Di Marco Wueissheimer/Sul21

Tutti i giorni, una scena si ripete ai margini delle strade del Rio Grande do Sul, mostrando un lato occulto della storia della colonizzazione dello Stato. Famiglie di indigeni guarani-mbya e kaingang vivono accampate in piccole fasce di terra ai bordi delle strade, o in piccole porzioni di terre e foreste, in una situazione di estrema vulnerabilità. Nell’articolo “Demarcazione delle terre e i diritti dei popoli indigeni”, pubblicato nel Rapporto Azzurro 2017 (della Commissione di Cittadinanza e Diritti Umani dell’Assemblea Legislativa del Rio Grande do Sul), il professor João MauricioFarias e Roberto Liebgott, coordinatore del CIMI Sul (Consiglio Indigenista Missionario – Regione Sud) presentano una sintesi della realtà di 25 comunità indigene che stanno vivendo in accampamenti o in aree degradate. Queste famiglie convivono giornalmente con la fame, la mancanza di abitazione, di salute e educazione, di terra da coltivare e dove salvaguardare la propria cultura, oltre al rischio degli investimenti essendo strade di traffico intenso.
La maggioranza delle terre indigene del Rio Grande do Sul, raccontano João MauricioFarias e Roberto Liebgott, non sono demarcate. In un totale di 90 aree, solo il 14% è regolarizzato. Le altre sono coinvolte in processi paralizzati o in studi d’identificazione ancora nemmeno iniziati. Anche se il totale di queste aree non raggiunge l’1% del territorio statale, i grandi proprietari terrieri e i loro rappresentanti politici lavorano contro le demarcazioni. L’oblio cui queste comunità sono relegate sembra andare a braccetto con il tentativo di nascondere la storia di come queste famiglie indigene sono arrivate a vivere ai margini delle strade, spremute tra l’asfalto e i recinti delle fattorie. In questo processo storico, le terre indigene sono state spartite tra le oligarchie regionali e lottizzate da imprese agricole. È un capitolo della storia dello Stato che molte persone preferiscono non conoscere o fingere che non esiste. Nel secolo XVII qui vivevano almeno 40 popoli indigeni differenti. Quattro secoli dopo, nello Stato restano poco più di 30 mila indigeni.

Famiglie guaraní vivono in situazioni precarie e di estremo pericolo, ai margini della BR 290 e di altre strade nel  Rio Grande do Sul. Foto: da video Sul21

Durante due giorni, il Sul21 ha visitato quattro accampamenti di guarani-mbya, localizzati ai margini di movimentate strade del Rio Grande do Sul, e la prima occupazione guarani nello Stato, che è un simbolo di speranza e resistenza per gli indigeni. Tutti i giorni, una parte importante dell’economia dello Stato passa ad alta velocità attraverso questi accampamenti di discendenti dei popoli originari,popoliche furono massacrati ed espulsi alle loro terre. A tutt’oggi i discendentilottano per un pezzo di terra inferiore all’1% del territorio dello Stato. Ma la lotta guarani non si limita alla terra. Nel villaggio Tekoà Ka AguyPorá, che è sorto con l’occupazione di Maquiné, nella costa nord dello Stato, si svolge anche una lotta silenziosa per la sopravvivenza della lingua, della cultura e della spiritualità guarani.

Vivendo sotto pericolo costante nella strada BR 290.

Nel 1995, sei famiglie guarani iniziarono un accampamento in una stretta fascia di terra ai margini della strada BR 290, vicino al comune di ArroiodosRatos. Da alloravivono in condizioni precarie, aspettando che si compiano le promesse di demarcazione della terra. Il leader EstevanGarai racconta che le famiglie vivono sotto pericolo costante ai margini della BR 290, che presenta un intenso e praticamente incessante flusso di automobili e camion che transitano ad alta velocità con carichi di eucalipto, automobili e diversi altri prodotti. Questa comunità vive in un piccolo spazio di terra, spremuta tra il ruscello Divisa, la strada e il recinto di una fattoria che non permette agli indigeni di raccogliere materie-prime per fare artigianato, che è la loro unica fonte di rendita.

