Il segretario generale Onu Gutierres a settembre ha inviato un dettagliato rapporto, dopo aver raccolto informazioni da varie agenzie delle Nazioni Unite coordinate in Libia dall’Unsmil, dove pesanti responsabilità vengono addebitate agli Stati – come l’Italia – che finanziano ed equipaggiano a fondo perduto le autorità libiche. Senza ottenere nessun impegno, neanche minimo, in cambio per il rispetto dei diritti umani. Le agenzie delle Nazioni Unite hanno documentato che la Guardia Costiera libica “trasferisce migranti in centri di detenzione non ufficiali” dove funzionari governativi li “vendono” ai trafficanti. Crimini orrendi, a cui per le donne si aggiungono ripetute sevizie sessuali, di cui è colpevole un cartello criminale coinvolto da funzionari statali, guardiacoste, trafficanti e membri di bande. E le attività in mare dei “guardiacoste” consegnano costantemente nuovi migranti ai boss, moltiplicando i loro traffici. Perdita della libertà e detenzione arbitraria in luoghi di detenzione ufficiali e non ufficiali; tortura, compresa la violenza sessuale; rapimento per riscatto; estorsione; lavoro forzato; uccisioni illegali. I migranti hanno continuato a essere detenuti in sovraffollamento, in condizioni disumane e degradanti, con cibo, acqua e cure mediche insufficienti e servizi igienico-sanitari molto scarsi, le accuse documentate nel rapporto. “Il numero di prigionieri – scrive Gutierres – è cresciuto a seguito dell’aumento delle intercettazioni in mare e della chiusura delle rotte marittime”. “L’Unsmil ha continuato a ricevere segnalazioni credibili di detenzione prolungata e arbitraria, torture, sparizioni forzate, cattive condizioni di detenzione, negligenza medica e rifiuto di visite da parte di famiglie e avvocati da parte di i responsabili delle carceri e di altri luoghi di privazione della libertà”. 4.900 sono i e migranti detenuti nelle prigioni del governo ma, secondo il rapporto, “un ulteriore numero sconosciuto di persone è detenuto in altre strutture” clandestine.

Bija, il boss invitato nel 2017 in Italia

Accusato di essere uno dei personaggi chiave dei traffici e abusi in Libia è Abd al-Rahaman al-Milad detto Bija, considerato uno dei maggiori boss del Paese. Una recente inchiesta di Nello Scavo, pubblicata su Avvenire, ha documentato la sua presenza ad un incontro internazionale a Mineo nel maggio 2017. Obiettivo, concordare strategie comuni tra Italia e Libia su come bloccare le partenze dei migranti dall’Africa. E, dopo la fine dell’incontro Bija ha visitato alcuni centri per migranti in Italia (tra cui il tristemente noto CARA di Mineo, il cui “modello” disse di voler esportare in Libia) e la sede della Guardia Costiera a Roma. Onori che si riservano ad alleati e grandi amici.

