Si immagini un pozzo di petrolio lungo mille chilometri.
Venne proclamata l’autosufficienza energetica e la destinazione dei proventi a finanziare il sistema sanitario e soprattutto la scuola. La grande discussione in cui ci perdevamo era quella di definire se tutto quello sforzo per la perforazione dei pozzi a settemila metri sotto il fondo del mare, ne era valsa la pena. Sostenevamo che avremmo potuto investire nella ricerca di energia alternativa e pulita. Ma ormai il petrolio era stato trovato e ogni discussione, col senno di poi, inutile. La Petrobras, colosso mondiale, industria cento per cento nazionale e pubblica, era stata capace di una impresa immane e soprattutto aveva dato al paese la capacità di sedersi al tavolo dei grandi.
Qualche anno dopo, uno scandalo internazionale rivelò che i telefoni dei leader del mondo erano sotto sorveglianza della CIA. Compreso quello di Dilma Rousseff, presidente della Repubblica. Passarono pochi mesi e la stessa Dilma venne accusata di un “crimine amministrativo”, ossia un trucco contabile per poter far quadrare il bilancio. Si iniziò un processo di impeachment che portò alla sua destituzione; il giorno successivo, la legge suppostamente infranta attraverso il trucchetto contabile, venne revocata dallo stesso parlamento. Un vero golpe bianco. Appena insediato, il nuovo presidente golpista revocò le direttive per lo sfruttamento dei proventi del petrolio e iniziò le trattative per la vendita dei pozzi. Alla chiamata si presentarono in massa i colossi americani, Shell, Exxon e compagnia bella.

Nel frattempo Lula venne accusato di essere a capo del più grande sistema di corruzione della storia, con la Petrobras al centro di una distribuzione di appalti fraudolenti che coinvolgeva le più grandi industrie nazionali. Miliardi di dollari. I grandi agglomerati industriali coinvolti chiusero, fallirono, e con loro entrò in collasso il Paese intero. Da una crescita dell’otto per cento si passò alla recessione cronica con tredici milioni di disoccupati, dal programma “Fame Zero” alla crisi sanitaria con il ritorno di malattie epidemiche che pensavamo sconfitte per sempre e l’avvento di nuove, come la Zika e la Dengue, che fanno tremare il mondo. Si passò dal BRIC (l’unione commerciale tra Brasile Russia India e Cina) alla richiesta di aiuto medico internazionale a cui rispose generosamente Cuba con l’invio di quindicimila medici inviati nelle zone più miserabili in cui i nostri dottori si rifiutano di andare.

Lula venne processato, condannato e imprigionato malgrado avesse il diritto di attendere in libertà il pronunciamento definitivo della corte cassazione, ancora oggi in via di giudizio, impededogli cosí di candidarsi alle elezioni presidenziali. Attraverso le rivelazioni dell’agenzia “The Intercep” si è venuto a sapere che il pubblico ministero e il giudice responsabile del processo, frequentavano con scadenza mensile – per riferire e prendere ordini – il Dipartimento di Stato Americano a Washington. Lo stesso Dipartimento che aveva messo sotto sorveglianza i telefoni dei di capi di governo di mezzo mondo e della presidente Dilma Rousseff.

Bolsonaro vinse le elezioni, quello stesso giudice è stato nominato ministro della giustizia e della sicurezza.

Era il 1953 quando il presidente Getulio Vargas creò la Petrobras in occasione della scoperta di enormi giacimenti petroliferi.
La sua foto con le mani impasticciate di oro nero entrò nei libri di storia: “O petróleo é nosso”, il petrolio è nostro. Così come l’immagine di Lula, uguale uguale, quando venne scoperto a settemila metri sotto il fondo del mare il nuovo pozzo lungo mille chilometri.

Stamattina, un trafiletto di giornale avvisa che attraverso una grande asta internazionale, il petrolio che credevamo nostro non ci appartiene più. È stato venduto a un consorzio di imprese tra cui la Exxon, la Shell e la compagnia bella di cui sopra.
Una volta si facevano guerre interminabili, si mandavano i marines a invadere l’Iraq, si tolleravano gli sceicchi arabi tagliatori di teste. Oggi basta destituire una presidente, mettere in galera il più grande leader popolare e ricevere Bolsonaro alla Casa Bianca. Ecco fatto. Il Brasile cede a un prezzo da fiera paesana il più grande giacimento di petrolio del mondo capace di garantire l’autonomia e la sovranità energetica. Quel petrolio, nostro non lo è più. 
Intanto l’Amazzonia continua a bruciare, il Brasile in ginocchio.

Tutto passa, bene o male, ma per noi non cambierà (Tira a campare – Edoardo Bennato)