Una recente indagine sociologica («Orientamenti sui valori degli studenti delle scuole superiori in Serbia 2019») condotta dall’Istituto per le Ricerche Sociali della Facoltà di Filosofia dell’Università di Belgrado, su un campione rappresentativo della gioventù serba, costituito da giovani studenti e studentesse delle scuole secondarie superiori, le corrispondenti in Italia delle scuole secondarie di secondo grado, in cinque tra le maggiori città serbe (Belgrado, Novi Sad, Kragujevac, Niš e Novi Pazar) fornisce una fotografia ampiamente rappresentativa delle tendenze della società serba, dei valori e degli atteggiamenti dei suoi giovani, dell’evoluzione degli orientamenti e del costume nel corso degli ultimi anni. Mostra delle linee di tendenza che sembrano indicare piuttosto chiaramente in che direzione si stia muovendo la Serbia, per lo meno tra gli adulti dell’immediato futuro, alle soglie del terzo decennio del nuovo millennio.

L’orientamento nazionale, se non un atteggiamento propriamente nazionalistico, sembra essere, per molti aspetti, maggioritario: il 24% dichiara di non approvare affermazioni nazionalistiche, il 32% dichiara di approvare tali affermazioni mentre un 44% non esiterebbe a dichiararsi «nazionalista moderato», un indicatore piuttosto significativo dell’atteggiamento, tutto sommato positivo, o comunque non stigmatizzante, nei confronti del nazionalismo, pur se talvolta declinato in termini di patriottismo.

Analogamente, in relazione alla questione del Kosovo, il 53% ritiene debba restare parte integrante della Serbia, mentre solo il 12% lo considera alla stregua di uno Stato indipendente propriamente detto; circa le questioni delle minoranze nazionali, il 44% mostra di avere un approccio tollerante o inclusivo nei confronti dei Rom, con un altro 40% che ha un approccio indifferente o moderato nei loro confronti, mentre significativa la presenza di una minoranza, comunque consistente, che non amerebbe ritrovarsi nel proprio quartiere famiglie albanesi kosovare (29%), o rom (20%), o di migranti (26%). È lo specchio di una gioventù che sarebbe sbagliato definire tout court “razzista”; sostanzialmente conservatrice sulle questioni dei diritti e delle libertà, tendenzialmente nazionalistica o patriottica, dove il senso di unità e le questioni nazionali continuano a giocare un ruolo significativo.

L’indagine ovviamente prosegue, esplorando altri aspetti della forma mentis, dei valori e degli orientamenti, della gioventù serba, ma questi dati sembrano interessanti per fornire uno sfondo su cui proiettare i risultati delle elezioni politiche generali tenute in Serbia, domenica 21 Giugno. Ci si aspettava una vittoria del blocco di potere uscente, e questa vittoria è stata confermata perfino al di là delle più ottimistiche previsioni: accreditata dalle rilevazioni pre-elettorali di un consenso tra il 55% e il 60%, l’alleanza guidata dal Partito Progressista Serbo (SNS), partito del presidente della repubblica Aleksandar Vučić e prima forza al governo del Paese, supera addirittura il 62% dei consensi, accreditata pertanto, dalle proiezioni non ufficiali, di 189 seggi su 250 del nuovo Parlamento. Si tratta, appunto, di una forza nazionalista e conservatrice, orientata a destra, che intende, da un lato rappresentare il tema dell’unità del popolo serbo e, dall’altro, garantire la modernizzazione del Paese, pur tenendo fede, almeno a parole, ai temi politici cari all’opinione pubblica, il non ingresso nella NATO, l’apertura alla Cina e la tradizionale alleanza con la Russia, l’intenzione di non abbandonare il Kosovo. Positivo, alla luce di questo eclatante successo, il risultato dell’alleato di governo, il Partito Socialista Serbo (SPS) dell’attuale ministro degli esteri Ivica Dačić, accreditato di quasi l’11% dei voti e, in proiezione sul nuovo Parlamento, di 32 seggi su 250, forte soprattutto delle ragioni della continuità dell’alleanza, di una certa continuità nell’esercizio delle relazioni internazionali del Paese, del buon insediamento in diverse realtà della Serbia.

Il forte consenso di cui gode l’attuale esecutivo e le forze che lo esprimono, soprattutto nella Serbia “profonda” delle cittadine minori e nel vasto entroterra rurale, alimentato anche da una campagna mediatica insistente, che ha destato non poche critiche circa l’effettiva libertà della stampa e della informazione critica in Serbia, hanno quindi portato all’effetto combinato di una forte concentrazione del consenso, letteralmente dominato dai partiti di governo, e di una estrema frammentazione del voto per le forze minori, la gran parte delle quali non entrerà nel nuovo Parlamento, a dispetto dell’abbassamento della soglia di sbarramento, ridotta, per questa tornata elettorale, al 3%.

Allo stato, solo il movimento SPAS (Alleanza Patriottica Serba) di Aleksandar Šapić, altro movimento orientato a destra, che si avvicina al 4%, sembra avere la certezza di entrare in Parlamento, con circa 12 seggi, mentre le numerose altre formazioni minori, diverse delle quali espressione della destra o addirittura dell’estrema destra del quadro politico serbo, sembrano lontane dalla soglia di sbarramento.

Si profila quindi un Parlamento estremamente semplificato nella sua composizione, in cui oltre al SNS, al SPS, e allo SPAS, è assicurata, in base alla legge elettorale, solo la presenza delle minoranze nazionali, l’Alleanza degli Ungheresi della Vojvodina, la lista del Partito Giustizia e Riconciliazione e del Partito Democratico dei Macedoni, il Partito di Azione Democratica del Sangiaccato (SDA) e l’Alternativa Democratica Albanese (ADA). Non c’è forse da stupirsi, in questo quadro complessivo, che l’affluenza al voto sia stata pari ad appena il 48%.