L’Abruzzo per la seconda volta in poche settimane ha visto un ragazzo vittima di un gravissimo episodio di cronaca. Due ragazzi che, in comune, hanno la stessa origine: il continente africano.  L’anno scorso ci fu l’irruzione, con violenta aggressione, in un centro per migranti. Violenti episodi che, oltre la naturale e sacrosanta indignazione, fanno temere un’ostilità in forte aumento. Dovremmo essere nell’Abruzzo del 2019 ma il clima sembra ricordare il Mississipi degli Anni Sessanta, dove i “suprematisti bianchi” si resero protagonisti di atti terroristici e barbare violenze contro la comunità afroamericana che stava cominciando a vedere i propri diritti riconosciuti.

Martedì 3 agosto Sadio Camara, un ragazzo giunto in Valle Peligna nel gennaio 2018 dal Senegal, è stato accoltellato alla gola sulla strada tra Pettorano sul Gizio e Sulmona. Si stava recando al lavoro per il servizio civile quando è stato avvicinato da due persone. Dopo vari insulti gli hanno urlato “Ti insegniamo noi a campare” e l’hanno accoltellato alla gola.

Dopo averlo ferito lo hanno caricato in auto e scaraventato in un fosso. Solo per un caso la coltellata non ha ucciso Sadio (mentre probabilmente i suoi aggressori erano convinti di averlo ucciso e non solo ferito gravemente). Sadio, dopo essere rimasto nel fosso un’intera notte e la mattina successiva, è riuscito a tornare nella struttura che lo ospita. Trasportato dall’ospedale di Avezzano a quello di Pescara, ha subito un’operazione urgente.

“Sadio è un ragazzo molto conosciuto a Sulmona – hanno scritto cittadini e attivisti che si sono riuniti in un’assemblea cittadina per esprimergli solidarietà – laureato in filosofia ed è originario del Sud del Senegal, dove era un attivista politico ed ha combattuto per i diritti dei giovani e per far arrivare acqua ed elettricità nelle aree più remote del Paese. Appena arrivato nel centro di accoglienza di Pettorano, ha subito cercato di mettersi in contatto con le realtà che si occupano di volontariato e diritti dei migranti. Così è entrato a far parte della onlus Ubuntu della quale è uno dei membri attivi”.

“Scusaci se questo Paese non è quello che ti aspettavi – hanno scritto gli attivisti di Ubuntu in una lettera aperta a Sadio – e se questo popolo ha dimenticato la sua storia e calpesta la sua Costituzione, abbracciando una subcultura carica di odio e pressappochismo. Non sei solo Sadio e ora più che mai, questo Paese ha bisogno di uomini come te, colti, forti, lottatori. Sadio, noi non arretreremo nemmeno di un passo. L’odio non passerà. Ti aspettiamo amico”.

La stessa Ubuntu è stata tra le organizzazioni che hanno animato l’assemblea cittadina insieme a Collettivo Altrementi Valle Peligna, Collettivo Studentesco Sulmona, Centro Studi e Ricerche Carlo Tresca, Associazione QualeTerra, Mercato Equo e Solidale, Associazione Movimento Zoè, SulmonaCinema, Associazione Culturale Majamé – Musica Teatro Danza, Associazione Gentia, Brigate di Solidarietà Attiva Abruzzo, Abruzzo Social Forum, USB Abruzzo, Partito della Rifondazione Comunista Abruzzo e altri. Un nutrito elenco che documenta l’immediata e ampia solidarietà ricevuta da Sado e il collettivo rifiuto di ogni violenza e razzismo. Un segnale importante perché a Sulmona già l’anno scorso ci fu un precedente altrettanto violento. Il 12 giugno dell’anno scorso due soggetti hanno fatto irruzione in un centro a Sulmona, coltello e pistola scacciacani in pugno ferendo un ragazzo gambiano di 23 anni.  Nell’agosto scorso i due sono stati arrestati, per uno è arrivata la condanna a sei anni il 3 agosto scorso. In occasione dei due arresti fu reso noto un video nel quale si sente anche uno dei due aggressori dire “questi qua li uccido uno per uno”.

Ma non è questo, come riportato all’inizio di quest’articolo, l’unico fatto grave di cronaca dell’estate 2019. Il 10 luglio sulle strade di Civitaquana, in provincia di Pescara, ha trovato la morte Diallo Mamadou Thiana. Bracciante agricolo e iscritto USB, proveniente dalla Guinea, stava tornando a casa dopo il lavoro nei campi quando è stato investito da un furgone. Il conducente non si è fermato a prestare soccorso.

“In Italia ormai si parla quasi esclusivamente di sicurezza, ma i fatti stanno a zero – ha denunciato l’USB – Un Paese dove le morti legate al lavoro si susseguono giorno dopo giorno non può dirsi sicuro per nessuno”. “Il ricordo di Diallo prende posto accanto a tutti quegli innocenti che pagano con la propria vita il costo di responsabilità che non gli appartengono – ha aggiunto il sindacato –
Conserviamo la sua memoria nel cuore, continueremo a lottare anche per lui per un futuro migliore, che rispetti la vita e la dignità di tutti, senza distinzioni”. In memoria di Diallo, e per chiedere giustizia per lui e tutti i lavoratori sfruttati, l’USB il 18 luglio ha organizzato un sit in a Pescara davanti la prefettura. A seguito dell’iniziativa c’è stato anche un incontro in Prefettura dove è stata posta la questione della sicurezza e del rispetto dei diritti di chi è sfruttato nei campi.

Immediata apertura di un tavolo in prefettura per avere il monitoraggio delle condizioni di lavoro dei braccianti, trasporto sicuro per andare e tornare dai campi, rispetto dei contratti di lavoro e sostegno legale dei braccianti. Tutte proposte di buon senso, che dovrebbero essere persino scontate in un Paese civile e rispettoso dei più deboli.