma dall’altra parte da una grande ignoranza. C’è la tendenza all’accoglienza del diverso, con contesti in cui si può parlare addirittura di multiculturalismo, ma sono tantissime le fette della società che vivono con un basso livello d’istruzione e quindi con una bassa conoscenza della realtà del diverso. È un discorso valido sia per la città che per la Regione.

Il razzismo in Italia non è come in America, è sottile e spesso inconscio e non si basa tanto sul colore della pelle ma più sulla provenienza geografica. Si manifesta con discriminazioni lavorative e insulti e molto spesso è sottile al punto da non notarsi.

Forse uno dei problemi maggiormente visibili, per la presenza di tanti ragazzi che attendono lo “strappo” verso i campi in alcuni nodi stradali della prima periferia napoletana, è quello del caporalato. Qual è la tua opinione in merito, anche alla luce del recente provvedimento del governo?

Il problema del caporalato è strettamente correlato alla questione della regolarizzazione. Amnesty si è più volte pronunciata sul problema delle condizioni lavorative e di vita dei braccianti. La recente attivazione del governo sulla regolarizzazione dei migranti è stata vista con favore da Amnesty, perché questo dovrebbe essere lo strumento migliore per combattere il fenomeno del caporalato, ma la realtà è che la risposta del governo in conclusione è stata deludente. La regolarizzazione è stata prevista con molte delimitazioni, destinata solo ad alcuni settori, con la necessaria collaborazione del datore di lavoro: è una procedura ostica per i migranti che vogliano ottenere la regolarizzazione. Per non parlare del fatto che non si può cambiare lavoro nel periodo in cui si fa la richiesta. Molti limiti che sollevano dubbi sull’efficacia della regolarizzazione prevista dal decreto. Amnesty parla da anni della necessità di regolarizzare i migranti. L’idea in sé non può essere considerata negativa, ma la realizzazione è stata carente.

Quali progetti/campagne porta avanti in questo momento il vostro gruppo?  Ce ne sono di specifiche a riguardo? Cosa può fare chi vuole darvi una mano?

L’emergenza sanitaria non ha risparmiato il settore dell’attivismo. La pandemia ha paralizzato il lavoro che facevamo principalmente con le scuole e le università. A livello nazionale c’è un appello che si può firmare per richiedere Giustizia per George Floyd. Questo mi porta alla considerazione che molte delle attività di questo momento si svolgono online.

Come gruppo Napoli abbiamo inaugurato una rubrica online, la già citata Diritti in Pillole, composta da brevi video con focus specifici su determinate situazioni. La prossima sarà proprio sulla condizione dei migranti in Italia, soprattutto ai tempi del Covid.

Come attività in piazza, voglio comunque segnalare l’iniziativa di un gruppo Amnesty facente parte della circoscrizione Campania-Basilicata. A Potenza nei giorni scorsi è stato realizzato un bellissimo flash mob per #BlackLivesMatter nel rispetto di tutte le norme sul distanziamento sociale.

In questo momento mi sento di rispondere, a chi chiede cosa fare, di informarsi. Farlo sulla base di canali ufficiali e informazioni verificate. Il razzismo e la xenofobia si combattono conoscendosi, superando l’ignoranza. Non c’è niente di male a non sapere, purché però si sia disposti ad imparare.

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