Le sue forze – riporta un documento depositato alla Corte Internazionale dell’Aja – erano state destinatarie di una delle navi che l’Italia ha fornito alla Lybian Coast Guard”. Mentre la sua milizia avrebbe “beneficiato del Programma Ue di addestramento” nell’ambito delle operazioni navali Eunavfor Med e Operazione Sophia. Ma, già quando partecipò al meeting di due anni e mezzo fa, Bija era al centro delle accuse di varie inchieste. Durante la visita di Bija al Cara di Mineo – ha raccontato Scavo – un migrante per errore è finito quasi a contatto con lui. Quando lo vede Bija si allontana spaventato ed urla “Mafia libia”. Le Nazioni Unite l’anno scorso lanciarono precise e durissime accuse contro di lui. E ne disposero nel luglio 2018 il blocco dei beni e il divieto di viaggiare. La stessa Guardia Costiera libica l’avrebbe sospeso ufficialmente. Ma, in realtà, è ancora presente e attivo nel traffico di esseri umani. Un’inchiesta della giornalista internazionale Nancy Porsia (collaboratrice tra gli altri di varie testate italiane, del Guardian, di The Post Internazionale e della Radio Televisione Svizzera) nel febbraio 2017 evidenziò la figura chiave nel traffico di esseri umani di Bija, allora capo della guardia costiera a Zawiya. Accusato di avere legami con le milizie di Tripoli che portano i migranti dal Sahara alla costa, prima che siano imbarcati verso l’Italia. Accuse ribadite 2 mesi dopo anche dall’OIM. Il porto della città è lo snodo centrale di tutta la costa occidentale libica per i traffici di esseri umani e di petrolio. Mentre le forze militari europee schierate in mare, denuncia la Porsia, “stanno chiudendo un occhio”  solo il traffico di carburanti vale 10 milioni di euro. E “negli ultimi due anni – leggiamo nell’inchiesta – le milizie hanno infiltrato l’amministrazione della raffineria qui, e anche della guardia costiera”. Denunce simili sempre a febbraio vennero da un reportage de l’Espresso in collaborazione con l’Unicef. “Ci sono guardie costiere che recuperano i migranti in mare e li vendono alle milizie che li trasportano nelle prigioni illegali. I migranti sono i bancomat di questo Paese. L’Europa vede, ne è consapevole, eppure ha preferito spostare il problema sulle nostre spalle anziché farsene carico. Preferisce non vedere i morti” leggiamo nel reportage dove si riporta la denuncia di un poliziotto locale sulla brigata Sharikan, una delle più potenti a Tripoli: “fingono di arrestare i migranti clandestini e li tengono nei loro centri, senza cibo e senza acqua, prendono loro i soldi, li sfruttano, abusano delle donne e poi li trasportano nella zona di Garabulli per farli partire con i gommoni, con la complicità di parte della guardia costiera”.

Un video amatoriale pubblicato da Times pochi giorni prima documentò le violenze sui migranti intercettati in mare e riportati in Libia. Nel video si vede un trafficante, che viene considerato Bija, frustare  alcuni migranti con una corda. I trafficanti che non gli pagavano una quota venivano fermati dalla Guardia Costiera e le loro barche requisite.

In un rapporto depositato al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite l’8 maggio scorso dalla Procura della Corte penale dell’Aja, il trattamento dei migranti nei centri del feudo di Bija viene definito “crudele, inumano e degradante”. Documenti sia della Corte penale che delle Nazioni Unite riportano testimonianze di migranti catturati in mare dalle sue milizie, mentre cercavano di fuggire verso l’Europa, sono stati detenuti in un centro di detenzione dove hanno subito torture.

L’inferno in veri e propri lager

Quanto accade nei centri libici, su cui i governi europei (italiani in primis) da anni puntano, da troppi anni viene documentato in inchieste giornalistiche e di agenzie internazionali che descrivono una realtà disumana, di veri e propri lager. Su Pressenza ne abbiamo già scritto ad aprile scorso, https://www.pressenza.com/it/2019/04/la-propaganda-che-nega-la-realta-e-chi-veramente-aiuta-gli-ultimi-di-ogni-latitudine/ . Alla vigilia di ferragosto del 2017 la CNN ha pubblicato un’inchiesta su quel che accade ai migranti giunta in Libia e che non possono pagarsi il viaggio verso l’Europa. L’inchiesta è ancora disponibile qui  http://edition.cnn.com/2017/11/14/africa/libya-migrant-auctions/index.html . Migranti venduti all’asta ai trafficanti. 1200 dinari libici, 750 euro circa, il prezzo medio del destino dei più disperati tra i disperati. I reporter del network statunitense avevano assistito di persona ad un’asta, in poco più di 6 minuti  almeno 12 persone avevano visto il loro destino finire nelle mani dei trafficanti. Nelle aste documentate nel video i migranti sono stati “venduti” come “ragazzi forti per lavori agricoli” o “scavatori”. Cancellata ogni dignità, ogni umanità, considerati come attrezzi e macchine. Gli inviati della CNN dopo l’asta hanno raccontato di aver provato ad intervistare due persone “vendute” all’asta ma per i traumi subiti non riuscivano a parlare. 4 mesi prima denunce analoghe erano già arrivate dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni. Monica Chirac, funzionaria dell’Organizzazione in Niger, riportò che molti migranti raccontavano di essere stati venduti in Libia. Racconti in aumento nei mesi precedenti. Testimonianze costanti di violenti abusi, percosse, stupri, torture. Fino ad alcuni che hanno raccontato di persone cosparse di benzina e date alle fiamme, altri a cui hanno sparato o solo stati lasciati morire di fame. Crimini che avvengono anche nelle carceri. Secondo quanto documentato dall’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni   il 70% delle persone che giungono in Europa sono state vittime del traffico di organi, il 6% degli intervistati nei sei mesi della ricerca ha affermato di essere stato in contatto con  qualcuno costretto a farsi prelevare sangue o a pagare parte del viaggio con un organo. Una missione ONU in Libia a dicembre 2016 accertò che la maggior parte dei 34 centri di detenzione presenti erano veri e propri lager. E dove i trafficanti agiscono liberamente con la complicità di funzionari e polizia libica. Alcune donne, prima di entrare in Libia, davanti all’altissimo rischio di stupri assumono enormi dosi di anticoncezionali. Cercano così di evitare gravidanze ma si procurano danni irreversibili all’organismo. Dopo aver visitato alcuni di questi centri, il commissario ONU per i rifugiati Filippo Grandi non nascose di essere rientrato a dir poco scioccato per quel che aveva riscontrato.