Estevan ringrazia Nhanderu, il dio guarani, per il fatto che nessuno della sua comunità, composta da 28 persone,sia ancora stato investito nella BR 290, come invece è successo in altri accampamenti negli ultimi anni. Quanto alla prospettiva della terra, il leader cita la possibilità di acquisizione di un’areadi 300 ettari, attraverso il governo federale;area che farebbe parte di un processo di compensazione all’interno di una licenza ambientale del progetto di ampliamento della BR 290. Nel frattempo, le famiglie resistono nella piccola fascia di terra, vendendo artigianato ai margini della strada, piantando un po’ di manioca, granoturco, patate e cocomeri per la propria sussistenza e pescando nel ruscello Divisa, le cui acque soffrono l’impatto della coltivazione dei campidella regione. Uno dei rari aiuti governativi che il gruppo riceve oggigiorno è un sussidio alimentare mensile per ogni famiglia, che è elargitodal DNIT (Dipartimento Nazionale di Infrastruttura e di Trasporti). “È molto complicato, ma non abbiamo perso la speranza di ottenere una terra per vivere con le nostre famiglie lontano dalla strada”, dice Estevan.

Il sogno della terra, per me, è già moto lontano”.

Sempre nella BR 290, a confine tra Cachoeira e Caçapava do Sul, un altro gruppo di famiglie guarani vive in situazione di estrema vulnerabilità nell’accampamento di Irapuá. Otto famiglie, per un totale di 40 persone, vivono ai bordi della strada. Nonostante la loro terra sia stata demarcata dal governo federale, i proprietari terrieri della regione ne impediscono l’esecuzione. Il leader Valdomiro Karai, di 64 anni, racconta che arrivò nella regione di Irapuá nel 1999 per lavorare con l’artigianato. In seguito sentì dire che c’era una terra che sarebbe stata demarcata per i guarani della regione. L’attesa di questa terra dura fino ad oggi. “Il sogno della terra, per me, è già molto lontano. Dobbiamo procedere per aprire un varco più avanti”, afferma Valdomiro. Per il momento, le famiglie cercano di ottenere qualche rendita vendendo artigianato ai margini della strada. Da circa tre mesi, racconta il leader, le famiglie non stanno più ricevendo aiuti alimentari dalla FUNAI (Fondazione Nazionale dell’Indio).

Il cacique Estevan Garai ringrazia Nhanderu che nessuno della sua comunità sia stato investito finora. Foto: da video Sul21.

La mancanza di terre costringe molte famiglie a trasferirsi da villaggi e accampamenti in altre aree, generando nuovi accampamenti. Questo è il caso, ad esempio, dell’accampamento Papagaio, che ospita dieci persone facenti parte di due famiglie. “Siamo qui da tre anni. Abitavamo nel villaggio Araxaty, vicino a Cachoeira, ma l’area là è molto piccola per 13famiglie. Per questo siamo venuti via. Abbiamo bisogno di più terra da coltivare. Solo di artigianato non si vive”, dice Albino Gimenez. Da quando siamo arrivatiqui, dice ancora, la FUNAI non è mai apparsa. La sopravvivenza delle due famiglie dipende fondamentalmente dalla vendita di pezzi di artigianato,qualianimaletti di legno e cesti. “È con questo che compriamo alimenti, se riusciamo a vendere, ma è molto difficile” Poiché la rendita decorrente da queste vendite è bassa, la pesca e la caccia sono alternative di sopravvivenza. “La nostra situazione è molto precaria. Oltre all’alimentazione dobbiamo comprare teloni per ripararci e tutto è molto caro per noi”, riassume Albino.

Mancanza di spazio per vivere. Tutto è difficile”.

Le testimonianze dei guarani in differenti accampamenti indicano gli stessi problemi. Raul Benitez abita da circa 30 anni nell’accampamento localizzato ai margini della strada RS 40, in Capivari do Sul. In questo accampamento vivono otto famiglie. “Abito qui da quando ero bambino. Non ricordo che età avevo quando iniziai a vivere qui. Già da molto prima, qui già c’era già un accampamento guarani. La nostra situazione è molto difficile. Manca la terra, manca lo spazio per vivere. Tutto è difficile per noi”, racconta Raul che lavora come infermiere nel SESAI (Segretariato Speciale di Salute Indigena).

Raul Benitez: “Manca terra, ci manca spazio per vivere”. Foto: da video Sul21.

