Si sono svolte domenica scorsa le elezioni presidenziali in Mauritania, elezioni importanti per decidere le sorti del Paese e la continuità (o la rottura) con il sistema di potere rappresentato dal presidente uscente, Mohamed Ould Abdel Aziz, che aveva da tempo manifestata la volontà di non ricandidarsi per un terzo mandato presidenziale.

L’ombra del potere si è stagliata tuttavia, lunga e profonda, anche su questa tornata elettorale, finendo per condizionare sia la campagna elettorale sia il risultato finale. Quattro i principali candidati alla presidenza: Mohamad Ould Ghazouani, Mohamad Ould Boubacar, Mohamed Ould Maoloude e Biram Dah Ould Abeid, storico leader della causa anti-schiavista, abrogazionista e libertaria, nel Paese.

Ciascuno di questi esprime una rappresentazione precisa dello scacchiere politico mauritano: Mohamad Ould Ghazouani è stato responsabile della sicurezza e della difesa del precedente governo ed è considerato l’uomo della continuità con il blocco di potere impersonato da Mohamed Ould Abdel Aziz (che, vale la pena ricordarlo, era salito al potere, nel 2008, con un colpo di stato militare che pose fine alla presidenza di Sidi Ould Cheikh Abdallahi, primo presidente civile salito al potere con elezioni democratiche nella storia della Mauritania indipendente). Mohamad Ould Boubacar, già capo del governo di transizione tra il 2005 e il 2007, si è presentato alle elezioni con il sostegno di una coalizione comprendente, tra gli altri, il partito islamista Tewassoul, principale forza politica dell’opposizione. Mohamed Ould Maoloude è invece il leader dell’Unione delle Forze Progressiste (UFP), storica aggregazione della sinistra politica mauritana, a sua volta sostenuto da uno dei leader storici dell’opposizione democratica al regime, Ahmed Ould Daddah, presidente del Raggruppamento delle Forze Democratiche (RFD). Infine (si contano altri due candidati minori, per un totale di sei candidature presidenziali), Biram Dah Ould Abeid, leader dell’IRA, l’Iniziativa di Rinascita del Movimento Abrogazionista, leader storico della causa libertaria, non solo per l’impegno incessante nel percorrere il Paese a sostegno dei gruppi e delle etnie (a partire dagli Haratine) più poveri e diseredati, ma anche nell’internazionalizzare la lotta anti-schiavista in corso nel Paese, come dimostra, tra le altre cose, la recente (fine 2017), formazione di un «coordinamento delle sezioni europee» di IRA Mauritania (tra cui anche la Sezione Italia).

Sebbene il risultato potesse risultare alla vigilia scontato, non ha mancato di lasciare strascichi significativi: secondo la Commissione Elettorale Centrale, Mohamad Ould Ghazouani ha vinto al primo turno con il 51.5% dei voti; Mohamad Ould Boubacar è arrivato terzo, sfiorando il 18% delle preferenze, mentre rilevantissimo il risultato politico di Biram Dah Ould Abeid, che passa dal 9% ottenuto alle precedenti elezioni presidenziali (2014), all’attuale 19%. Subito, tuttavia, le opposizioni hanno contestato il risultato, chiedendo l’annullamento e la ripetizione del voto: nelle parole di Boubacar, «rigettiamo i risultati del voto e riteniamo che non rappresentino in alcun modo la volontà del popolo mauritano»; Biram ha fatto invece appello al popolo mauritano a «resistere, con metodi legali, a questo ennesimo tentativo di colpo di stato, contro la volontà del popolo».

A fronte della crescente «stabilizzazione economica» che, secondo la Banca Mondiale, la Mauritania starebbe affrontando, si apre dunque una nuova stagione di lotta politica nel Paese, sullo sfondo di una situazione economica e sociale che rimane tra le più drammatiche del continente: su una popolazione complessiva di 4 milioni e mezzo di persone, la speranza di vita alla nascita resta intorno ai 63 anni, il tasso di povertà resta superiore al 30%, in termini di indice di sviluppo umano (0.513) la Mauritania si colloca 157° su 188 Paesi del mondo censiti.

Formalmente abolita nel 1981, dichiarata reato penale nel 2007, in Mauritania la schiavitù resta come drammatica prassi sociale, spesso politicamente tollerata, soprattutto nelle forme del lavoro schiavistico, o del lavoro servile e semiservile, nell’agricoltura e nella pastorizia. Troppo spesso “giustificata” da pretestuose interpretazioni dei codici morali o religiosi, resta un fenomeno diffuso, rispetto al quale è bene non abbassare l’attenzione, e continuare a impegnarsi per i diritti, la libertà, e la giustizia, per tutti e tutte.