I trafficanti li chiamano mezra. Magazzini, in arabo. Spesso sono vere e proprie prigioni fuori da ogni regola, carceri private, gestite dai boss del traffico di esseri umani. Che in queste strutture sparse per la Libia non custodiscono merce qualunque, ma donne, bambini, uomini. Seviziati con la corrente elettrica, picchiati con tubi di gomma, senza cibo per giorni, le ragazze stuprate. Tra questi c’è anche chi è stato caricato di forza su gommoni e barche. Persino minorenni, che non avevano alcuna intenzione di lasciare l’Africa”. E’ l’incipit di un reportage dall’inferno della disumanità libica pubblicato da L’Espresso online il 29 maggio 2017 e firmato dal giornalista antimafia Giovanni Tizian. “Talvolta i migranti che non possono pagare vengono consegnati a degli egiziani che li uccidono per prelevarne gli organi e rivenderli in Egitto per una somma di circa 15 mila dollari” uno dei passaggi più disumani. Un migrante giunto in Italia ha raccontato alla Squadra Mobile di Agrigento di essere stato per due mesi “continuamente frustato con un cavo elettrico”, un altro “spesso collegava degli elettrodi alla mia lingua per farmi scaricarmi addosso la corrente elettrica. Mi faceva stare anche 5 giorni senza mangiare e bere. E ho visto violentare delle donne”, di aver visto due migranti uccisi a bastonate e altri cinque “morti di stenti, privazioni e violenze”.

La Guardia Costiera libica è sotto accusa anche per il comportamento avuto nei confronti di chi ha cercato di salvare vite in mare. I volontari di Sea Watch hanno denunciato di essere stati ostacolati durante un intervento di salvataggio il 6 novembre 2016. Nonostante si stessero coordinando con un elicottero della Marina militare italiana e una nave militare francese. La Guardia costiera libica, accusano i volontari, li ha attaccati e contemporaneamente filmavano le persone che morivano, ha portato avanti manovre pericolosissime e ha picchiato e minacciato i migranti saliti sulla loro imbarcazione. Almeno 20 i migranti annegati durante l’operazione e altri 5, tra cui un bambino di 4 anni, sono stati recuperati ormai morti. Diversi i precedenti nei mesi scorsi: il 27 settembre fu attaccata dalla Guardia costiera una nave tedesca; il 15 agosto era stata sequestrata in acque internazionali la nave degli spagnoli di Proactiva Open Arms; il 7 agosto era stata attaccata la stessa nave; il 23 maggio era stata attaccata la nave di Medici Senza Frontiere; un episodio simile al 6 novembre era già avvenuto il 10 maggio contro le operazioni di salvataggio di Sea Watch.