Noi sappiamo piantare e conosciamo la nostra cultura agricola”, aggiunge Raul, “ma non abbiamo spazio per coltivare. Ci sono bianchi che dicono che gli indios non sanno piantare, che non lavorano e sono vagabondi. Noi siamo lavoratori, ma non abbiamo terra per realizzare questo lavoro e tramandare la nostra cultura. Ci sono molti accampamenti che stanno soffrendo come noi. Non possiamo far crescere i nostri figli con un’educazione migliore a causa di mancanza di spazio. Noi conosciamo la nostra cultura e non la stiamo dimenticando. Dobbiamo prima ottenere terra per costruire la casa della preghiera, per la pipa (per fumare). Tutto ciò è sacro per noi.”

I proprietari terrieri sono riusciti a paralizzare le demarcazioni delle terre.

Mauricio da Silva Gonçalves, leader guarani, racconta che ci sono oggi diversi accampamenti lungo strade quali la BR 290 e la BR 116. “La situazione è complicata. Gli accampamenti hanno una struttura minima, con casette di legno o fatte con teloni di plastica. Ci sono alcune terre in via di demarcazione come accade qui in Irapuá, con un’area di 22 ettari, dove praticamente manca solo la demarcazione fisica. Solo che c’è una resistenza molto forte da parte di uomini bianchi che si dicono proprietari di questa terra e che non lasciano i guarani entrare nell’area. Fino ad oggi non c’è stata soluzione per questa situazione e i guarani continuano a vivere ai margini della strada, correndo il rischio di essere travolti dai camion che passano ad alta velocità. In tutti gli accampamenti esiste questo rischio. Nella BR 116, si sono già verificati vari investimenti di indigeni guarani”.

Albino Gimenez: “abbiamo bisogno di terra coltivabile”. Foto: da video Sul21.

Esistono diversi studi sulle demarcazioni di terre per gli indigeni, ma i proprietari terrieri, con l’appoggio dei loro politici e del governo Temer, sono riusciti a paralizzare questi processi. Ciò, sottolinea Mauricio da Silva Gonçalves, fa aumentare il numero degli accampamenti ai margini delle strade. Solo nel tratto della BR 290 tra ArroiodosRatos e Caçapava do Sul ci sono tre accampamenti (Divisa, Papagaio e Irapuá), con un totale di 30 famiglie. “La lotta dei guarani è quella di indurre la FUNAI a prenderei provvedimenti necessari affinché siano liberate le terre che già hanno studi avanzati di demarcazione. Il guarani è un popolo che rispetta molto ciò che non è suo, ma noi abbiamo bisogno di occupare queste terre che hanno gli studi praticamente pronti. C’è una resistenza molto forte da parte dei proprietari terrieri,specialmente qui in Irapuá deve c’è una terra praticamente demarcata dall’altro lato della strada, ma iguarani non possono andarci. Se cercano di entrare possono soffrire violenze. Ci sono già stati due tentativi di occupare quell’area, ma durante uno di essi il “fazendeiro” è entrato e ha bruciato le baracche”, racconta.

Ci sono altre situazioni riguardanti aree acquisite con il processo di compensazione delle opere di ampliamento della BR 116. Sono state acquisite otto aree che già furono occupate da circa 300 famiglie guarani. Ancora mancano fondi per costruire abitazioni e centri culturali in questi villaggi, dice ancora MauricioGonçalves. “Le famiglie che sono andate in queste aree sono in una situazione migliore, dato chevivevano anche loro ai margini della strada. Già stanno piantando qualcosa, ma ancora manca molto. Sono aree molto piccole. Ciò che risolverebbe veramente la situazione, sarebbe la liberazione delle terre che si trovano in fase avanzata di demarcazione. Ma questi processi sonopraticamente paralizzati da cinque anni qui nello Stato. E ci sono anche famiglie accampate nella BR 116, a Passo Grande dove, anche qui, c’è un processo di demarcazione in corso.

Mauricio da Silva Gonçalves: “I latifondisti mettono molti bastoni tra le ruote”. Foto:da video Sul21.

Il luogo dove si è”

Oltre a fare pressione sul governo federale per la ripresa delle demarcazioni, i guarani hanno iniziato anche un processo di occupazioni delle terre nel Rio Grande do Sul. In tutto si tratta di cinque occupazioni. “Stiamo vivendo un momento molto importante. Non possiamo più semplicemente aspettare le demarcazioni. Le famiglie si stanno organizzando per occupare quelle aree che hanno ancora foreste, che debbono essere preservate e curate, ove ci sia uno spazio adeguato che permetta ai guarani di vivere”, sottolinea Mauricio.

