In questi giorni di grande preoccupazione risulta sempre più evidente il fallimento del sistema neoliberista e si stanno aprendo diversi dibattiti sul futuro del nostro Paese. Tra le tante dissertazioni ho notato le interviste a Boeri e Fuksas, noti  archistar del jetset urbanistico internazionale. Le interviste, entrambe, vertevano sulla situazione attuale delle zone urbanizzate e la necessità di andare “via dalle città, nei vecchi borghi c’è il nostro futuro” (cit. Boeri). In primo luogo, mi rallegra molto il fatto che si inizi, finalmente, a ragionare e riflettere sulle zone rurali come luogo di ripartenza. Però, in seconda istanza, ho immediatamente pensato che prima è necessario sancire concettualmente e teoricamente il fallimento della città moderna e, dunque, la fine del capitalismo e dell’illuminismo (quello ‘700-‘800),altrimenti i borghi, le campagne e le montagne faranno la fine delle coste italiane e delle campagne dormitorio di cui è tempestata l’ Italia. Dobbiamo con forza lanciarci alle spalle i paradigmi ormai obsoleti che hanno dominato la scena degli ultimi secoli, pertanto risultano fuori tempo massimo le proposte, troppe ne vedo di questi tempi, di un capitalismi dal volto umano o di socialismi in salsa green. O a chi vorrebbe ancora dividere il popolo nelle obsolete categorie novecentesche di destra/sinistra,  categorie necessarie solo a continuare a dividere e frammentare, in pieno stile imperiale dividi et impera!

Non potrà essere la città (cioè il mondo culturale e politico della città modernista e industrialista) su cui è stato basato un modello che ha fallito evidentemente, a poter insegnare quale sia la soluzione alla crisi di quel modello. E’, invece, venuto il momento che sia il mondo rurale, con i suoi luoghi e la sua cultura, ad indicare un diverso paradigma, un nuovo umanesimo, naturalista, territoriale e comunitario, per ripartire. La ruralità -a differenza della città- non lo farà “imponendo” il suo modello ma costruendo assieme alla città il nuovo modello bastato su un nuovo rapporto montagna-campagna-città. Il Coronavirus, probabilmente, è uno degli ultimi avvertimenti: se siamo intelligenti, come ci vantiamo giustamente di essere, prendiamo al volo il suggerimento e mettiamoci subito al lavoro. Perché saranno tanti e forti quelli che diranno, finita la paura: “Ripartiamo come prima”.

Dobbiamo lasciarci alle spalle il mondo che abbiamo conosciuto, quel sistema disumanizzante che tendeva a concentrare: le persone nelle città, concentrare i capitali nelle mani di pochi, concentrare il potere in poche persone, concentrazione in ogni senso. Un sistema che ha leso i diritti civili che ha fatto violenza di ogni sorta in ogni angolo del mondo, trasformando le persone in consumatori e arrivando a compromettere il pianeta e la nostra sopravvivenza.

Da Presidente della ReTe dei comitati per la Difesa del Territorio, mi è sempre più chiara la necessità di una profonda riflessione e dibattito che non potranno essere facilmente liquidati con le solite ragioni economiciste, anche se lo si tenterà di fare e con forza. Oggi più che mai è evidente che non possiamo continuare con un’economia che per esistere deve distruggere l’ambiente o sfruttarlo fino al limite del possibile. Anche in questo, l’origine del coronavirus, ci riporta automaticamente a riflettere verso la necesstià di una coscienza del limite, del saper quando fermarsi, tipica delle culture rurali che con la Terra e per la Terra vivono a stretto contatto. Lasciando senza limiti di crescità la nostra parte spirituale, creativa e culturale, la nostra allegria, la socialità e la voglia di vivere un mondo alleggerito.

Oggi più che mai è necessario avere proposte; dopo tanti anni di lavoro di comitati, associazioni e gruppi più o meno organizzati su alternative economiche, su un nuovo rapporto montagna-città-campagna, sul contenimento del’ urbanizzazione, sull’ autogoverno delle comunità, credo che sia giunto il momento di aprire le porte ad un nuovo paradigma. Una nuova visione che rimetta al centro le persone e le sue necessità fondamentali, che si basi sulla nonviolenza, sulla democrazia reale. Una visione che riparta dalle comunità: dai piccoli paesini fino ai quartieri delle città. E’ il momento di difendere la nostra identità e sovranità da una globalizzazione che le vorrebbe liquefatte in mostruosi ingranaggi finanziari ed omologarle sull’altare del profitto di massa, a questo noi contrapponiamo la nostra millenaria cultura e la nostra capacità, anche nei momenti più difficili, non solo di uscirne ma di ribaltare l’esito a nostro favore, proponendo qualcosa che possa essere da riferimento e da modello. A questo contrapponiamo processi di decentralizzazione che puntino a riportare poteri alle comunità, alle persone verso un processo di Democrazia reale. In tutto questo il nuovo ruolo dello Stato sarà quello di coordinare e monitorare questo processo complesso, accentrando solo funzioni basilari alla nazione che saranno scelte e istituite proprio ripartendo dalle comunità.

Ritengo veramente fondamentale la riflessione con tutti i comitati, visto che la radice dei nostri conflitti e vertenze è comune ed è intimamente legata al modello di sviluppo citato in precedenza, sarà fondamentale, avere proposte forti alla fine di questo periodo difficile, proposte che dovremmo, poi, costruire con forza. Ricordandoci sempre che sono tante le minacce, oltre le pandemie, che pendono sulle nostre teste: cambiamenti climatici, rischio sismico, dissesti idrogeologici, falde acquifere inquinate o distrutte, devastazione di montagne e colline, disboscamenti, inceneritori e affini, SIN mai bonificati, urbanizzazione di aree vergini, inquinamento dei mari financhè dello spazio.

Da oltre 20 anni lavoriamo su come tornare alla ruralità, come riportare l’umanità a vivere in modo veramente umano, in questo grande processo di trasformazione non si potrà lasciare fuori le esperienze maturate sui territori, non si potranno inseguire modelli che nascono da chi era parte del problema. Le nostre proposte sono elaborate e strutturate e portano soluzioni concrete alla crisi che ci attende, perchè come molti sanno già “niente sarà più come prima”, ma che direzione prenderà il nuovo che ci attende dipenderà anche da noi e dalle scelte che faremo.