Da Helodie Fazzalari

Al centro di Santiago del Cile, a pochi passi dall’Università Cattolica, sorge l’unico ospedale di urgenza di tutta l’intera nazione. E’ qui che centinaia di giovani vengono portati per il primo soccorso a seguito delle proteste in piazza, è qui che sono arrivati centinaia di studenti feriti durante le manifestazioni, ed è qui che si trova uno dei Centri Cerimoniali Mapuche della città. Eppure in pochi, anzi pochissimi sembra conoscano l’esistenza di questa realtà. Personalmente ho avuto la fortuna di visitare il Centro grazie a Juan Carlos, un avvocato Mapuche legato interiormente alla comunità di origine e che nonostante oggi viva in città, sembra non aver perso in alcun modo il contatto con la Madre Terra e il concetto di ‘commovisione’. Una volta arrivati all’ingresso dell’ospedale, Juan Carlos mi racconta di quando, quasi un anno fa, a seguito di un brutto incidente con la macchina, il fratello fu ricoverato d’urgenza presso questa struttura. “Erano circa le 3 di notte, mio fratello era in fin di vita ed io e la mia famiglia avevamo la necessità di riunirci per pregare insieme”, spiega Juan. “Chiedemmo alla guardia se fosse possibile fare una nostra preghiera vicino ad un albero, proprio qui all’entrata. La guardia però rispose che avrebbe dovuto chiedere l’autorizzazione”. Ma esattamente a chi è che deve essere chiesta l’autorizzazione per entrare in contatto con la natura e pregare per un proprio familiare morente in un letto di ospedale? Probabilmente quella domanda così ‘fuori dal mondo’ per chi non conosce e ignora la cultura Mapuche, spiazzò quella guardia, che quasi sicuramente non aveva idea della presenza di un Centro Cerimoniale proprio all’interno della stessa struttura ospedaliera. Difatti, essendo in una zona poco visibile, anche chi è a conoscenza della sua esistenza potrebbe non trovarlo o scambiarlo per un banale giardino, quando in realtà in quello spazio di pochi metri quadri e completamente all’aperto, si racchiude il cuore di un’intera comunità. Nella zona ‘abbandonata’ e dismessa della struttura ospedaliera, passando per dei bagni pubblici ormai in disuso, è possibile aver accesso al Centro Cerimoniale. “Siamo stati fortunati”, afferma Juan Carlos. “Solitamente questa porta è chiusa. Immagina se qualcuno della nostra comunità fosse in fin di vita e sentisse il desiderio di entrare a contatto con la Madre Terra, come potrebbe farlo con una porta chiusa?”. “Nei giorni seguenti all’incidente di mio fratello, io e la mia famiglia abbiamo pregato qui, questo Centro era più rigoglioso, ad esempio questo Rehue (struttura in legno tipica della religione Mapuche) era dritto e non inclinato come adesso”.

Eppure oggi il piccolo giardino verte in uno stato di semi abbandono, molte piante sono state potate e per questa ragione altre sono secche e qualcuna sta per morire, proprio perché private dell’ombra degli alberi più alti. Qui nessuno sembra interessarsi o essere quanto meno a conoscenza del Centro di culto, fatta eccezione per uno degli psicologi dell’ospedale. Ricardo nota la nostra presenza da una delle finestre che si affacciano sul piccolo giardino e immediatamente ci viene incontro per salutare Juan. Subito spiega a Juan Carlos il perché alcune piante hanno dovuto essere necessariamente potate e ci espone quali sono le sue idee per dar nuova vita a questo Centro di culto. Il progetto di Ricardo sarebbe quello di tinteggiare tutto intorno di bianco, di riempire le pareti vuote con dei murales che richiamino alla cultura indegna. Vorrebbe, inoltre, organizzare una riunione con la famiglia di Juan Carlos per decidere quando iniziare i lavori, possibilmente nelle ore meno calde “viste le alte temperature di quest’estate”, e stabilire in che modo effettuare la manutenzione del Centro. Nel bel mezzo della nostra discussione, un addetto alla sicurezza ci viene incontro spiegandoci che gli è stato dato l’ordine di chiudere quella porta, e che quindi saremmo dovuti uscire. A quel punto Ricardo risponde: “Lei sa che questo è un Centro Cerimoniale Mapuche?”. L’addetto alla sicurezza, in maniera del tutto prevedibile, risponde di non essere a conoscenza di questo e ritorna al suo lavoro. Ciò che fa riflettere, oltre al visibile stato di abbandono del Centro, è che qui quasi nessuno sembra riconoscere la fede di un’intera comunità Mapuche. A stupire non è ‘l’ignoranza’ di un singolo individuo, ma il mal costume condiviso da molti, di maneggiare con poco rispetto una spiritualità differente dalla propria. A stupire è la porta aperta di una cappella di religione cattolica all’ingresso dell’ospedale, e di una porta di un piccolo giardino senza uscita che ‘deve essere chiusa’, senza alcuna spiegazione. A stupire è che questo popolo indigeno è stato il primo tra gli abitanti del Cile, la loro cultura è tra le più antiche, eppure proprio come molti di loro, oggi vive ancora ai margini della società, tra le memorie di alcuni e nel bagaglio culturale di pochissimi. Sempre a stupire è che a Santiago abita circa il 40% della popolazione Mapuche, ma che nonostante i passi avanti fatti nel tempo, nel 2020 non riesce ancora, a causa di fattori esterni, a professare la propria fede nella maniera più libera e pura possibile: a contatto con la Madre Terra. “Il buono di questa storia è che il Centro Cerimoniale c’è, esiste”, afferma Juan Carlos. “Il cattivo, è che continuano ad essere ignorati i principi della nostra fede, e si questo è un chiaro esempio di violazione dei diritti umani, perché noi abbiamo in diritto di poter pregare come un fedele di una qualsiasi altra religione”.