Questo processo di occupazioni non è legato soltanto alla ricerca della terra. Questa ricerca è legata a una dimensione più profonda, che è la lotta per la sopravvivenza della lingua, della cultura e della spiritualità guarani. La confluenza e l’articolazione tra queste lotte emerge in modo esemplare nella prima occupazione guarani-mbya nel Rio Grande do Sul, quella iniziata il 27 gennaio del 2017, in un’area del comune di Maquiné, litorale nord dello Stato. Quest’area appartiene alla FEPAGRO (Fondazione Statale di Ricerca Agro-Zootecnica), una delle fondazioni di ricerca estinta dal governo José IvoSartori, del partito MDB (Movimento Democratico Brasiliano). Il villaggio sorto con l’occupazione ha ricevuto il nome Tekoà Ka AguyPorá (Villaggio Foresta Sacra) Il significato deltermine“Tekoà” non si limita alla parola “villaggio”, ma significa il luogo dove si realizza il modo di essere guarani, il luogo dove si è.

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Cacique André Benitez: “nessun popolo è nato per essere padrone della terra”.

 

Il luogo dove si è”

Oltre a fare pressione sul governo federale per la ripresa delle demarcazioni, i guarani hanno iniziato anche un processo di occupazioni delle terre nel Rio Grande do Sul. In tutto si tratta di cinque occupazioni. “Stiamo vivendo un momento molto importante. Non possiamo più semplicemente aspettare le demarcazioni. Le famiglie si stanno organizzando per occupare quelle aree che hanno ancora foreste, che debbono essere preservate e curate, ove ci sia uno spazio adeguato che permetta ai guarani di vivere”, sottolinea Mauricio.

Questo processo di occupazioni non è legato soltanto alla ricerca della terra. Questa ricerca è legata a una dimensione più profonda, che è la lotta per la sopravvivenza della lingua, della cultura e della spiritualità guarani. La confluenza e l’articolazione tra queste lotte emerge in modo esemplare nella prima occupazione guarani-mbya nel Rio Grande do Sul, quella iniziata il 27 gennaio del 2017, in un’area del comune di Maquiné, litorale nord dello Stato. Quest’area appartiene alla FEPAGRO (Fondazione Statale di Ricerca Agro-Zootecnica), una delle fondazioni di ricerca estinta dal governo José IvoSartori, del partito MDB (Movimento Democratico Brasiliano). Il villaggio sorto con l’occupazione ha ricevuto il nome Tekoà Ka AguyPorá (Villaggio Foresta Sacra) Il significato deltermine“Tekoà” non si limita alla parola “villaggio”, ma significa il luogo dove si realizza il modo di essere guarani, il luogo dove si è.

André Benitez, leader del villaggio Tekoà Ka AguyPorá, riassume così il significato dell’occupazione realizzata nel municipio di Maquiné.

Siamo stati chiamati dal nostro spirito ancestrale. La nostra lotta è differente da quella di altri popoli. Come nazione guaranisiamo pacifici. L’area che da qui va fino alla regione del Rio Grande do Sul e a quella di EspíritoSanto, storicamente, è sempre stata un territorio di passaggio dei popoli originari. Per noi, tutta l’America Latina è un territorio dove vivere tranquillamente. Per le culture indigene, principalmente per i guarani, non esistono frontiere. Per questo non posso direesattamente quale sia il nostro territorio e quale non lo sia. Questo mondo è stato creato affinché ci vivessimo tutti. Nessun popolo è nato per essere il padrone della terra. Ogni popolo è nato per essere guardiano della natura, e ognuno ha il suo modo di farlo, di curarsene e di pensare.”

La nostra è una lotta muta, silenziosa”.

La chiamata dello spirito ancestrale al quale il leader guarani si riferisce, è associata all’idea di sentimento, che ha una dimensione individuale e collettiva allo stesso tempo. “Noi sentiamo ciò. La nostra è una lotta muta, silenziosa. È lo spirito stesso che chiama l’uno e l’altro. Lui chiama la natura e chiama le persone. Non riesco a spigare come è avvenuta questa chiamata, ma noi sappiamo che siamo stati chiamati e guidati da Nhanderu a fare l’occupazione. Ogni famiglia ha sentito ciò. Non c’è stato un movimento organizzato per venire qua. Io dissi che stavo venendo per fare l’occupazione. Altre famiglie hanno sentito questa chiamata e sono venute con me.”

