In Turchia i casi di femminicidi sono sopra la media europea. Quindi la protesta collettiva, di origini cilene, ha trovato un seguito molto partecipato,  ma la risposta delle istituzioni è stata violenta.

Solo nel 2019 in Turchia sono state uccise 299 donne. Il numero dei femminicidi è in aumento in tutto il mondo. Secondo i numeri comunicati dalle Nazioni Unite, nel mese di novembre di quest’anno anche in Europa si registra una crescita notevole di femminicidi e casi di violenza contro le donne. La Turchia, nell’aerea europea, è in cima alla lista.

Secondo gli ultimi dati diffusi dal Ministro degli Interni, nel 65% dei casi l’assassino è il partner della vittima e nel resto è molto alta la possibilità che sia un conoscente. Dunque la casa, il quartiere, le strade e la città sono piene di pericoli per le donne che vivono in Turchia. La maggior parte dei casi di violenza si registra nelle grandi città come Istanbul, Smirne, Ankara, Adana, Antep e Antalya.

Le organizzazioni non governative e i partiti dell’opposizione in questi anni hanno attirato l’attenzione delle istituzioni e dell’opinione pubblica su alcuni temi chiave in questo tasto dolente.

Divorzio tabù e protezione negata

Secondo la ricerca realizzata dal portale kadincinayetleri.org (femminicidi) si osserva che poche donne riescono a denunciare il loro futuro assassino per via di una questione culturale, oppure per la difficoltà di realizzare questo diritto.

Hulya H., una donna che ha ucciso il marito che la violentava sistematicamente, durante il processo in aula ha parlato così: “Di fronte ai ripetuti casi di violenza volevo divorziare, ma la famiglia di mio marito e la mia hanno sempre provato a convincermi a non farlo. Alla fine sono riuscita a denunciarlo, ma non è stato allontanato da casa con la forza dalla polizia e le forze dell’ordine non hanno accolto la mia richiesta di protezione. Ho dovuto risolvere io il problema”.

Il caso di Hulya è un esempio di un caso diffuso: la forte pressione delle famiglie contrarie al divorzio e la mancata presenza delle istituzioni nei casi di violenza.

Aggressore buono

Un altro tasto dolente invece è legato al sistema giuridico. Secondo il parlamentare nazionale Burhanettin Bulut, è un problema gigantesco il fatto che i giudici abbassino le pene degli aggressori per via dei loro comportamenti “corretti” durante il processo. Bulut, nel suo intervento parlamentare il 16 dicembre ha parlato così: “In vari casi abbiamo visto che basta una cravatta oppure un vestito pulito ed elegante che l’aggressore si mette addosso per diminuire la pena che gli spetta. Addirittura in certi casi viene utilizzato anche il “comportamento provocatorio” della donna per giustificare parzialmente la violenza del maschio. Non mancano i casi degli aggressori scarcerati dopo pochi mesi o anni, che ritornano a violentare o uccidere altre donne”.

Convenzione d’Istanbul

Nella città più grande del paese è stata firmata nel 2011 la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica. Il trattato si propone di prevenire la violenza, favorire la protezione delle vittime e impedire l’impunità dei colpevoli. È stato firmato da 32 paesi e il 12 marzo 2012 la Turchia è diventata il primo paese a ratificare la Convenzione.

Fidan Ataselim, una delle rappresentati della formazione “Consigli delle donne”, in un’intervista rilasciata lo scorso agosto alla redazione in turco di EuroNews ha dichiarato: “Per poter applicare interamente la Convenzione il governo deve effettuare le necessarie modifiche legislative. Tuttavia finora ci sono state soltanto delle promesse”.

Va sottolineato il fatto che in primis il Presidente della Repubblica e successivamente diversi giornali nazionali conservatori hanno lanciato una campagna lo scorso agosto per mettere in discussione la partecipazione della Turchia ed eventualmente il ritiro della firma. La motivazione di questo gruppo è il fatto che “la convenzione possa danneggiare la struttura della famiglia tradizionale turca”.

La forza de Las Tesis

Una cultura patriarcale diffusa, una capillare crescita della violenza maschile e l’ambigua posizione della magistratura insieme alle contraddittore posizioni delle istituzioni sono alcuni elementi che costituiscono il testo di questa protesta di strada partita dall’America del Sud.

L’8 dicembre sul lungomare di Istanbul, vicino al molo di Kadikoy, centinaia di donne hanno cantato, ballato e protestato. Quattro giorni dopo nella capitale Ankara, stavolta di notte, centinaia di donne  sono scese in piazza con lo stesso obiettivo. In entrambi i casi la risposta della polizia è stata la stessa: manganelli, scudi, lacrimogeni e decine di arresti.

Alcune parlamentari nazionali del principale partito dell’opposizione, CHP, Partito Popolare della Repubblica, hanno allora eseguito il flash mob de Las Tesis sui banchi del parlamento dicendo: “In Turchia per fare questa protesta bisogna avere l’immunità”. Il Ministro degli Interni, Suleyman Soylu ha definito questo gesto come “un’azione fuori legge che insulta lo Stato”.

Nei giorni successivi nonostante tutto le donne sono tornate in piazza, stavolta nel quartiere di Besiktas a Istanbul e per le vie centrali di Smirne. Un fiume di donne, una scena che ha impressionato i passanti, conquistando le strade. “L’assassino sei tu, lo stupratore sei tu”. Il giorno dopo la polizia ha prelevato 9 donne dalle loro abitazioni e la procura ne ha invitate altre 16 a presentarsi per l’interrogatorio. Le accuse sono: “Insulto al popolo turco, alla Repubblica di Turchia e alle istituzioni dello Stato” e “trasgressione delle norme che riguardano i regolamenti per le manifestazioni e cortei”.

La protesta è stata fortemente criticata anche dai media mainstream e conservatori. Il quotidiano nazionale Sabah ha usato questo titolo: “Il ballo de Las Tesis di Smirne è stata utilizzata per servire al terrorismo”. Anche il canale televisivo nazionale A Haber ha scelto un lancio simile: “Legami con il terrorismo delle donne che hanno provato a provocare con Las Tesis”.

Dunque, sembra che il messaggio del flash mob de Las Tesis abbia raggiunto il suo obiettivo in Turchia disturbando la magistratura, le istituzioni, il governo e i media conservatori.