Il sorgere nel continente sudamericano di governi nazionali e popolari, inaugurato con il trionfo di Hugo Chávez in Venezuela già 20 anni fa, e seguito dal trionfo di Lula Da Silva in Brasile e di Néstor Kirchner in Argentina, insieme all’ascesa di governi progressisti in Uruguay, Cile, Ecuador, Nicaragua, Paraguay, Honduras ed El Salvador, ha riportato la prospettiva della Grande Patria nel corso della storia recente. Fatto, questo, che si approfondisce dopo l’impantanamento degli Stati Uniti in Iraq e Afghanistan, e si cristallizza quando, nel 2005, le posizioni di Lula, Kirchner e Chávez, al Summit delle Americhe di Mar del Plata, rompono la strategia di sottomissione della regione attraverso l’imposizione dell’accordo di libero scambio.

Da allora, due situazioni si sono riproposte come costante nei settori legati al sistema imperialista dai propri interessi economici. Primo, la permanente ricerca di delegittimazione dei governi nazionali e popolari con l’uso del soprannome che ha per l’Occidente significato peggiorativo, il termine “populismo”, e le continue denunce di presunti casi di corruzione, e poi i tentativi di colpi di stato da parte dell’oligarchia, come ai vecchi tempi, per ripristinare vecchi privilegi.

Così, in Venezuela, Bolivia ed Ecuador si sono tentati, e sono falliti, colpi di Stato. L’imperialismo si è reso conto, tuttavia, che l’uso delle forze armate per abbattere gli avversari non era più utile. Il ruolo che le hanno fatto svolgere nella guerra fredda e lo smantellamento delle stesse durante la peggior fase del neoliberismo in America Latina ha messo le forze armate in una posizione tale che qualunque loro azione delegittimerebbe un colpo di stato.

Era quindi necessario affinare la strategia e mettere in atto un meccanismo che potesse attaccare su tutti i fronti e allo stesso tempo, utilizzando le risorse usate dalle borghesie e delle oligarchie cooptate dall’imperialismo del momento: il sistema dei media e quello giudiziario. Due strutture di potere che hanno risposto ai fini della dominazione, essendo portavoce dei settori dominanti e proteggendo i colpi di stato che hanno avuto luogo nella regione nel corso del XX secolo. Ma nel XXI secolo la loro funzione non è cambiata.

Dai “Colpi di stato morbidi” alla strategia del lawfare

Così il presidente eletto in Honduras nel 2006, Manuel Zelaya, che cercava di portare avanti riforme a beneficio dei più umili, viene destituito con un colpo di stato parlamentare, o ciò che Stella Calloni chiamò “colpo di stato morbido”, nel 2009; lo stesso accade con Fernando Lugo in Paraguay, eletto a maggioranza ne 2008 e deposto in modo arbitrario nel 2012.

Hanno tentato di agire in modo analogo contro Cristina Fernández de Kirchner durante i suoi due mandati e non ci sono riusciti. Ciononostante l’oligarchia ha ripreso il potere per via elettorale attraverso il trionfo di Mauricio Macri, con una campagna menzognera e feroce. Ma non senza prima aver mobilitato vasti settori della popolazione contro il governo, aver operato con il gruppo Clarín e frange dei servizi di intelligence, come con il suicidio del pubblico ministero Nisman. Tra le altre cose.

Oggi nel nostro paese la strategia di giudizializzare la politica si articola con l’intervento del Partito Giusticialista, piattaforma partitica della più importante opposizione al governo Macri, e fa sì che se le elezioni si tenessero oggi porterebbe al governo il candidato del Giustizialismo.

Tra tutti i casi, quello del Brasile è paradigmatico. Dopo avere vinto per quattro volte consecutive le elezioni presidenziali e aver tolto più di 30 milioni di brasiliani dalla povertà, i due più importanti referenti del Partito dei Lavoratori sono stati vittima di questa nuova forma di agire dei governi per rovesciare i governi nazionali e popolari, e troncare i processi che avevano come unici beneficiari i settori più trascurati.

