Al fine di ribadire ciò che il Partito Umanista ha già espresso nel comunicato relativo alla legge sul testamento biologico, e cioè che «il Parlamento che ha votato questa legge, è lo stesso Parlamento che continua a tagliare i fondi sulla sanità e sulla ricerca», vogliamo riportare alcuni tra i dati più significativi riferiti nel rapporto Enpam-Eurispes sulla sanità pubblica italiana, presentato il 18 dicembre scorso al Ministero della Salute.

L’Italia investe per il servizio sanitario il 14,1% della spesa pubblica, cioè l’1,1% in meno rispetto alla media europea e ben il 5,2% in meno rispetto all’Irlanda, il paese che vi dedica la quota più alta.
Il rapporto mette inoltre in evidenza tre punti fondamentali: l’invecchiamento del personale sanitario, il precariato e la cronica insufficienza degli organici.
Solo per quel che riguarda i medici di base, entro il 2023 andranno in pensione circa 21.700 medici su poco più di 45mila, a fronte di solo 6mila giovani medici in ingresso. Eppure si continua a praticare il numero chiuso per l’iscrizione alle facoltà di medicina, nonostante si preveda, con questi numeri, che entro il prossimo decennio almeno un terzo dei cittadini non potrà avere un medico di famiglia.

Già nel 2011 nella sanità pubblica operavano 35mila precari, di cui 10mila medici. La situazione sicuramente è peggiorata negli ultimi anni, vista la malsana tendenza da parte delle Regioni a fare ricorso al lavoro precario per far fronte alla carenza di personale causata dal mancato turn-over.
Ma non finisce qui. Se ai già scarsi fondi previsti per la sanità pubblica si aggiungono i danni provocati dalla corruzione, dall’inefficienza della spesa pubblica nel comparto sanitario e dagli sprechi, il quadro diventa drammatico. Sommando il peso di solo questi tre fattori il danno ammonterebbe a ben 26,6 miliardi di euro all’anno.

Una delle contraddizioni più difficili da digerire è quella della lunghezza delle liste di attesa per le visite specialistiche e per i ricoveri ospedalieri. Inutile dire che il ricorso all’intramoenia è non solo inutile, ma addirittura dannoso, in quanto finisce per dilatare i tempi di accesso per chi non vi fa ricorso e genera un forte disparità nell’erogazione della cura, alla faccia dell’uguaglianza di tutti i cittadini sancita dalla Costituzione.
E sempre in tema di disuguaglianze, si registra una forte disparità tra nord e sud in quanto a dotazione di apparecchiature tecnicobiomediche, che comunque risultano, in generale, carenti e non aggiornate.

Ecco, quindi, in poche parole e numeri la situazione italiana in tema di tutela della salute pubblica, cioè uno dei diritti fondamentali sanciti da tutte le carte costituzionali degne di questo nome.

Secondo qualcuno staremmo uscendo dalla crisi. Nulla di più falso, se uscire dalla crisi significa continuare a ridurre la spesa pubblica a discapito della salute di tutti.
Continuando ad obbedire ai dettami di provvedimenti come il Fiscal Compact che, imponendo come priorità assolute il pareggio di bilancio e la riduzione del debito, spingono sempre di più a tagliare i servizi sociali come la Sanità, si risponde solo agli interessi della sanità privata e delle assicurazioni.
Quindi non è così che si esce dalla crisi. Anzi, è esattamente il contrario. È proprio questa continua riduzione della spesa pubblica, a favore degli interessi di pochi, ad aver generato e fatto crescere questa crisi, che sta assumendo sempre di più i connotati di un intenzionale attacco nei confronti del bene comune.
Solo difendendo il bene comune, invece, possiamo migliorare la qualità di vita della maggioranza dei cittadini. Questo significa per noi uscire dalla crisi.