Le elezioni presidenziali del 24 febbraio 2019 in Senegal si avvicinano e i toni della campagna elettorale, ormai permanente, stanno diventando sempre più accesi.

Il presidente uscente Macky Sall sta giocando su tutti i fronti possibili le proprie chance per conquistare il suo secondo mandato. In ordine sparso ha accelerato la consegna di tutte le infrastrutture desiderate dalle varie potenti confrerié musulmane (l’autostrada Dakar Touba aperta pochi giorni prima della Gran Magal – il rituale pellegrinaggio dei Mouride lo scorso 27-28-29 novembre ne è la prova più lampante), modificato in tempi record il codice elettorale, favorito l’esclusione del suo competitor più pericoloso, Khalifa Sall, ex sindaco di Dakar agli arresti per accuse di illeciti finanziari e costruito ad hoc una campagna per spezzettare l’opposizione, inglobando diversi leader politici di partiti più o meno minori nell’APR, il suo partito al potere).

Poco importa se le nuove carte elettroniche elettorali non sono state ancora distribuite su tutto il territorio nazionale (e diversi esponenti della CENA, la Commissione Elettorale Nazionale Autonoma, in forma anonima, hanno fatto trapelare che per il giorno delle elezioni non si riuscirà mai a consegnarle) e se con l’introduzione del nuovo codice elettorale ad oggi non è ancora chiaro quali partiti o coalizioni di opposizione potranno effettivamente partecipare.

Nonostante tutto, il volto del presidente Macky Sall, soprannominato da sempre Niangal (il severo) perché appare sempre serio serio in ogni apparizione pubblica, resta più preoccupato che mai.  Per avere la garanzia di essere rieletto deve assolutamente vincere al primo turno, scongiurando un eventuale ballottaggio in cui tutta l’opposizione potrebbe schierarsi in massa con il suo avversario, chiunque esso sia, per strappargli all’ultimo minuto la poltrona.

Ad oggi l’opposizione non appare molto in forma. Sul fronte politico tutti i principali partiti tradizionali stanno attraversando crisi diverse: il Pds, il partito di Abdoulaye Wade (ex presidente della Repubblica prima di Macky Sall) è tuttora allo sbando, stretto tra il diktat del grande vecchio di candidare a forza il figlio Karim, anche se per trascorsi penali non può nemmeno presentarsi in Senegal, e un’ala sempre più grossa di dirigenti che vorrebbero tanto voltare pagina e puntare su un nuovo candidato lontano dalla famiglia Wade.

Idrissa Seck, ex sindaco di Thies, seconda città più importante del paese e il suo partito Rewmi appaiono un’opzione datata, logora e sbiadita, ammalata di quell’opportunismo politico che l’ha mosso negli anni da una parte all’altra dello scacchiere delle alleanze a corto respiro (prima si è alleato con Wade, poi con Macky Sall e dal 2013 è di nuovo all’opposizione).

In questa panorama spicca facilmente Ousmane Sonko, candidato per il suo partito Pastef  les patriotes, nato recentemente, nel 2014, con una campagna molto attiva sui social fatta da dichiarazioni tranchant.

Un passato come Ispettore principale dell’Ufficio delle imposte e Verificatore fiscale incaricato nel settore immobiliare, con fama di essere intransigente e corretto è stato radiato nel 2016 dalla Direzione Generale delle Imposte con decreto presidenziale (n. 1239) da Macky Sall per “indiscrezione professionale”. L’episodio, a lungo alla ribalta sui mass media,  è stato il migliore trampolino di lancio per farsi conoscere e apprezzare.

Molti giovani, diversi intellettuali e alcune categorie professionali hanno già ventilato il loro supporto incondizionato, perdonandogli anche alcune dichiarazioni considerate irrispettose ed esagerate da queste parti, tipo “tutti i precedenti Presidenti della Repubblica sono degli imbecilli”.

Il fronte della società civile (associazioni, movimenti formali e informali, giovani etc), i veri protagonisti delle scorse elezioni presidenziali del 2012, si è nel tempo appannato. Diversi protagonisti sono stati cooptati nell’APR o nei partiti dell’opposizione, mentre i più intransigenti promettono di animare una carovana itinerante per tutto il paese, chiamata in modo un po’ didascalico ma efficace  “Il Senegal va male” per denunciare tutte le promesse non mantenute e le urgenze drammatiche che restano da risolvere. Ovviamente L’APR ha già annunciato la sua contro_carovana dal titolo suggestivo “Il Senegal va meglio”.

Già, come va il Senegal?

“La vetrina è molto bella, ma il negozio è quasi vuoto” mi risponde Lamine D., inserito da anni con diversi ruoli nei ministeri che contano.  La forbice sociale si allarga sempre di più. Ci sono più benestanti, ma i poveri aumentano esponenzialmente  con pochissimi sbocchi lavorativi nel mercato formale e una gigantesca massa di lavoro informale, senza nessuna tutela. Se si aggiungono l’insicurezza alimentare e i servizi educativi e sanitari ridotti all’osso il quadro è quasi desolatamente completo.

Per completare quel “quasi” occorre aggiungere i contini episodi di guerriglia a bassa intensità in Casamance (l’ultimo episodio è avvenuto sabato 3 novembre vicino a Marsassoum, nel distretto di Bignona, dove un commando super organizzato ha razziato i malcapitati occupanti di 20 autoveicoli, sequestrando almeno 8 passeggeri per ore), destinati purtroppo ad aumentare man mano che si avvicinerà il 24 febbraio 2019, data delle elezioni, una misteriosa epidemia di febbre apatica che ha sterminato il bestiame nella zona di Kaffhrine e i contratti (capestro) già firmati da Macky Sall, che esporranno il paese ad un pericoloso indebitamento crescente in cambio di altre infrastrutture e opere pubbliche (la vetrina).