Dilma Rouseff, che ha vinto in due elezioni, è stata deposta da un colpo di stato legislativo nel 2016, e di recente Luis Incio “Lula” Da Silva è finito in carcere con una manovra giudiziaria e mediatica che non si era mai vista prima, poiché la sentenza emessa dal giudice che investigava sospetti casi di corruzione non ha prove né testimonianza alcuna; il pubblico ministero che lo ha accusato ha affermato: “non ho prove, ho certezze”. Oggi Lula, nonostante le operazioni giudiziarie e mediatiche dell’establishment, in Brasile continua ad essere la figura con la maggior quantità di intenzioni di voto.

In entrambi i casi la strategia è stata quella di giudizializzare la politica, di portare la battaglia contro i governi nazionali e popolari su un terreno che i settori dell’oligarchia e dell’imperialismo gestiscono come vogliono, e che hanno chiamato Lawfare, nel quadro della guerra di quarta generazione, in cui il principale campo di battaglia è nella mente e nella testa dei latino-americani.

Una strategia militare?

Il concetto di Lawfare fu coniato diciassette anni fa da un generale dell’aviazione americana, Charles Dulp. Emerse in seguito all’attacco del 2001 come strategia militare che cercava di generare operazioni legali per essere in grado di agire su “terroristi”.

Questo generale definisce il Lawfare come “la strategia di usare – per un bene o un male maggiore, come se fosse una tecnica neutrale – la legge come sostituto dei mezzi tradizionali per ottenere la vittoria sugli obiettivi militari”, cioè per portare la guerra a un altro livello, quello giudiziario.

Fu anche un altro ufficiale militare americano, il generale del Corpo dei Marines William Lind, che insieme ad altri ufficiali in uniforme scrisse “Il volto cangiante della guerra: verso la quarta generazione”. Questo è accaduto all’inizio degli anni ’90, dopo la caduta del muro di Berlino. E’ la guerra di quarta generazione: spostare il campo di battaglia nella testa della gente, usando tutti i mezzi di produzione simbolica, strutturando, costruendo immaginari sociali.

Non servono più gli eserciti per vincere una guerra, basta avere il controllo dei mezzi di comunicazione e dell’istituzione giudiziaria per organizzare l’operazione.

Un modus operandi

Qualcuno che denuncia o si fa eco alla denuncia e la diffonde sui media. Questi mette al lavoro la macchina infernale con i suoi stessi giornalisti operatori, cercando così di ottenere una condanna mediatica, e ledono il diritto alla difesa.

La loro efficacia risiede nel potere dell’agenda di chi costruisce mediaticamente la “realtà” giudicabile, condannando la corruzione in astratto e il “sospettato”. In altre parole, all’azione mediatica corrisponde un’azione giudiziaria. Ognuno fa la sua parte.

Credenze che si installano a partire da discorsi di pseudoverità, manipolazioni che costringono la popolazione a schierarsi contro i denunciati, che senza alcuna prova vengono giudicati mediaticamente, e poi trasformano, senza alcuna prova, la menzogna in verità. Qui il ruolo della Giustizia. Cioè, per questa Giustizia che fa il gioco del Lawfare, le prove che demoliscono le denunce non hanno importanza: ciò che è empirico non ha più alcun valore per i magistrati. Senza prove, si gestiscono sulla base delle loro “convinzioni”.

L’ingiusta detenzione di Lula, così come quella dei prigionieri politici in Argentina (tra cui Milagro Sala, che conta innumerevoli cause aperte), risponde a questo tipo di operazioni.

Questo è il Lawfare, uno strumento al servizio dell’imperialismo e delle classi dominanti delle nostre piccole patrie. Senza dubbio, un altro elemento di cui si avvalgono in questo contesto di ricolonizzazione, che si inquadra nella guerra di quarta generazione, e che come abbiamo sottolineato ha come obiettivo, nel nostro paese e nella regione, quello di far sì che i popoli non tornino mai più a confidare nei propri movimenti nazionali. Rompere il legame fondamentale tra la classe lavoratrice, la piccola borghesia e i settori produttivi oppressi dalle condizioni di un paese semicoloniale.

 

Traduzione dallo spagnolo di Matilde Mirabella