Evidentemente la lezione della Sea Watch non è bastata a Salvini: un giudice ha dichiarato che le norme del decreto sicurezza bis non si applicano alle operazioni di salvataggio in mare da parte di una nave umanitaria, eppure tutto fa presagire una ripetizione del crudele spettacolo andato in scena negli ultimi giorni con la nave comandata da Carola Rackete: migranti bloccati a bordo in condizioni proibitive, accordi tra Stati europei che li trattano come pacchi postali da smistare, criminalizzazione delle Ong con accuse violente e infondate.

“Dopo una notte di scambi con i Centri di coordinamento dei soccorsi di Malta e Italia, è del tutto evidente che partire per il porto de La Valletta nelle attuali condizioni significherebbe mettere a rischio la sicurezza e l’incolumità delle persone a bordo della ALEX” dichiara Mediterranea in un lungo post pubblicato nel sito e nella pagina Facebook.

Abbiamo addirittura scoperto che, secondo ITMRCC di Roma, in prossimità dell’arrivo nelle acque territoriali maltesi, ALEX dovrebbe caricare di nuovo a bordo, in spregio a qualsiasi norma sulla sicurezza della navigazione, tutte e 41 le persone ed entrare così nel porto di La Valletta.

Inquietanti sono poi le notizie di stampa che, da diverse autorevoli fonti, denunciano l’esistenza di un accordo tra Governo italiano e maltese finalizzato al sequestro dell’imbarcazione ALEX e all’arresto di tutto il nostro equipaggio. Atti ritorsivi fuori da ogni rispetto dello stato di diritto.

In queste condizioni, nel pieno rispetto del diritto internazionale, delle Convenzioni marittime e delle linee guida dell’IMO, abbiamo appena reiterato la richiesta di assegnazione del porto sicuro più vicino di Lampedusa come Place of Safety.

Di seguito una dettagliata e documentata ricostruzione dei fatti:

Dopo lunghissime ore di attesa e di estenuanti comunicazioni con le autorità maltesi e italiane siamo costretti a prendere atto che ė impossibile recarci a Malta come richiesto per gravi ragioni di sicurezza delle persone a bordo e dell’equipaggio.

Se le autorità italiane lo riterranno, d’accordo con le persone a bordo, saremo pronti, come reiteratamente richiesto, ad operare il trasbordo integrale di tutti naufraghi affinché siano portati in un porto sicuro.

Fin dal primo momento, nonostante per noi fosse una scelta chiaramente strumentale e propagandistica, avevamo accettato l’opzione maltese pur di portare prima possibile in sicurezza le persone soccorse ed evitare loro lunghissimi giorni di limbo davanti le acque italiane. Dall’alba del 5 luglio abbiamo ripetutamente chiesto, al fine di raggiungere Malta, la possibilità di un trasbordo di queste persone su assetti in cui sarebbero state in sicurezza per raggiungere Malta, fossero quelli delle autorità maltesi, italiane, o della nave Open Arms, che ci aveva scortato fino al punto in cui ci troviamo ancora oggi e che per iscritto, la mattina del 5 luglio aveva offerto al governo maltese la disponibilità a effettuare il trasbordo di tutti i naufraghi e a portarli essa stessa a La Valletta. Abbiamo sempre chiesto un trasbordo esplicitando come per Alex, un’imbarcazione omologata per 18 persone, fosse impossibile pensare di raggiungere in sicurezza Malta navigando almeno ulteriori 11 ore con quasi 60 persone a bordo (prima dello sbarco delle famiglie e delle donne incinte le persone a bordo, incluso l’equipaggio, erano 70). Chi ci ha chiesto di farlo sapeva fin dal primo momento di fare una richiesta impossibile e criminale perché era un invito al nostro Capitano a mettere in una situazione di grave rischio tutte le persone soccorse e il suo equipaggio.

La risposta di Malta, data via radio a Open arms, avrebbe già dovuto allertarci: “Open Arms non sarà autorizzata a raggiungere Malta. Solo la Alex potrà farlo, per questioni politiche”.

