Qualcuno si stia svegliando dal torpore, dopo aver passato decenni a sottovalutare le destre, ripetendo il mantra che si tratti di quattro cretini, o comunque di comportamenti minoritari. Dicono che hanno vissuto gli anni’70, poi gli “anni di piombo” e che il pericolo in fondo è già scampato.

Se oggi sentiamo il bisogno di mettere sotto scorta i testimoni diretti del nazi-fascismo, ridotti sempre di più dal ricambio generazionale, evidentemente la nostra memoria collettiva si è indebolita oltre misura.

Questa amnesia generalizzata, sotto i colpi delle crisi cicliche del sistema capitalista, come quella del 2008, dimostrano che non siamo abbastanza immuni da quella che Croce chiamava “una malattia morale” e che oggi assume sempre più marcatamente anche i caratteri di una malattia culturale.

I suoi sintomi febbrili riscaldano il corpo sociale che individua quel virus che è sempre lo stesso, confezionato e conservato per essere scatenato al momento opportuno al fine di vessare gli ultimi e dividerli e governarli.

Eppure questa febbre nera ormai si è diffusa in molti paesi. E forse quei “tiepidi” che hanno sottovalutato questo pericolo se ne stanno pentendo. Forse pensano che, nell’illusione che la lotta sia tra sovranisti ed europeisti, alla fine il mercato vincerà, come se il mercato non fosse uno dei due volti dello stesso potere, quello (forse) “più esteticamente accettabile” rispetto a quello dei muscoli dei nazionalismi.

Molti oggi sono sorpresi nel vedere Lega e Fratelli d’Italia al 40%. Ma se ci chiedessimo in quale momento nell’opinione pubblica abbiano iniziato a fare strada le idee di destra, convinti che la gente non avrebbe ripetuto gli orrori del passato, limiteremmo la risposta agli effetti della crisi economica e al fatto che nel disagio da essa provocato, serpeggiano i semi del consenso di queste destre.

Ma il consenso si produce diffondendo delle idee e spesso sottovalutiamo i messaggi radicali che vengono da tempo iniettati nel dibattito pubblico, prima ancora della crisi economica.

Il punto è quindi eminentemente culturale e riguarda il modo in cui vengono sdoganate le idee razziste nell’opinione pubblica. Non si tratta di un procedimento improvviso, bensì lento e invisibile, che passa attraverso dei pensieri radicali prima estremi ed inaccettabili, ora chiamati solo “duri” o “forti”, inoculati periodicamente, non direttamente o non solo, dai politici di estrema destra, ma anche dai loro intellettuali e giornalisti.

La strategia è semplice: le estreme destre influenzano la cultura di massa per vincere le elezioni. Un’idea radicale diventa moderata se sorpassata da un’idea ancora più radicale, fino alla conquista dell’egemonia culturale.

Il ruolo chiave spetta ai media, in mano ai gruppi di interesse o di potere che rincorrono una sola logica, quella dell’audience. L’elemento più grave è che l’audience o le visualizzazioni, le “leggi supreme” del mercato televisivo o social, favoriscono questo tipo di pensieri radicali o estremi, dandogli visibilità.

I vari provocatori come Sgarbi, Feltri, Giordano, Belpietro, Ferrara, Grillo, Salvini, Meloni, hanno spinto il limite dell’accettabile, introducendo nel dibattito idee, prima inaccettabili. Sgarbi, il meno politico tra questi, e per questa ragione il più fintamente innocuo, è l’esempio più eclatante di questa funzione.

Sia che si prenda sul serio quello che dice, sia che lo si bolli come personaggio provocatore costruito, sia che si rida per la sua violenza verbale “fuori le righe” questo non gli impedisce di introdurre qualcosa di nuovo che entra nel dibattito.

Le loro idee inizialmente impensabili, radicali, a forza di essere dette, spostano a colpi di risata, di un poco il campo, o meglio “la finestra” dei pensieri possibili.

Un sociologo ha spiegato questo con la “finestra di Overton”.
Overton descrive uno schema di idee dalla “più libera” alla “meno libera” riguardo l’azione del governo, rappresentata su un asse.
Prendiamo l’esempio del cannibalismo che è considerato immorale e condannabile nella società studiata. A questo stadio il cannibalismo si trova al livello più basso di tolleranza nella finestra: è impensabile ed inaccettabile.

Per fare cambiare l’opinione pubblica si trasforma il tema in argomento scientifico, che per statuto non ha limiti di investigazione. Un piccolo gruppo di “estremisti” pro-cannibalismo espone l’idea nei media e questa opinione diventa radicale. Il cannibalismo non è più un tabù.

Il passaggio seguente è che l’idea radicale diventi piano piano accettabile. Chi continua a percepirli come intransigenti verranno tacciati di fanatici che si oppongono alla scienza, contribuendo a modificare il linguaggio. Ad esempio nel caso del cannibalismo si parlerà di antropofagia o di antropofilia. Il dibattito pubblico integra progressivamente questa idea anche se non è ancora completamente accettata.

In seguito il cannibalismo può passare da accettabile a ragionevole portando esempi di giustificazione in casi estremi, come in quello di una carestia e del relativo spirito di sopravvivenza. Esempi di giustificazione vengono poi generalizzati.

Infine l’idea diventa popolare tramite canali culturali, per esempio (banale) dei film di zombies. Infine i gruppi di pressione cercano una rappresentazione politica che legalizzerebbero l’idea inizialmente impensabile.

Questo procedimento rappresentato dal sociologo si è svolto e si svolge quotidianamente sotto i nostri occhi, spostando ogni giorno i limiti di questa finestra allargata nella direzione voluta dai centri di potere.

Esso è accompagnato da una tendenza generale a minimizzare gli eventi, come lo dimostrano i fatti di Verona (cori a Balotelli), al Lucca Comics, o la dichiarazione dello “stato d’emergenza nazismo” a Dresda. Il partito di Angela Merkel ha infatti parlato di “puro simbolismo” e di “errore linguistico”.

Lo sdoganamento di pensieri e comportamenti razzisti è calcolata ed accettata persino da quei tiepidi e moderati liberali-liberisti che pensano di poter giocare “al lupo al lupo” contro l’ondata nera credendo di poterla cavalcare. Speriamo che, come già accaduto in passato, non finiscano per aprirgli definitivamente le porte. Noi restiamo vigili.