André mette in evidenza questa dimensione di protezione della natura quando parla della decisione dell’occupazione diMaquiné. “Stiamo facendo l’occupazione per prenderci cura della natura che è restata. Il non-indigeno ha un progetto per distruggere la natura, vendendo le terre e smembrandola in lotti privati. Noi non vogliamo ciò. La nostra è una lotta per tutta l’umanità, non solo per il popolo indigeno. Fra 50, 60 anni i nostri figli e nipoti avranno bisogno di una natura preservata per poter respirare. Senza terra, senza foresta, senza natura non possiamo vivere. Per questo occupiamo questa area. I nostri ancestrali sono già passati da qui per raccogliere sementi, frutta, medicine e materiali per l’artigianato.”

I popoli indigeni, dice ancora il leader, dipendono dalla natura per la loro sopravvivenza fisica e culturale. “Non abbiamo bisogno di armi da fuoco per ucciderci. Senza un luogo, senza la natura, stiamo morendo. Per questo tutti i popoli indigeni continueranno a lottare per i propri diritti, una lotta che è di tutta l’umanità. Stiamo qua da un anno e sette mesi circa, vivendo bene. I bambini non hanno nessun tipo di problema di salute. Tutti i giorni si alzano, giocano, sono felici. L’occupazione serve anche a questo: per la felicità dei bambini. Ogni famiglia ha la sua casetta, il suo campo, sta piantando. Stiamo riprendendo anche le nostre attività culturali, il nostro canto, la nostra danza. E abbiamo una scuola autonoma, che si chiama TekoJeapó (Cultura in Azione), che siamo riusciti a costruire con l’appoggio dei nostri amici. La scuola, che funziona con regole definita dalla sua comunità, ha oggi 32 alunni”.

La scuola Teko Jeapó (cultura in azione), construita a Maquiné. Foto: da video Sul21.

Il luogo dove si è”

Oltre a fare pressione sul governo federale per la ripresa delle demarcazioni, i guarani hanno iniziato anche un processo di occupazioni delle terre nel Rio Grande do Sul. In tutto si tratta di cinque occupazioni. “Stiamo vivendo un momento molto importante. Non possiamo più semplicemente aspettare le demarcazioni. Le famiglie si stanno organizzando per occupare quelle aree che hanno ancora foreste, che debbono essere preservate e curate, ove ci sia uno spazio adeguato che permetta ai guarani di vivere”, sottolinea Mauricio.

Questo processo di occupazioni non è legato soltanto alla ricerca della terra. Questa ricerca è legata a una dimensione più profonda, che è la lotta per la sopravvivenza della lingua, della cultura e della spiritualità guarani. La confluenza e l’articolazione tra queste lotte emerge in modo esemplare nella prima occupazione guarani-mbya nel Rio Grande do Sul, quella iniziata il 27 gennaio del 2017, in un’area del comune di Maquiné, litorale nord dello Stato. Quest’area appartiene alla FEPAGRO (Fondazione Statale di Ricerca Agro-Zootecnica), una delle fondazioni di ricerca estinta dal governo José IvoSartori, del partito MDB (Movimento Democratico Brasiliano). Il villaggio sorto con l’occupazione ha ricevuto il nome Tekoà Ka AguyPorá (Villaggio Foresta Sacra) Il significato deltermine“Tekoà” non si limita alla parola “villaggio”, ma significa il luogo dove si realizza il modo di essere guarani, il luogo dove si è.

André Benitez, leader del villaggio Tekoà Ka AguyPorá, riassume così il significato dell’occupazione realizzata nel municipio di Maquiné.