Poco dopo iniziava un susseguirsi di dichiarazioni e smentite in relazione alla possibilità che le persone che abbiamo a bordo raggiungessero Malta con delle motovedette italiane o maltesi: il Ministero della Difesa sembrava disponibile a inviarle, ma ora dopo ora è apparso sempre più evidente che questo non sarebbe accaduto.

A quel punto abbiamo chiesto una serie di garanzie rispetto alla nostra disponibilità a raggiungere Malta direttamente con la Alex. Queste garanzie riguardavano il fatto che avremmo potuto viaggiare con un massimo di 18 persone a bordo; che avremmo avuto riempiti i serbatoi di acqua dolce vista la gravissima situazione igienico-sanitaria; che avremmo avuto gasolio e cibo sufficienti per affrontare il viaggio; che lo sbarco sarebbe avvenuto in acque internazionali e che non ci sarebbero state conseguenze vessatorie nei confronti dell’equipaggio e della barca. Quest’ultima richiesta è stata avanzata ben conoscendo l’attitudine maltese verso le navi che hanno operato ricerca e soccorso: sequestri e aperture di procedimenti a carico delle persone condotti senza attenersi a procedure certe in modo trasparente.

A quel punto il Ministero dell’Interno iniziava ad attaccarci dicendo che stavamo rifiutando il porto di Malta per cercare “impunità”, accusa cui celermente replicavamo con un comunicato che spiegava la verità: l’impunità la cerca solo chi ha commesso un reato, e non è questo il nostro caso, poiché abbiamo rispettato appieno il diritto internazionale, il codice della navigazione e, in questo evento, persino il provvedimento che ci ha vietato l’ingresso nelle acque territoriali del nostro paese, nonostante un giudice avesse appena chiarito come questo non si applichi alle navi che hanno prestato soccorso a naufraghi.

Nonostante il Centro di Coordinamento Marittimo Italiano non ci desse comunque alcuna garanzia rispetto alle richieste fatte, in merito al punto in cui le persone sarebbero state sbarcate e alle conseguenze su di noi, aggravandosi la situazione di emergenza a bordo, procedevamo comunque nel programmare il viaggio congiunto di Alex  con due motovedette italiane che avrebbero trasportato la maggior parte delle persone scortandoci fino a Malta: la nostra email della mezzanotte tra il 5 e il 6 luglio chiedeva, dopo ore in assenza di risposta di ITA MRCC alle nostre richieste precedenti, di procedere comunque con il viaggio verso La Valletta.

Subito dopo, però, alcune cose ci hanno costretti a cambiare radicalmente idea.

Innanzitutto, non ci sono stati riforniti i serbatoi di acqua dolce, cosa necessaria per potere utilizzare i servizi igienici e stemperare l’emergenza sanitaria a bordo. Ci sono state portate invece a bordo, e offerte ancora, bottiglie d’acqua che non possono essere adatte a questo fine. Ci è stato anche detto che il rifornimento di gasolio non sarebbe stata una opzione percorribile, cosa che ci avrebbe costretto a procedere molto lentamente fino a Malta, sottoponendo a ulteriore stress i naufraghi già lasciati un giorno sotto il sole cocente sulla Alex, e a rischiare di restare senza carburante.

Soprattutto, però, nella notte arrivano alcune informazioni che ci chiariscono il quadro in cui ci stiamo muovendo: in diversi articoli stampa iniziamo a leggere chiaramente quello a cui le dichiarazioni del Ministro degli Interni alludevano dal pomeriggio: nelle negoziazioni con Malta per dare un POS ai nostri naufraghi rientra anche il fatto di mettere il nostro equipaggio sotto sequestro a La Valletta.

Sotto sequestro per cosa, considerato che nessuna legge è stata violata? Probabilmente, iniziamo a capire, è proprio questo il problema del governo italiano. L’impossibilità di attaccarci veramente. E allora di cosa si tratta? Di una trama per farci arrivare in un paese straniero dove i nostri diritti e le nostre garanzie sarebbero di molto sminuiti?

