Un reportage a puntate, tra le date simbolo del 24 Ottobre (Giornata delle Nazioni Unite) e del 16 Novembre (Giornata UNESCO della Tolleranza), per esplorare, lungo i Balcani, le vie della pace a partire dalla cultura.

È una delle possibili «Vie del Danubio», il grande fiume d’Europa e la via magistrale di connessione di popoli e culture, a cavallo tra la Mitteleuropa e l’Oriente Europeo, l’Europa centrale e austro-tedesca con il mondo slavo e la penisola balcanica. Si tratta della «Via degli Imperatori dell’Antica Roma e dei Vini del Danubio», itinerario culturale riconosciuto dal Consiglio d’Europa, che si dipana attraverso quattro paesi, Croazia, Serbia, Bulgaria e Romania, attraversando ben 20 siti archeologici e 12 distretti enologici, ove sono distinguibili sia elementi identitari comuni, quali lo sfondo paesaggistico danubiano e il retaggio storico classico, sia elementi culturali distintivi, che fanno, appunto, la «ricchezza nella diversità» di questa vera e propria polifonia multiculturale.

Nel tratto serbo dell’itinerario, i grandi (non certo unici) complessi sono tre, nell’ordine con cui sono stati attraversati e nell’ipotesi di un itinerario ideale facente base a Belgrado: appunto la capitale, Belgrado, con la vicina Kostolac, l’antica Viminacium; quindi Zaječar, con la vicina Gamzigrad, che ospita l’antico complesso di Romuliana; e infine il capoluogo dello Srem, l’antica Sirmio, Sremska Mitrovica, all’epoca Sirmium. A Gamzigrad, Romuliana è nella lista del patrimonio dell’umanità dal 2007 e l’eccezionale unicità del sito è rappresentata dalla sua configurazione di «complesso», dove il palazzo fortificato dell’imperatore Galerio (dedicato alla madre Romula, da cui il nome), edificato tra il III e il IV secolo, è in realtà una spettacolare combinazione del palazzo imperiale, di due templi, e di una serie di altre costruzioni.

A Sremska Mitrovica, dell’antica Sirmium resta, in particolare, il quartiere commerciale con una strada principale e resti delle strade e delle edificazioni adiacenti, realizzate, in più fasi, tra il II e il V secolo.

Infine, tornando verso Belgrado, l’antica Viminacium, odierna Kostolac, rappresenta uno dei primi siti legionari sul Danubio, del quale restano tracce di strutture militari e civili, dell’anfiteatro e delle terme. Da Belgrado, il tragitto sino a Kraljevo consente di connettere queste tracce con le memorie della storia del Paese, nella quale Kraljevo ha svolto un ruolo importante, nelle cui prossimità sorge il Monastero di Žiča, anch’esso patrimonio culturale di eccezionale importanza, uno dei cosiddetti monasteri di fondazione, e per questo centro delle celebrazioni dell’ottavo centenario della autocefalia della Chiesa Ortodossa Serba, che ricorre quest’anno (1219-2019).

Kraljevo non è distante da Niš, anch’essa legata alla memoria classica, dal momento che l’antica Naissus ha dato i natali all’imperatore Costantino il Grande. L’itinerario prosegue da Kraljevo, porta del sud della Serbia, verso il Kosovo, il cui patrimonio culturale e paesaggistico, è indiscutibile, dal momento che spazia dagli antichi ritrovamenti archeologici della Dardania e di Roma, alle sorprendenti costruzioni moderniste nello stile del razionalismo socialista dell’epoca jugoslava. A proposito della quale, quello che fu uno dei monumenti simbolo di Prishtina, vale a dire il Monumento alla Fratellanza e all’Unità, ha finito perfino per acquisire nuova vita, con la risistemazione della piazza che lo ospita, ora attrezzata anche con piccole aree verdi e punti sosta.

A 12 kilometri da Prishtina si trova Gračanica e, ad un kilometro da questa, lungo la strada per Laplje Selo, il sito archeologico di Ulpiana, anch’esso passato dal più totale abbandono (di cui siamo stati testimoni) ad una efficace risistemazione e valorizzazione (di cui pure siamo testimoni). All’epoca della presenza imperiale nella Dardania, la città si trasformò da tipico insediamento dardanico a tipica città romana, nel corso del I secolo, prendendo il nuovo nome dall’imperatore Marco Ulpio Traiano. Ulpiana divenne «splendidissima» tra il III ed il IV secolo e si presenta oggi nella forma di un complesso archeologico importantissimo, razionalmente – simmetricamente – organizzato nelle parti che lo compongono, da Nord verso Sud (in direzione contraria a quella di ingresso) con la porta maggiore (Porta Nord), la via di accesso (Cardo Maximus), una Taberna, le Terme, un Tempio pagano, una Basilica paleocristiana, infine una notevole Villa urbana e uno spettacolare Battistero ottagonale.

Rientrati a Gračanica, non si può non orientarsi verso lo spettacolare Monastero, anch’esso patrimonio dell’umanità dal 2006, con il suo superbo sistema di colonne e di cupole e i rilevanti affreschi, risalenti al 1321. Costituisce patrimonio dell’umanità in solido con il Monastero di Dečani, anch’esso nella lista dal 2004, ultimato nel 1335 da Stefan Dečanski, figlio di Stefan Milutin, costruttore di Gračanica. L’esterno, elegantemente armonioso, in un perfetto bilanciamento di romanico e gotico, e l’interno, letteralmente stupefacente, con i suoi mille ritratti affrescati su uno sfondo di blu lapislazzuli (singolare al punto da essere definito «Blu di Dečani») rappresentano un esempio superbo di unità culturale e spirituale, una perfetta interpretazione, per il contesto e i contenuti che rappresenta, di una unità paesaggistica capace di veicolare il carattere universale di questo patrimonio e rappresentare i più alti valori di solidarietà e di pace. Enfatizzati, per chiudere questo «itinerario di itinerari», da uno dei patrimoni simbolo della cultura albanese, le Kullat a Junik (Peć/Pejë), a sua volta non distante da Dečani, sulla strada per Gjakova (Ðakovica), come tutte le Kullat, simbolo comunitario e di accoglienza.

La stessa Gjakova, del resto, è una delle poche città, in Kosovo, ad avere conservato, nel suo centro storico, i caratteri tradizionali della architettura albanese kosovara. Ancora, da questo patrimonio culturale, un messaggio potente, la cui attualità pare, oggi, più forte che mai.