Siamo stati chiamati dal nostro spirito ancestrale. La nostra lotta è differente da quella di altri popoli. Come nazione guaranisiamo pacifici. L’area che da qui va fino alla regione del Rio Grande do Sul e a quella di EspíritoSanto, storicamente, è sempre stata un territorio di passaggio dei popoli originari. Per noi, tutta l’America Latina è un territorio dove vivere tranquillamente. Per le culture indigene, principalmente per i guarani, non esistono frontiere. Per questo non posso direesattamente quale sia il nostro territorio e quale non lo sia. Questo mondo è stato creato affinché ci vivessimo tutti. Nessun popolo è nato per essere il padrone della terra. Ogni popolo è nato per essere guardiano della natura, e ognuno ha il suo modo di farlo, di curarsene e di pensare.”

La nostra è una lotta muta, silenziosa”.

La chiamata dello spirito ancestrale al quale il leader guarani si riferisce, è associata all’idea di sentimento, che ha una dimensione individuale e collettiva allo stesso tempo. “Noi sentiamo ciò. La nostra è una lotta muta, silenziosa. È lo spirito stesso che chiama l’uno e l’altro. Lui chiama la natura e chiama le persone. Non riesco a spigare come è avvenuta questa chiamata, ma noi sappiamo che siamo stati chiamati e guidati da Nhanderu a fare l’occupazione. Ogni famiglia ha sentito ciò. Non c’è stato un movimento organizzato per venire qua. Io dissi che stavo venendo per fare l’occupazione. Altre famiglie hanno sentito questa chiamata e sono venute con me.”

André mette in evidenza questa dimensione di protezione della natura quando parla della decisione dell’occupazione diMaquiné. “Stiamo facendo l’occupazione per prenderci cura della natura che è restata. Il non-indigeno ha un progetto per distruggere la natura, vendendo le terre e smembrandola in lotti privati. Noi non vogliamo ciò. La nostra è una lotta per tutta l’umanità, non solo per il popolo indigeno. Fra 50, 60 anni i nostri figli e nipoti avranno bisogno di una natura preservata per poter respirare. Senza terra, senza foresta, senza natura non possiamo vivere. Per questo occupiamo questa area. I nostri ancestrali sono già passati da qui per raccogliere sementi, frutta, medicine e materiali per l’artigianato.”

I popoli indigeni, dice ancora il leader, dipendono dalla natura per la loro sopravvivenza fisica e culturale. “Non abbiamo bisogno di armi da fuoco per ucciderci. Senza un luogo, senza la natura, stiamo morendo. Per questo tutti i popoli indigeni continueranno a lottare per i propri diritti, una lotta che è di tutta l’umanità. Stiamo qua da un anno e sette mesi circa, vivendo bene. I bambini non hanno nessun tipo di problema di salute. Tutti i giorni si alzano, giocano, sono felici. L’occupazione serve anche a questo: per la felicità dei bambini. Ogni famiglia ha la sua casetta, il suo campo, sta piantando. Stiamo riprendendo anche le nostre attività culturali, il nostro canto, la nostra danza. E abbiamo una scuola autonoma, che si chiama TekoJeapó (Cultura in Azione), che siamo riusciti a costruire con l’appoggio dei nostri amici. La scuola, che funziona con regole definita dalla sua comunità, ha oggi 32 alunni”.

André non si fa illusioni quanto alla posizione del governo dello Stato in relazione alla rioccupazione. Preferisce pensare e concentrarsi nella forza che la comunità sta sviluppando. “Sappiamo che il governo dello Stato mai darà, ma non alimentiamo il nostro pensiero con questo ‘mai darà’. Alimentiamo la nostra mente con il pensiero che stiamo andando bene e che ce la faremo. Stiamo lottando per l’umanità e per la nostra cultura, che si è quasi persa. Sappiamo che ci sono molte famiglie che soffrono ai bordi delle strade, senza casa, senza acqua, senza alimenti. Stiamo lottando anche per loro.”

André ci ricorda della presenza dei popoli indigeni in questo territorio molto prima dell’arrivo di portoghesi e spagnoli. “Il Brasile non è stato scoperto, è stato distrutto. Per scoprire una cosa, non dovrebbe esserci niente prima di tale scoperta. Prima dell’arrivo dei portoghesi qui vivevano popoli indigeni. Ma noi non vogliamo riappropriarci del Brasile. Vogliamo riappropriarci di un piccolo luogo rimasto per la nostra sopravvivenza. Ci siamo credendoe siamo felici perché la riappropriazione sta avvenendo. Non vogliamo lottare contro lo Stato, ma solo essere riconosciuti”.

Traduzione dal portoghese di Loretta Emiri.