Lentamente ne abbiamo conferma, e chiediamo al centro di Coordinamento italiano espliciti chiarimenti citando un articolo in cui è reso particolarmente chiara la negoziazione sulle nostre teste tra il Governo italiano e quello maltese.

Verso l’1.30 circa di stamattina, infatti, il centro di coordinamento di Malta, che fino a pochissimo tempo prima ci aveva confermato che il trasferimento delle persone soccorse sarebbe stato effettuato in acque internazionali ci scrive invece che “Mrcc Malta non avrà alcuna responsabilità per nessuna decisione presa sulla rotta verso Malta”. Un’ora dopo ci scrive ancora dicendo più esplicitamente che non sono in grado di dirci se il trasferimento sarà condotto in acque territoriali o fuori da esse poiché tale decisione non è di loro competenza. Ci ricorda inoltre che la nostra imbarcazione è territorio italiano e che quindi tutte le persone a bordo sono de facto su territorio italiano, e che nessun migrante sarà imbarcato con la forza, perché questo trasferimento non è in potere alle autorità maltesi.

Subito dopo, finalmente, il centro di coordinamento italiano ci invia la comunicazione di cui riportiamo le prime, e più significative, frasi:

A completamento della predetta mail, si conferma che l’unità effettuerà la navigazione verso il Place of Safety di Malta con il numero di persone per cui è omologata. Si fa presente altresì che l’autorizzazione allo sbarco è concessa esclusivamente per imbarcazione Alex & Co ma non per unità Guardia di finanza e Guardia Costiera che, al termine della navigazione verso Malta, dovranno riconsegnare i migranti a codesta unità per la successiva consegna alle unità maltesi per specifica indicazione delle Autorità maltesi legata a legislazione nazionale.

A quel punto è tutto chiaro: ci si sta chiedendo di arrivare a Malta con due motovedette che solo inizialmente caricheranno le persone che abbiamo a bordo e poi, al confine con le acque maltesi, effettueranno un nuovo trasbordo dei naufraghi  per ridarceli tutti a bordo, mettendo di nuovo a rischio la sicurezza della nostra imbarcazione, e ignorando le norme del codice della navigazione relative alla sicurezza: il tutto, per farci entrare a Malta da soli.

All’insensatezza di farci arrivare a più di 90 miglia da qui quando siamo a 12 miglia dal porto sicuro di Lampedusa che per diritto è quello che ci spetterebbe poiché era il più vicino al luogo del soccorso che abbiamo effettuato, si aggiunge questa sequela di atti vessatori incomprensibili che appaiono finalizzati solo alla volontà politica di attuare una vendetta su di noi, che ci siamo resi colpevoli di solidarietà e umanità, oltre che di rispettare gli obblighi di salvataggio e, fino a quando ci sarà possibile, la legalità. Atti vessatori che colpiscono però, in primo luogo, le persone che abbiamo soccorso e di cui siamo responsabili e che già da più di 24 ore avevano il diritto di essere sbarcate nel porto sicuro più vicino.

Pertanto, la Alex resta al momento subito fuori dalle nostre acque territoriali italiane, tornando a chiedere che, qualora l’unico POS assegnato rimanga La Valletta, i nostri naufraghi vengano trasportati su mezzi istituzionali che lì li conducano e sui quali sarebbero anche in maggiore sicurezza e potrebbero effettuare un viaggio incomparabilmente più veloce. Ciò dovrebbe accadere nel minore tempo possibile, visto l’aggravarsi delle condizioni a bordo per tutti noi.

Più sensato e conforme al diritto internazionale che impone a noi e alle autorità precisi obblighi e doveri preordinati a qualunque norma interna, sarebbe poi autorizzare immediatamente l’ingresso nel POS di Lampedusa, che siamo tornati a chiedere formalmente al Centro di Coordinamento Italiano”.

L’equipaggio di Mediterranea – Alex & Co.