Gli ergastolani non hanno nessun domani, hanno solo un passato che non passa e corrono con la morte per la morte.

Non c’è giorno in cui un ergastolano non pensi alla morte o non si domandi chi arriverà prima, la libertà o la morte. C’è la speranza: però a me la speranza non consola, piuttosto sento che mi inganna il cuore.

(dal libro di Carmelo Musumeci “La Belva della cella 154”)

La vita dell’ergastolano è una schiavitù di tutti i giorni della settimana, di tutte le settimane dell’anno e di tutti gli anni della sua vita. La pena di morte, la vendetta, la tortura fanno parte della cultura di ogni società, sia antica che moderna, invece l’usanza di punire tenendo chiusa una persona in una cella per anni e anni è un fatto relativamente nuovo. Non più il terribile ma passeggero spettacolo della morte di uno scellerato, ma il lungo e ostentato esempio di un uomo privo di libertà. La condanna all’ergastolo è peggiore della morte perché più dura, più lunga da scontare. La pena viene rateizzata nel tempo e non condensata in un momento, come la morte: è proprio questa la sua forza ammonitrice ed esemplare.

Il carcere è un’invenzione laica, ma è stata presa come esempio dalla religione cristiana, perché il carcere assomiglia molto all’inferno dei cristiani: il luogo in cui i dannati e gli angeli ribelli espiano la loro pena. Gli ergastolani sono chiusi per un’intera vita in un piccolo spazio, dove quel niente che capita oggi capiterà anche domani e dopodomani ancora. Per questo non c’è giorno in cui un condannato alla pena perpetua non pensi alla morte, perché solo la morte, nella maggioranza dei casi, può liberare gli ergastolani dalle catene. Gli ergastolani, per la maggioranza della società, sono come dei pesci, perché come scriveva Italo Svevo: “Al pesce manca un mezzo di comunicazione con noi e non può destare la nostra compassione. Il pesce boccheggia anche quando è sano e sobrio nell’acqua. Persino la morte non ne altera l’aspetto. Il suo dolore, se esiste, è celato perfettamente sotto le sue squame.”

È difficile combattere l’ergastolo, perché questa terribile condanna non dà sconti, non dà scampo. Scontare l’ergastolo è come giocare a scacchi con la morte: non puoi vincere perché è una pena senza tempo. E l’anima del condannato all’ergastolo non vede l’ora di bruciare all’inferno pur di finire la sua pena sulla terra. Perché quando manca la speranza, anche se hai l’energia per pensare e per amare, ti manca la forza di vivere.

Penso che l’ergastolano possa perdere la speranza di uscire, ma non dovrebbe mai perdere la forza di lottare per far sapere alla società che una sofferenza inutile non fa bene a nessuno, neppure alle vittime dei nostri reati.

Per questo l’Associazione Liberarsi dà il via alla nuova campagna contro il carcere a vita, con il quarto giorno di digiuno nazionale fissato per lunedì 10 dicembre 2018, anniversario della Dichiarazione dei Diritti Umani, sostenuta anche da Associazione “Fuori dall’ombra”, Associazione “Yairaiha Onlus”, “Ristretti Orizzonti” e “Comunità Papa Giovanni XXIII” fondata da Don Oreste Benzi.

Ho inserito questo mio articolo (e la vignetta di Vauro, creata appositamente per questo evento) nel nuovo sito www.lavocedegliergastolani.it