Un’altra serie di incontri preparatori, in vista della Conferenza di Riesame del TNP del 2020, prenderà il via domani, lunedì 23 aprile, a Ginevra.  I membri di Reaching Critical Will forniranno, come sempre, un’eccellente copertura mediatica generale.  Ripubblichiamo qui il loro primo editoriale per i lettori di Pressenza.

Da quando gli Stati firmatari del Trattato di Non Proliferazione nucleare (TNP) si sono riuniti l’ultima volta nel 2017, ci sono stati dei cambiamenti nel panorama del disarmo nucleare.

Degna di nota è l’adozione, nel luglio 2017, del Trattato sulla Proibizione delle Armi Nucleari (TPAN), che bandisce lo sviluppo, il possesso, l’uso e la minaccia dell’uso di armi nucleari. Il Trattato è il risultato di anni di discussioni sull’impatto umanitario delle armi nucleari e il riconoscimento che l’unico modo per impedire l’uso di queste armi è quello di vietarle ed eliminarle. Due terzi degli Stati membri delle Nazioni Unite hanno adottato il Trattato e lo slancio continua a crescere man mano che altri Stati lo firmano e lo approvano e si prevede che altri lo faranno a breve.

Gli Stati dotati di armi nucleari o quelli che includono le armi nucleari nelle loro dottrine sulla sicurezza continuano a considerare il TPAN come sviante o addirittura dannoso per la comunità del disarmo e la sicurezza internazionale. Secondo i loro strani calcoli, una maggiore quantità di armi nucleari renderebbe il nostro mondo più sicuro. Sostengono che il Trattato e i suoi sostenitori abbiano creato divisioni nella comunità internazionale e che il TPAN sfida il TNP.

Questa è un’affermazione imprecisa. Sono sempre esistite opinioni divergenti sulle armi nucleari. Ciò che è cambiato nell’ultimo anno è che gli Stati e gli altri attori hanno finalmente dato voce alla loro insoddisfazione collettiva sviluppando un nuovo strumento legale che delegittima le armi nucleari e le rende illegali, al fine di colmare una lacuna nel diritto internazionale e integrare il TNP.[1] Non va inoltre dimenticato che il TNP stesso stabilisce sia la logica che l’obbligo di vietare le armi nucleari e sottolinea le conseguenze catastrofiche dell’uso delle armi nucleari come motivazione per prevenire la proliferazione e raggiungere il disarmo.  Anche questa è una motivazione primaria del TPAN.  Come previsto nell’articolo VI del TNP, tutti gli stati sono responsabili di compiere progressi verso i negoziati sul disarmo nucleare. Qualsiasi passo verso la proibizione categorica delle armi nucleari è coerente con il TNP e costituisce una “misura efficace”, come indicato nell’articolo VI. Diversi stati e la società civile sono impazienti di vedere l’interazione positiva tra il TNP e il TPAN, come con altri accordi che potenziano le disposizioni del TNP.

Sono proprio le aree in cui non c’è stato alcun cambiamento quelle su cui gli Stati membri dovrebbero concentrarsi maggiormente.  Molte delle sfide e delle priorità affrontate in questo ciclo di riesame consistono in impegni non realizzati, azioni non adottate e stallo politico.[2]  Il piano d’azione della Conferenza di Riesame del TNP del 2010 rimane solo parzialmente applicato. Solo cinque dei ventidue punti di azione sulle azioni di disarmo hanno visto un sostanziale progresso. Gli stati membri non dotati di armi nucleari che mantengono una dottrina di “deterrenza nucleare estesa” non hanno mostrato alcun segno di movimento verso la riduzione del ruolo delle armi nucleari nei loro concetti militari. Molti, infatti, sono diventati ancora più risoluti nella difesa delle armi nucleari come legittime e necessarie. Tutti gli stati membri dotati di armi nucleari stanno “modernizzando” e, in alcuni casi, espandendo, i loro arsenali di testate nucleari e i loro sistemi di consegna.

La questione di lunga data, irrisolta, di una zona libera da armi nucleari in Medio Oriente è una priorità per gli Stati membri. I progressi sono stati messi a punto, ma sarà difficile fare progressi sulla questione in questa conferenza, visto il futuro incerto del piano d’azione congiunto globale (PACG). La prossima scadenza per gli Stati Uniti per ricertificare l’accordo e rinunciare alle sanzioni contro l’Iran sarà solo una settimana dopo la fine del PrepCom. Non è un segreto che l’attuale amministrazione statunitense non vede alcun valore nel PACG, nonostante gli sforzi degli altri partner per garantire il suo mantenimento. Il crollo del PACG finirebbe, nell’immediato, per porre fine ai controlli stabiliti sul programma nucleare iraniano, ma, in termini più generali, avrebbe un impatto sulla stabilità regionale, complicando il potenziale di progresso sugli impegni assunti nel quadro del TNP.[3] Ci sono segnali di una crisi nucleare.

Ciò potrebbe, a sua volta, influenzare i prossimi colloqui tra i leader degli Stati Uniti e della Repubblica popolare democratica di Corea (RDPC), nel senso che la RPDC potrebbe riconsiderare il suo nuovo sostegno alla denuclearizzazione e alla fiducia nella comunità internazionale.[4] I rapporti, ancora deboli ma in via di miglioramento, tra la RPDC e la Corea del Sud e tra la RPDC e gli Stati Uniti, così come i passi verso la conclusione dei test e dello sviluppo, sono estremamente positivi e vanno incoraggiati. Eppure, sono anche molto fragili. Si prevede che ci possa essere un effetto a catena nella sala conferenze dal vertice intercoreano del 27 aprile.

Tra ciò che è cambiato e ciò che rimane invariato, ciò che resta costante è che il raggiungimento del disarmo nucleare adesso, tra le crescenti tensioni e l’uso sempre più aggressivo della forza in tutto il mondo, è più importante che mai.

[1] Vedere e Prevenire il Crollo: il TNP e il divieto  sulle armi nucleari, Reaching Critical Will, aprile 2013.

[2] Per ulteriori informazioni, consultare il Fascicolo Informativo del TNP del 2018, ‘Reaching Critical Will of the Women’s International League for Peace and Freedom’, marzo 2018.

[3] “‘Non sarebbe molto piacevole,’ avverte l’Iran, se Trump sabotasse l’accordo nucleare”, The Guardian, 22 aprile 2018.

[4] David E. Sanger, “Il disdegno di Trump per l’accordo con l’Iran rende ancora più difficile un patto nordcoreano”, New York Times, 22 marzo 2018.

Traduzione dall’inglese di Simona Trapani